numero in formato solo testo


ISSN 1080-3521

EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY

and

CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -

Il giornale Italiano online di anestesia Vol 4 No 7 Luglio 1999


Pubblicato elettronicamente da

Vincenzo Lanza, MD

Servizio di Anestesia e Rianimazione

Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy

E-mail: lanza@mbox.unipa.it

Keith J Ruskin, MD

Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine

333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA

E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu

Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine

________________________________________________________________

In questo numero:

1 TERAPIA INTRA-EXTRACORPOREA NEI TRATTAMENTI DELLE INTOSSICAZIONI DA FARMACI E VELENI (1^ parte)

2 TERAPIA INTRA-EXTRACORPOREA NEI TRATTAMENTI DELLE INTOSSICAZIONI DA FARMACI E VELENI (2^ parte)

 

_______________________________________________________

1 TERAPIA INTRA-EXTRACORPOREA NEI TRATTAMENTI DELLE INTOSSICAZIONI DA FARMACI E VELENI (1^ parte)

_______________________________________________________

Carlo Locatelli
Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia
e-mail:
cnit@fsm.it

1. Introduzione
2. Parametri che condizionano l'indicazione a una tecnica di depurazione per il trattamento delle intossicazioni acute. Parametri farmaco-tossicologici
Parametri clinici
Disponibilità delle strutture
3. Metodi speciali di depurazione dai tossici Diuresi forzata
Dialisi
Emoperfusione
Plasmaferesi
Exsanguinotrasfusione
4. Valutazione dell'efficacia
5. Conclusioni
6. Bibliografia

 

INTRODUZIONE

L'intossicazione acuta è una condizione patologica causata da esposizione singola o plurima (ma in un lasso di tempo non superiore a 24 ore) ad una sostanza tossica. L'esposizione può avvenire attraverso varie vie, ma l'intossicazione grave, situazione clinica che frequentemente implica il ricovero in reparti di terapia intensiva, consegue più frequentemente all'ingestione. La patologia da causa tossica è caratterizzata da uno stretto rapporto fra tossico assunto e sintomi e da un caratteristico tempo di latenza fra l'assunzione e la comparsa dei sintomi. Ciò fa sì che il soccorso medico possa essere effettuato in molti casi sulla base della sola anamnesi e prima della comparsa di qualunque sintomo o segno. La terapia delle intossicazioni acute si basa su interventi che hanno una sequenza temporale caratteristica:

1) trattamento sintomatico di rianimazione

2) prevenzione o diminuzione dell'assorbimento

3) trattamento specifico: a) antidoti, b) tecniche speciali di depurazione.

Il trattamento sintomatico di rianimazione ha diminuito la mortalità per avvelenamento a valori inferiori all'1% dei pazienti ricoverati. Tuttavia la sola terapia di rianimazione si rivela insufficiente, in una elevata percentuale dei casi, nelle intossicazioni gravi da ipnotici, da sostanze metabolizzate a composti più tossici (es: metanolo, glicole etilenico) o da agenti che determinano tossicità ritardata (es: paraquat, Amanita phalloides, Cortinarius orellanus), tanto che tutt'oggi questi avvelenamenti sono ancora gravati da un'elevata mortalità (1, 2). La ricerca di trattamenti efficaci per aumentare il tasso di sopravvivenza dei pazienti affetti da intossicazione grave ha introdotto nella pratica clinica tecniche atte a rimuovere i tossici già assorbiti: i primi casi di depurazione extra-renale da tossici risalgono al 1960 e da questa data in poi le indicazioni a tali metodiche si sono fatte via via più frequenti.

Le tecniche speciali di depurazione comprendono tutti i metodi di uso clinico che consentono di rimuovere rapidamente dall'organismo il tossico (farmaci, sostanze chimiche) già assorbito (3). Questi metodi, che non costituiscono mai un intervento d'urgenza estrema, ma anzi caratterizzano l'ultimo momento del trattamento specifico dell'intossicato, possono essere distinti in non invasivi e invasivi (Tabella 1).

Tabella 1. Tecniche speciali di depurazione da tossici di più comune impiego in tossicologia clinica

Metodi non invasivi Metodi invasivi (extra-renali)
iperventilazione dialisi peritoneale
ossigenoterapia normo- o iperbarica emodialisi (*)
diuresi forzata normale, acida, alcalina emoperfusione (*)
captazione-evacuazione intestinale plasmaferesi (*)
  exsanguinotrasfusione
(*) richiedono circolo extracorporeo

 

I metodi non invasivi accelerano i meccanismi di eliminazione per le vie naturali (polmonare, renale, enterica) ed hanno il solo scopo di aumentare l'eliminazione del tossico o dei suoi metaboliti. I metodi invasivi (depurazione extra-renale) invece, richiedono un accesso cruento alle cavità corporee o al sistema cardiocircolatorio, e portano alla rimozione del tossico per dialisi, adsorbimento o per sostituzione del sangue in toto e dei suoi componenti; essi conseguono, singolarmente o congiuntamente, tre risultati fondamentali (4):

a) eliminazione del tossico
b) correzione delle turbe metaboliche legate all'azione del tossico o dei suoi metaboliti
c) trattamento delle insufficienze renali acute di origine tossica.

Il più efficace di questi metodi si è rivelato, fino ad ora, l'adsorbimento su carbone o resina; tuttavia altre tecniche di più recente introduzione e oggi di largo impiego clinico (emofiltrazione arterovenosa continua -CAVH-, emodialisi arterovenosa continua -CAVHD-, ecc.), che per il momento non hanno nessuna indicazione accertata in tossicologia clinica, potrebbero in un futuro non lontano rivelarsi estremamente utili in virtù della caratteristica di continuità del trattamento.

PARAMETRI CHE CONDIZIONANO L'INDICAZIONE A UNA TECNICA DI DEPURAZIONE PER IL TRATTAMENTO DELLE INTOSSICAZIONI ACUTE.

La corretta applicazione delle procedure terapeutiche in grado di aumentare la rimozione di tossici già assorbiti può ridurre la morbidità e mortalità di alcuni avvelenamenti in confronto alle terapie conservative. Per ottenere questi risultati, i trattamenti devono però consentire la rimozione in un tempo ragionevole di quantità clinicamente significative del tossico o dei suoi metaboliti senza comportare rischi elevati per il paziente. Tuttavia i metodi depurativi che si sono dimostrati efficaci (per lo meno in termini di clearance), comportano anche numerosi rischi; quindi, poiché solamente pochi studi hanno indagato in modo obiettivo l'effetto di queste terapie nei riguardi di morbilità e mortalità, l'uso di tali procedure richiede una attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio.

Le indicazioni teoriche e pratiche alle tecniche di depurazione, specialmente per quelle extra-renali, si fondano sulla valutazione integrata di tre ordini di parametri:

1. parametri farmaco-tossicologici, legati a natura chimica, distribuzione e metabolismo del tossico nell'organismo (farmaco-tossicocinetica)
2. parametri clinici, inerenti sia lo stato clinico attuale dell'intossicato che quello precedente l'avvelenamento
3. disponibilità delle strutture, consistente nella possibilità di attuare tecniche di depurazione in tempi utili.

Parametri farmaco-tossicologici

Alcuni parametri molecolari e cinetici caratteristici dei singoli veleni condizionano in modo importante la possibilità di depurazione, tanto che l'utilizzo di questo tipo di trattamento non ha la frequenza che ci si potrebbe aspettare valutando i dati di clearance ematica dei tossici. Infatti, anche se in teoria la maggior parte dei veleni è dializzabile o adsorbibile su carbone o resina, l'efficacia terapeutica dei metodi di depurazione dipende essenzialmente dalla quantità di sostanza che può essere rimossa (in tempo utile) in rapporto al carico tossico totale dell'organismo (in particolare quello che ha raggiunto gli organi bersaglio). Per ciascun veleno questa quantità dipende, molto più che dalla clearance ematica ottenibile con i vari metodi, da alcune caratteristiche farmaco- o tossicocinetiche della sostanza stessa (Tabella 2) (3).

Tabella 2. Caratteristiche cinetiche dei tossici che favoriscono l'applicazione di tecniche di depurazione

lunga emivita lenta metabolizzazione
elevata concentrazione ematica fenomeni di riassorbimento
elevata solubilità in acqua circolo entero-epatico/circolo entero-enterico
elevata velocità di dissociazione dai siti di legame riassorbimento tubulare renale
elevata velocità di ridistribuzione intecompartimentale basso peso molecolare
basso volume apparente di distribuzione bassa frazione di legame protidico
bassa liposolubilità eliminazione prevalente per via renale

Tuttavia il numero di queste variabili, non tutte note per tutte le sostanze, soprattutto alle dosi tossiche, rende assai difficile prevedere con precisione l'efficacia clinica dei diversi metodi nel singolo caso. Per questa ragione l'indicazione a una tecnica di depurazione dipende da una valutazione che tenga conto sia dei parametri farmaco-tossicologici che qui di seguito vengono analizzati, che della situazione clinica dell'intossicato.

Peso molecolare

Il peso molecolare (pm) del tossico è particolarmente importante in caso di depurazione extra-renale, sia per la scelta dei materiali da utilizzare che per la scelta della tecnica. Le membrane dialitiche, infatti, sono facilmente permeabili a molecole con pm inferiore a 500 daltons, anche se è possibile dializzare molecole di media grandezza (pm fino a 5.000); con l'emoperfusione, invece, la capacità adsorbente risulta praticamente indipendente dal pm del tossico.

Dose tossica e dose letale

La dose tossica (DT) e la dose letale (DL50) sono valori ricavati per lo più dalla ricerca sperimentale e pertanto consentono solamente una valutazione generica della pericolosità di una sostanza nell'uomo. Oltre a ciò la mancanza di una anamnesi precisa (più del 50% dei casi), le variazioni nella velocità ed entità di assorbimento, metabolismo ed eliminazione e nella risposta individuale all'effetto del tossico, suggeriscono di basare le scelte di trattamento sui dati clinici del paziente e non in assoluto sul rapporto fra dose assunta e dose letale. Fanno eccezione le sostanze ad alta tossicità parenchimale preceduta da fase di latenza (es. amanitina, paracetamolo, paraquat) per le quali l'indicazione al trattamento va posta monitorando i livelli ematici e l'emivita del tossico o altri dati biochimici ben correlabili con la prognosi clinica, senza attendere i segni obiettivi del danno (3).

Concentrazioni ematiche

Le concentrazioni raggiunte dal tossico nel sangue sono valori molto più utili della DT e della DL50 per valutare la gravità di un avvelenamento, specialmente per le sostanze a basso volume apparente di distribuzione per le quali il livello ematico è effettivamente indicativo del carico tossico dell'organismo. Nell'uomo mancano purtroppo dati precisi sulle concentrazioni ematiche "normali" (per i tossici ambientali) o "terapeutiche" (per i farmaci) da raffrontare a quelle tossiche e a quelle letali, se non per un numero limitato di sostanze (in massima parte medicamenti) (5). I limiti di questa valutazione sono rappresentati dalle variazioni individuali nelle risposte al tossico e dalla necessità di laboratori ben attrezzati con possibilità di metodi analitici quantitativi precisi e risposta rapida. Inoltre il dato di laboratorio va valutato non solo in rapporto ai valori di DT e DL50 ma anche e soprattutto con riferimento alle condizioni cliniche del paziente e al tempo intercorso fra l'intossicazione e il prelievo per l'esame chimico; la concentrazione ematica, infatti, varia nel tempo in funzione dell'assorbimento, dei meccanismi di distribuzione e accumulo nei tessuti, del metabolismo e dell'eliminazione (3).

Emivita di eliminazione

Ad assorbimento completo, è particolarmente importante per le decisioni terapeutiche poter calcolare l'emivita di eliminazione della sostanza nel caso individuale. L'emivita plasmatica rappresenta il tempo necessario perché il picco di concentrazione plasmatica si riduca al 50%. Per emivita di eliminazione si intende invece il tempo necessario per eliminare metà della quantità di sostanza presente nell'organismo; essa si calcola dalla costante di eliminazione (K el) oppure registrando su carta semilogaritmica i valori di concentrazione forniti dal laboratorio. Per sostanze con cinetica di primo ordine, tali valori si allineano attorno ad una retta più o meno inclinata verso il basso, da ogni punto della quale si può determinare facilmente il tempo necessario perché la concentrazione del tossico scenda a metà. Ciò consente di valutare (3):

a) se si è in campo di tossicità parenchimale (con indicazione a trattamenti specifici antidotici e/o di depurazione)

b) calcolare la velocità di eliminazione (e cioè il tempo necessario per raggiungere livelli non più pericolosi)

c) l'efficacia dei sistemi metabolico-escretori del paziente, la necessità di intervento artificiale, l'efficacia depurativa dell'eventuale metodo adottato.

L'emivita delle dosi terapeutiche può differire notevolmente da quella delle dosi tossiche, sia nel senso di un aumento (es. salicilati: da 2-4 ore a 25-30 ore; teofillina: da 8-9 ore a 12-24 ore) sia nel senso di una diminuzione (es. digossina). Non si possono quindi basare decisioni di importanza vitale, come l'indicazione e la scelta dei metodi di depurazione, su una sola determinazione di laboratorio, dalla quale si calcoli l'emivita semplicemente in base alla cinetica nota per le dosi terapeutiche.

Volume apparente di distribuzione

Il volume apparente di distribuzione (Vad), noto per gran parte dei farmaci, è molto importante per l'indicazione ai metodi di depurazione. Il Vad viene calcolato dalla quantità di sostanza presente nell'organismo (carico tossico) e dalla sua concentrazione nel plasma. E' detto "apparente" perché esso viene considerato come il volume in cui sarebbe distribuita la sostanza se questa avesse in tutto il compartimento corporeo la stessa concentrazione che ha nel plasma. L'organismo viene considerato come un unico compartimento, in cui un tossico dopo l'assorbimento si distribuisce rapidamente e in modo uniforme. Se una sostanza si distribuisce solo nell'acqua corporea totale, il suo Vad risulta pari a circa il 60% della massa corporea, per cui essa risulterà facilmente dializzabile (es: barbiturici a lunga emivita, meprobamato, bromuri) (4). Se una sostanza viene invece concentrata in quantità elevate in particolari tessuti, il suo Vad può risultare molto elevato; per alcune sostanze tale volume può essere molte volte multiplo dell'acqua corporea totale (es digossina: Vad 7-10 L/kg, cioè 500 litri e più in un adulto di 70 kg; antidepressivi triciclici: Vad 8-34 L/kg) (3). In genere tutti i farmaci psicotropi hanno elevata fissazione tessutale; gli antidepressivi triciclici, ad esempio, raggiungono una concentrazione miocardica che è 10 volte superiore a quella plasmatica (4).

Tutti i metodi di depurazione, in particolare quelli discontinui con circolo extracorporeo (emodialisi, emoperfusione) possono rimuovere solo la frazione di tossico presente nel sangue circolante e per il solo periodo di applicazione del metodo. Se la frazione ematica è piccola perché il Vad della sostanza è molto elevato, questi metodi sono in pratica inutili in quanto possono rimuovere una quantità di sostanza irrilevante rispetto al carico tossico totale anche se le clearances ottenute possono sembrare eccellenti (3, 4). In alcuni casi, tuttavia, pur in presenza di Vad elevato, è possibile rimuovere significative quantità di tossico se questo ha elevata velocità di ridistribuzione tessuti/sangue e se il trattamento viene effettuato per tempi sufficientemente lunghi.

Legame proteico

Molti farmaci e sostanze chimiche si legano in varia misura alle proteine plasmatiche, specialmente all'albumina. Questa lega in misura maggiore gli acidi organici lipofili che non le basi organiche lipofile; le piccole sostanze neutre e idrofile vengono legate solo in grado lieve, mentre alcuni farmaci basici si legano ad altre componenti plasmatiche, come l'a -1-glicoproteina acida (6). Solo la porzione libera (non legata) di tossico risulta attiva, e il legame proteico limita o impedisce il movimento della sostanza dal plasma, limitandone o impedendone il metabolismo e l'escrezione renale. Tuttavia il grado di legame proteico può variare notevolmente: esso dipende dalla concentrazione plasmatica delle proteine e dalla concentrazione del soluto (1). Infatti in caso di sovradosaggio i siti di legame con le proteine plasmatiche possono essere saturati: ad un aumento della concentrazione plasmatica del tossico può così corrispondere un aumento della frazione non legata e del Vad con conseguente alterata distribuzione compartimentale. Un esempio di questa diminuzione del legame proteico concentrazione-dipendente si ha nell'intossicazione da acido acetilsalicilico. A normali dosaggi terapeutici e livelli ematici, il salicilato plasmatico è legato per il 90-95% alle proteine. Se assunto in dosi elevate, la concentrazione plasmatica supera la capacità legante dell'albumina, così che a concentrazioni di 800 mg/mL solo il 50% del farmaco risulta legato alle proteine (7). Questa situazione può in alcuni casi essere responsabile della scarsa correlazione fra la concentrazione plasmatica totale (libera + legata) e lo stato clinico del paziente (6).

Il legame tossico-proteine avviene in genere attraverso forze elettrostatiche o di Van der Waal, ed è reversibile; in alcuni casi si possono formare legami covalenti molto stabili. Quando una sostanza circola nel plasma legata in alta proporzione alle proteine (es. antidepressivi triciclici, anticoagulanti dicumarolici) e questo legame è stabile (es: bicloruro di mercurio), i metodi di depurazione per via renale e quelli dialitici risultano inefficaci; possono invece essere utili l'emoperfusione su colonna di carbone o resina, l'exsanguinotrasfusione e la plasmaferesi se il Vad è limitato, mentre è dubbio il valore della dialisi con fluido dializzante arricchito di albumina come "trappola competitiva" per il legame proteico plasmatico. In alcuni casi, tuttavia, il legame con le proteine può essere dissociabile (spontaneamente o con artifici), rendendo efficaci le tecniche depurative (4).

Dissociazione del tossico dai siti di legame e ridistribuzione dai depositi tessutali

La velocità di dissociazione dai siti di legame (sia plasmatici che tessutali) e di ridistribuzione intercompartimentale condizionano l'efficacia dei metodi di depurazione. Ad esempio, se le velocità di dissociazione e di ridistribuzione tessuti/plasma sono lente, esse possono annullare l'efficacia clinica del metodo di depurazione anche per sostanze con Vad relativamente piccolo; se elevate, possono rendere utile l'utilizzo delle metodiche di depurazione anche per sostanze con Vad elevato. Queste caratteristiche farmacocinetiche possono determinare, con i metodi discontinui (es: emodialisi, emoperfusione) pericolosi fenomeni di rebound negli intervalli fra due trattamenti (3).

Solubilità in acqua, grado di ionizzazione, liposolubilità

La permeabilità delle membrane biologiche ai tossici dipende in gran parte dal loro grado di liposolubilità (indicata dal coefficiente di partizione solvente/acqua), mentre l'escrezione renale dipende essenzialmente dal grado di solubilità in acqua. Solubilità in acqua e liposolubilità di alcuni farmaci e sostanze chimiche (acidi e basi deboli) dipendono dal grado di ionizzazione; questo varia in base alla costante di dissociazione (Ka) propria della sostanza e al pH del mezzo in cui si trovano in soluzione. In pratica acidi e basi deboli risultano ionizzati in percentuale diversa in relazione al pH della soluzione; il pKa rappresenta il valore di pH al quale il 50% della sostanza si trova in forma ionizzata (polare, idrosolubile) e il 50% in forma non ionizzata (non polare, liposolubile). Gli acidi deboli con pKa compreso fra 3,0 e 7,5, e le basi deboli con pKa compreso fra 7,5 e 10,5 sono le sostanze che meglio si prestano al meccanismo di trappola ionica utilizzato per aumentarne l'eliminazione (1, 8, 9). Le molecole non ionizzate sono liposolubili e diffondono attraverso le membrane cellulari (diffusione non ionica), mentre le molecole ionizzate sono incapaci di penetrare le membrane lipidiche. Un esempio dell'influenza della liposolubilità sulle tecniche di depurazione viene fornito da fenobarbital (pKa 7,2) e tiopentone (pKa 7,6): i due barbiturici hanno una costante di dissociazione (pKa) simile, ma liposolubilità molto differente (coefficiente di partizione cloruro di metilene/acqua: 3 per il fenobarbital e 80 per il tiopentone). Ciò significa che il 25-50% (o più in caso di intossicazione) di una dose di fenobarbital viene escreta non metabolizzata con le urine, mentre l'escrezione renale del tiopentone immodificato risulta dell'1% circa; questa differenza influisce notevolmente sulle scelte di trattamento nel sovradosaggio da questi farmaci (1).

I metodi di depurazione sono scarsamente efficaci nei confronti di tossici liposolubili, anche perché questi hanno in genere un Vad elevato, si accumulano nei tessuti ricchi di lipidi e quindi hanno concentrazioni plasmatiche basse: è risultata efficace solo l'emoperfusione su colonna di resina macroretinale (Amberlite XAD-4) che possiede alta affinità per le sostanze liposolubili, soprattutto quando queste, pur avendo un Vad elevato, ridiffondono facilmente e rapidamente dai tessuti al sangue. Scarsi risultati ha dato invece l'aggiunta di un olio al liquido di dialisi (3).

Biotrasformazione

Numerose sostanze vengono rapidamente biotrasformate in metaboliti sia inattivi che attivi o tossici; in questi casi sono più utili i rispettivi antidoti che possono modificare il processo metabolico nella direzione favorevole (es. tiosofato che accelera la conversione del cianuro in tiocianato; alcool etilico che rallenta la formazione di acido formico dal metanolo) o compensare la deplezione di molecole che agiscono come "spazzini" dei metaboliti tossici (N-acetilcisteina per i prodotti intermedi di ossidazione del paracetamolo e per la tossicità epatica degli idrocarburi alogenati). Tuttavia quando un veleno viene metabolizzato in sostanze più tossiche (es: metanolo, glicole etilenico) anche una depurazione extra-renale rapida può essere decisiva. In questi casi l'indicazione al tipo di trattamento verrà posta in base al carico tossico globale e al tempo necessario per la reperibilità di antidoti che blocchino il metabolismo del tossico o, per converso, al tempo necessario per approntare un trattamento depurativo.

Escrezione renale

Molte sostanze e loro metaboliti attivi passano nel filtrato glomerulare o sono secrete nei tubuli: esse possono però essere rapidamente riassorbite se in forma non ionizzata, liposolubile, mentre non riattraversano facilmente la parete tubulare se sotto forma di molecole polari, ionizzate. In base a ciò risulta possibile accelerare l'eliminazione renale di sostanze di cui si può variare il grado di ionizzazione (indicato dal valore di pKa) modificando il pH urinario; questo meccanismo, detto di "trappola ionica", può essere abbinato alla diuresi forzata da carico idrico e da osmotici. Tuttavia alcuni fattori, quali l'elevata liposolubilità e l'alto Vad, possono rendere il metodo inefficace.

Un altro importante parametro per la valutazione della depurazione è la clearance del tossico: essa rappresenta il volume teorico di liquido che può essere depurato da una sostanza nell'unità di tempo da parte di un organo o di un sistema extracorporeo. Per clearance corporea totale (Cl) si intende la somma delle clearances di fegato, rene, polmone e degli altri organi che partecipano all'eliminazione del tossico dal corpo. Le clearances ottenute con i vari metodi di depurazione (es: emodialisi, emoperfusione) vengono invece calcolate dal flusso ematico e dal gradiente di concentrazione del farmaco attraverso il dializzatore o la cartuccia di emoperfusione, con la seguente formula

ClED (o ClEP) = Qb (Cin - Cout)/Cin

dove: ClED (o ClEP) = clearance dell'emodialisi (o dell'emoperfusione)

Q = flusso di sangue attraverso il sistema

Cin = concentrazione del tossico nel sangue in entrata nel sistema

Cout = concentrazione del tossico nel sangue in uscita dal sistema.

Il valore così ottenuto si riferisce solo al momento di esecuzione del campione, e non indica la clearance di tutto il trattamento. La misurazione di questo parametro in clinica è resa difficoltosa dalla presenza di numerose variabili (es: variabilità della portata della pompa, spesso di ± 30% rispetto al valore stimato) e parte comunque da presupposti non sempre accettabili (es: uguale concentrazione del tossico fra plasma e globuli rossi, o rapida riequilibrazione fra globuli rossi e plasma al passaggio del sangue nel sistema extracorporeo). Per queste ragioni le clearances del metodo depurativo utilizzato possono essere valutate più correttamente misurando la quantità di tossico rimasto nel dialisato o nel materiale adsorbente, secondo la seguente equazione

ClED (o ClEP) = A1/AUCb

dove: ClED (o ClEP) = clearance dell'emodialisi (o dell'emoperfusione)

A1 = quantità totale di tossico rimossa durante dialisi o emoperfusione

AUCb = area sotto la curva (concentrazione ematica/tempo durante la procedura).

Il valore di clearance così ottenuto rappresenta il valore approssimativo della clearance durante l'intero periodo di estrazione extracorporea del tossico (10).

Parametri clinici

La decisione di utilizzare trattamenti depurativi, specie se invasivi, dipende nella maggior parte dei casi dalla gravità del quadro clinico del paziente e più raramente dai livelli ematici del tossico. Tuttavia anche questa valutazione non ha da sola valore assoluto e non può prescindere dal corretto esame dei parametri farmaco-tossicologici della sostanza in causa sopra descritti. Dal punto di vista clinico è necessario valutare tre situazioni: la gravità del quadro clinico attuale o previsto, lo stato fisio-patologico del paziente antecedente l'intossicazione, il dosaggio del tossico nei liquidi biologici (4).

Gravità del quadro clinico attuale

L'indicazione a trattamenti depurativi (di sostanze dializzabili) mediante tecniche invasive si basa prevalentemente sulla gravità del quadro clinico del paziente intossicato e sul suo peggioramento progressivo nonostante una terapia intensiva di supporto e il ricorso a trattamenti depurativi meno invasivi quali la diuresi forzata (Tabella 3).

Tabella 3. Indicazioni cliniche e bioumorali all'emodialisi e all'emoperfusione

Fattori correlati al paziente Fattori correlati al tossico
intossicazione grave con coma molto profondo (livelli 6 o 7 della scala Bozza-Marrubini), ipotensione, ipotermia, insufficienza respiratoria dializzabilità
aggravamento progressivo e comparsa di complicazioni malgrado una terapia di rianimazione tempestiva ed energica intossicazione con veleno che può essere depurato e rimosso in misura maggiore rispetto alle normali clearances epatica o renale.
coma prolungato con complicazioni respiratorie o settiche ingestione e probabile assorbimento di dosi potenzialmente letali (determinato dopo decontaminazione intestinale)
coma prolungato in pazienti con patologie respiratorie preesistenti che favoriscano la comparsa di complicazioni (bronchite cronica, enfisema, ecc.) livelli ematici del tossico elevati, nei range di letalità
insufficienza epatica, cardiaca o renale tale da compromettere le normali funzioni di metabolismo-escrezione livelli elevati di veleni che vengono metabolizzati a sostanze più tossiche (es. metanolo, glicole etilenico)
  livelli elevati di veleni con effetti metabolici e/o ritardati (es. metanolo, glicole etilenico, paraquat)

Solo in caso di intossicazione da sostanze ad elevata tossicità parenchimale o che vengono biotrasformate in composti più tossici, la decisione per il trattamento depurativo si deve basare sul dosaggio plasmatico del tossico senza attendere l'aggravamento clinico (1, 2).

La valutazione del quadro clinico del paziente assume particolare importanza quando le normali vie di eliminazione del tossico diventano insufficienti. Numerose sostanze tossiche possono causare, oltre a tossicità lesionale o funzionale multiorgano, anche insufficienza epatica e/o renale diretta (es. paraquat, litio) o indiretta (es: amanitina). Per altre sostanze il processo di eliminazione (caratterizzato da una velocità dose-dipendente) è saturabile (es: etanolo, fenitoina, salicilici); il tossico stesso può quindi determinare la diminuzione o l'annullamento del proprio metabolismo ed eliminazione (10). Nel caso del paraquat, ad esempio, è noto che l'inadeguato trattamento dell'insufficienza renale determina una diminuita eliminazione del tossico e, come diretta conseguenza, una più precoce comparsa di fibrosi polmonare (11).

Patologie preesistenti

La situazione fisio-patologica del paziente antecedente l'intossicazione può influire sulla necessità e utilità di attuazione di una tecnica di depurazione. Alcuni pazienti, infatti, possono non essere in grado di sostenere un trattamento rianimatorio prolungato nel tempo o una situazione clinica comunque estremamente sfavorevole a causa di patologie gravi già in atto.

Le condizioni cliniche che possono in questi casi indurre ad attuare trattamenti depurativi invasivi che altrimenti potrebbero non trovare indicazione sono (4):

a) malattie cardiovascolari: l'ipertensione arteriosa grave, la cardiopatia scompensata l'edema polmonare controindicano il sovraccarico volemico per l'induzione di una diuresi forzata.
b) insufficienza renale cronica: la terapia dialitica in caso di intossicazione acuta diventa comunque indicata se la filtrazione glomerulare è inferiore a 20 mL/min e se il tossico è dializzabile
c) insufficienza epatica: sia le tecniche non invasive che quelle invasive possono essere sia le tecniche non invasive che quelle invasive possono essere indicate quando il tossico, che normalmente sarebbe metabolizzato a livello epatico, viene eliminato in forma ancora attiva dal rene (risultando quindi dializzabile). Ciò è vero più che altro sul piano teorico, in quanto il metabolismo epatico dei farmaci rimane efficace fino a distruzione del 90% del parenchima epatico.
d) età estreme i bambini e i grandi anziani sopportano male le intossicazioni prolungate (instabilità emodinamica e complicazioni per piaghe da decubito): in questi casi la depurazione può abbreviare notevolmente il decorso clinico.

In alcuni casi, invece, lo stato clinico (attuale o antecedente l'intossicazione) può controindicare l'uso di alcune tecniche, inducendo a tentare terapie conservative oppure meno efficaci ma meno invasive; ad esempio in caso di grave insufficienza cardiocircolatoria insensibile alle terapie, l'inadeguata portata cardiocircolatoria può costringere ad effettuare una dialisi peritoneale anziché una più efficace emoperfusione.

Dosaggio plasmatico del tossico

Benchè non debba mai essere disgiunta dalla valutazione clinica, la valutazione delle concentrazioni plasmatiche dei tossici (Tabella 4) può, in alcuni casi, rappresentare il parametro più importante per la decisione di attuare tecniche di depurazione (1, 2). Il dosaggio plasmatico del tossico in ogni caso deve sempre essere effettuato prima di iniziare qualunque trattamento di depurazione: esso consente la conferma diagnostica (in caso di anamnesi dubbia o muta), una valutazione di gravità (in alcuni casi) e, a posteriori, una corretta e rigorosa valutazione dell'efficacia della tecnica adottata.

Tabella 4. Valori di concentrazione plasmatica "limite" di alcuni tossici sopra i quali deve essere presa in considerazione una tecnica depurativa.

Sostanza Conc. plasmatica Tecnica di scelta
etanolo 4000-5000 mg /L ED
isopropanolo 4000 mg / L ED
metanolo 500 mg / L ED* > DP > DF
formiati 200 mg / L ED* > DP > DF
glicole etilenico 1.5 g / (?) ED*
salicilati 800 mg / L ED* > EP > DP > DF
fenobarbital 100 mg / L EP > ED > DF
barbiturici a emivita/L intermedia o breve 50 mg EP
meprobamato 100 mg / L EP > ED
paraquat 1 mg / L EP > ED
arsenico 1 mg / L ED > DP
litio 2.5 mEq / L ED
fluoruri 500 µM / L ED
metaqualone 40 mg / L EP > ED
bromuri 1000 mg / L ED > DF
glutetimide 40 mg / L EP
etclorvinolo 150 mg / L EP > ED
teofillina 50-60 mg / L EP > ED
tricloroetanolo (da cloralio idrato) 50 mg / L EP

I valori considerati si riferiscono a pazienti adulti. La tecnica indicata è ritenuta di scelta purché non vi siano controindicazioni. Nelle intossicazioni "miste" le tecniche di depurazione possono essere prese in considerazione per concentrazioni plasmatiche inferiori ai livelli indicati in tabella. * = l'ED corregge anche le complicazioni metaboliche. Spiegazione delle sigle: DF=diuresi forzata; ED=emodialiasi; EP=emoperfusione; DP=dialisi peritoneale - vedi testo (modificato, da 1, 4, 7, 9)

Disponibilità delle strutture

Esistono nel nostro paese situazioni "logistiche" che condizionano la scelta di un metodo di depurazione rispetto ad un altro. Benchè il primo trattamento in caso di intossicazione acuta grave, cioè di quei pazienti che potrebbero beneficiare di una tecnica di depurazione invasiva, consista nella terapia sintomatica di rianimazione, in alcuni casi può essere necessario ricorrere a tecniche depurative in tempi relativamente brevi perché il trattamento sia efficace. Spesso, inoltre, la gravità del quadro clinico e problemi tecnici rendono necessario il trattamento depurativo di questi pazienti direttamente in reparti di terapia intensiva, oppure impediscono il trasferimento in altri ospedali. Le terapie di depurazione più semplici (diuresi forzata e dialisi peritoneale) possono essere effettuate in tutti i reparti di terapia intensiva; l'emodialisi e l'emoperfusione necessitano invece di strutture e personale addestrato disponibili solo in pochi reparti specializzati. In alcuni casi la distanza da un centro attrezzato e il tempo necessario per raggiungerlo, possono avere importanza determinante nella scelta della tecnica depurativa da utilizzare. Ad esempio nell'intossicazione da barbiturici può essere più utile effettuare una diuresi forzata o una dialisi peritoneale (meno efficaci, ma attuabili immediatamente) che non un'emoperfusione (più efficace, ma effettuabile dopo diverse ore e con i rischi di trasporto del paziente); ogni caso, però, va analizzato singolarmente, eventualmente con la consulenza di un Centro Antiveleni.

La disponibilità di una tecnica di depurazione e, per contro, la mancata disponibilità (per lo meno in tempi relativamente brevi) di un antidoto possono invece far cadere la scelta sul trattamento depurativo in casi in cui l'indicazione risulti obsoleta o dubbia. Ad esempio la mancanza di anticorpi antidigitale (antidoto efficace e risolutorio) può indicare l'emoperfusione nel trattamento dell'intossicazione digitalica, nonostante le sfavorevoli caratteristiche farmaco-tossicologiche di questi farmaci e la bassa estrazione del metodo depurativo. Nella descrizione delle indicazioni di ogni tecnica depurativa verranno valutate anche la potenzialità e la disponibilità d'impiego delle varie attrezzature, sempre in riferimento alla tossicologia clinica.

segue : 2^ parte , 3^ parte , 4^ parte