__________________________________________________________________ __________________________________________________________________ ISSN 1080-3521 EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia - Il giornale italiano on line di anestesia Vol 4 No 7 LUGLIO 1999 __________________________________________________________________ __________________________________________________________________ Pubblicato elettronicamente da: Vincenzo Lanza, MD Servizio di Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy E-mail: (lanza@mbox.unipa.it) Keith J Ruskin, MD Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine 333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA Office: 203-785-2802 E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu Copyright (C) 1996 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente, curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine. ________________________________________________________________ In questo numero: 1 TERAPIA INTRA-EXTRACORPOREA NEI TRATTAMENTI DELLE INTOSSICAZIONI DA FARMACI E VELENI (1^ parte) 2 TERAPIA INTRA-EXTRACORPOREA NEI TRATTAMENTI DELLE INTOSSICAZIONI DA FARMACI E VELENI (2^ parte) _______________________________________________________ 1 TERAPIA INTRA-EXTRACORPOREA NEI TRATTAMENTI DELLE INTOSSICAZIONI DA FARMACI E VELENI (1^ parte) _______________________________________________________ Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia e-mail: cnit@fsm.it 1. Introduzione 2. Parametri che condizionano l'indicazione a una tecnica di depurazione per il trattamento delle intossicazioni acute. Parametri farmaco-tossicologici Parametri clinici Disponibilità delle strutture 3. Metodi speciali di depurazione dai tossici Diuresi forzata Dialisi Emoperfusione Plasmaferesi Exsanguinotrasfusione 4. Valutazione dell'efficacia 5. Conclusioni 6. Bibliografia INTRODUZIONE L'intossicazione acuta è una condizione patologica causata da esposizione singola o plurima (ma in un lasso di tempo non superiore a 24 ore) ad una sostanza tossica. L'esposizione può avvenire attraverso varie vie, ma l'intossicazione grave, situazione clinica che frequentemente implica il ricovero in reparti di terapia intensiva, consegue più frequentemente all'ingestione. La patologia da causa tossica è caratterizzata da uno stretto rapporto fra tossico assunto e sintomi e da un caratteristico tempo di latenza fra l'assunzione e la comparsa dei sintomi. Ciò fa sì che il soccorso medico possa essere effettuato in molti casi sulla base della sola anamnesi e prima della comparsa di qualunque sintomo o segno. La terapia delle intossicazioni acute si basa su interventi che hanno una sequenza temporale caratteristica: 1) trattamento sintomatico di rianimazione 2) prevenzione o diminuzione dell'assorbimento 3) trattamento specifico: a) antidoti, b) tecniche speciali di depurazione. Il trattamento sintomatico di rianimazione ha diminuito la mortalità per avvelenamento a valori inferiori all'1% dei pazienti ricoverati. Tuttavia la sola terapia di rianimazione si rivela insufficiente, in una elevata percentuale dei casi, nelle intossicazioni gravi da ipnotici, da sostanze metabolizzate a composti più tossici (es: metanolo, glicole etilenico) o da agenti che determinano tossicità ritardata (es: paraquat, Amanita phalloides, Cortinarius orellanus), tanto che tutt'oggi questi avvelenamenti sono ancora gravati da un'elevata mortalità (1, 2). La ricerca di trattamenti efficaci per aumentare il tasso di sopravvivenza dei pazienti affetti da intossicazione grave ha introdotto nella pratica clinica tecniche atte a rimuovere i tossici già assorbiti: i primi casi di depurazione extra-renale da tossici risalgono al 1960 e da questa data in poi le indicazioni a tali metodiche si sono fatte via via più frequenti. Le tecniche speciali di depurazione comprendono tutti i metodi di uso clinico che consentono di rimuovere rapidamente dall'organismo il tossico (farmaci, sostanze chimiche) già assorbito (3). Questi metodi, che non costituiscono mai un intervento d'urgenza estrema, ma anzi caratterizzano l'ultimo momento del trattamento specifico dell'intossicato, possono essere distinti in non invasivi e invasivi (Tabella 1). Tabella 1. Tecniche speciali di depurazione da tossici di più comune impiego in tossicologia clinica Metodi non invasivi Metodi invasivi (extra-renali) iperventilazione dialisi peritoneale ossigenoterapia normo- o iperbarica emodialisi (*) diuresi forzata normale, acida, alcalina emoperfusione (*) captazione-evacuazione intestinale plasmaferesi (*) exsanguinotrasfusione (*) richiedono circolo extracorporeo I metodi non invasivi accelerano i meccanismi di eliminazione per le vie naturali (polmonare, renale, enterica) ed hanno il solo scopo di aumentare l'eliminazione del tossico o dei suoi metaboliti. I metodi invasivi (depurazione extra-renale) invece, richiedono un accesso cruento alle cavità corporee o al sistema cardiocircolatorio, e portano alla rimozione del tossico per dialisi, adsorbimento o per sostituzione del sangue in toto e dei suoi componenti; essi conseguono, singolarmente o congiuntamente, tre risultati fondamentali (4): a) eliminazione del tossico b) correzione delle turbe metaboliche legate all'azione del tossico o dei suoi metaboliti c) trattamento delle insufficienze renali acute di origine tossica. Il più efficace di questi metodi si è rivelato, fino ad ora, l'adsorbimento su carbone o resina; tuttavia altre tecniche di più recente introduzione e oggi di largo impiego clinico (emofiltrazione arterovenosa continua -CAVH-, emodialisi arterovenosa continua -CAVHD-, ecc.), che per il momento non hanno nessuna indicazione accertata in tossicologia clinica, potrebbero in un futuro non lontano rivelarsi estremamente utili in virtù della caratteristica di continuità del trattamento. PARAMETRI CHE CONDIZIONANO L'INDICAZIONE A UNA TECNICA DI DEPURAZIONE PER IL TRATTAMENTO DELLE INTOSSICAZIONI ACUTE. La corretta applicazione delle procedure terapeutiche in grado di aumentare la rimozione di tossici già assorbiti può ridurre la morbidità e mortalità di alcuni avvelenamenti in confronto alle terapie conservative. Per ottenere questi risultati, i trattamenti devono però consentire la rimozione in un tempo ragionevole di quantità clinicamente significative del tossico o dei suoi metaboliti senza comportare rischi elevati per il paziente. Tuttavia i metodi depurativi che si sono dimostrati efficaci (per lo meno in termini di clearance), comportano anche numerosi rischi; quindi, poiché solamente pochi studi hanno indagato in modo obiettivo l'effetto di queste terapie nei riguardi di morbilità e mortalità, l'uso di tali procedure richiede una attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio. Le indicazioni teoriche e pratiche alle tecniche di depurazione, specialmente per quelle extra-renali, si fondano sulla valutazione integrata di tre ordini di parametri: 1. parametri farmaco-tossicologici, legati a natura chimica, distribuzione e metabolismo del tossico nell'organismo (farmaco-tossicocinetica) 2. parametri clinici, inerenti sia lo stato clinico attuale dell'intossicato che quello precedente l'avvelenamento 3. disponibilità delle strutture, consistente nella possibilità di attuare tecniche di depurazione in tempi utili. Parametri farmaco-tossicologici Alcuni parametri molecolari e cinetici caratteristici dei singoli veleni condizionano in modo importante la possibilità di depurazione, tanto che l'utilizzo di questo tipo di trattamento non ha la frequenza che ci si potrebbe aspettare valutando i dati di clearance ematica dei tossici. Infatti, anche se in teoria la maggior parte dei veleni è dializzabile o adsorbibile su carbone o resina, l'efficacia terapeutica dei metodi di depurazione dipende essenzialmente dalla quantità di sostanza che può essere rimossa (in tempo utile) in rapporto al carico tossico totale dell'organismo (in particolare quello che ha raggiunto gli organi bersaglio). Per ciascun veleno questa quantità dipende, molto più che dalla clearance ematica ottenibile con i vari metodi, da alcune caratteristiche farmaco- o tossicocinetiche della sostanza stessa (Tabella 2) (3). Tabella 2. Caratteristiche cinetiche dei tossici che favoriscono l'applicazione di tecniche di depurazione lunga emivita lenta metabolizzazione elevata concentrazione ematica fenomeni di riassorbimento elevata solubilità in acqua circolo entero-epatico/circolo entero-enterico elevata velocità di dissociazione dai siti di legame riassorbimento tubulare renale elevata velocità di ridistribuzione intecompartimentale basso peso molecolare basso volume apparente di distribuzione bassa frazione di legame protidico bassa liposolubilità eliminazione prevalente per via renale Tuttavia il numero di queste variabili, non tutte note per tutte le sostanze, soprattutto alle dosi tossiche, rende assai difficile prevedere con precisione l'efficacia clinica dei diversi metodi nel singolo caso. Per questa ragione l'indicazione a una tecnica di depurazione dipende da una valutazione che tenga conto sia dei parametri farmaco-tossicologici che qui di seguito vengono analizzati, che della situazione clinica dell'intossicato. Peso molecolare Il peso molecolare (pm) del tossico è particolarmente importante in caso di depurazione extra-renale, sia per la scelta dei materiali da utilizzare che per la scelta della tecnica. Le membrane dialitiche, infatti, sono facilmente permeabili a molecole con pm inferiore a 500 daltons, anche se è possibile dializzare molecole di media grandezza (pm fino a 5.000); con l'emoperfusione, invece, la capacità adsorbente risulta praticamente indipendente dal pm del tossico. Dose tossica e dose letale La dose tossica (DT) e la dose letale (DL50) sono valori ricavati per lo più dalla ricerca sperimentale e pertanto consentono solamente una valutazione generica della pericolosità di una sostanza nell'uomo. Oltre a ciò la mancanza di una anamnesi precisa (più del 50% dei casi), le variazioni nella velocità ed entità di assorbimento, metabolismo ed eliminazione e nella risposta individuale all'effetto del tossico, suggeriscono di basare le scelte di trattamento sui dati clinici del paziente e non in assoluto sul rapporto fra dose assunta e dose letale. Fanno eccezione le sostanze ad alta tossicità parenchimale preceduta da fase di latenza (es. amanitina, paracetamolo, paraquat) per le quali l'indicazione al trattamento va posta monitorando i livelli ematici e l'emivita del tossico o altri dati biochimici ben correlabili con la prognosi clinica, senza attendere i segni obiettivi del danno (3). Concentrazioni ematiche Le concentrazioni raggiunte dal tossico nel sangue sono valori molto più utili della DT e della DL50 per valutare la gravità di un avvelenamento, specialmente per le sostanze a basso volume apparente di distribuzione per le quali il livello ematico è effettivamente indicativo del carico tossico dell'organismo. Nell'uomo mancano purtroppo dati precisi sulle concentrazioni ematiche "normali" (per i tossici ambientali) o "terapeutiche" (per i farmaci) da raffrontare a quelle tossiche e a quelle letali, se non per un numero limitato di sostanze (in massima parte medicamenti) (5). I limiti di questa valutazione sono rappresentati dalle variazioni individuali nelle risposte al tossico e dalla necessità di laboratori ben attrezzati con possibilità di metodi analitici quantitativi precisi e risposta rapida. Inoltre il dato di laboratorio va valutato non solo in rapporto ai valori di DT e DL50 ma anche e soprattutto con riferimento alle condizioni cliniche del paziente e al tempo intercorso fra l'intossicazione e il prelievo per l'esame chimico; la concentrazione ematica, infatti, varia nel tempo in funzione dell'assorbimento, dei meccanismi di distribuzione e accumulo nei tessuti, del metabolismo e dell'eliminazione (3). Emivita di eliminazione Ad assorbimento completo, è particolarmente importante per le decisioni terapeutiche poter calcolare l'emivita di eliminazione della sostanza nel caso individuale. L'emivita plasmatica rappresenta il tempo necessario perché il picco di concentrazione plasmatica si riduca al 50%. Per emivita di eliminazione si intende invece il tempo necessario per eliminare metà della quantità di sostanza presente nell'organismo; essa si calcola dalla costante di eliminazione (K el) oppure registrando su carta semilogaritmica i valori di concentrazione forniti dal laboratorio. Per sostanze con cinetica di primo ordine, tali valori si allineano attorno ad una retta più o meno inclinata verso il basso, da ogni punto della quale si può determinare facilmente il tempo necessario perché la concentrazione del tossico scenda a metà. Ciò consente di valutare (3): a) se si è in campo di tossicità parenchimale (con indicazione a trattamenti specifici antidotici e/o di depurazione) b) calcolare la velocità di eliminazione (e cioè il tempo necessario per raggiungere livelli non più pericolosi) c) l'efficacia dei sistemi metabolico-escretori del paziente, la necessità di intervento artificiale, l'efficacia depurativa dell'eventuale metodo adottato. L'emivita delle dosi terapeutiche può differire notevolmente da quella delle dosi tossiche, sia nel senso di un aumento (es. salicilati: da 2-4 ore a 25-30 ore; teofillina: da 8-9 ore a 12-24 ore) sia nel senso di una diminuzione (es. digossina). Non si possono quindi basare decisioni di importanza vitale, come l'indicazione e la scelta dei metodi di depurazione, su una sola determinazione di laboratorio, dalla quale si calcoli l'emivita semplicemente in base alla cinetica nota per le dosi terapeutiche. Volume apparente di distribuzione Il volume apparente di distribuzione (Vad), noto per gran parte dei farmaci, è molto importante per l'indicazione ai metodi di depurazione. Il Vad viene calcolato dalla quantità di sostanza presente nell'organismo (carico tossico) e dalla sua concentrazione nel plasma. E' detto "apparente" perché esso viene considerato come il volume in cui sarebbe distribuita la sostanza se questa avesse in tutto il compartimento corporeo la stessa concentrazione che ha nel plasma. L'organismo viene considerato come un unico compartimento, in cui un tossico dopo l'assorbimento si distribuisce rapidamente e in modo uniforme. Se una sostanza si distribuisce solo nell'acqua corporea totale, il suo Vad risulta pari a circa il 60% della massa corporea, per cui essa risulterà facilmente dializzabile (es: barbiturici a lunga emivita, meprobamato, bromuri) (4). Se una sostanza viene invece concentrata in quantità elevate in particolari tessuti, il suo Vad può risultare molto elevato; per alcune sostanze tale volume può essere molte volte multiplo dell'acqua corporea totale (es digossina: Vad 7-10 L/kg, cioè 500 litri e più in un adulto di 70 kg; antidepressivi triciclici: Vad 8-34 L/kg) (3). In genere tutti i farmaci psicotropi hanno elevata fissazione tessutale; gli antidepressivi triciclici, ad esempio, raggiungono una concentrazione miocardica che è 10 volte superiore a quella plasmatica (4). Tutti i metodi di depurazione, in particolare quelli discontinui con circolo extracorporeo (emodialisi, emoperfusione) possono rimuovere solo la frazione di tossico presente nel sangue circolante e per il solo periodo di applicazione del metodo. Se la frazione ematica è piccola perché il Vad della sostanza è molto elevato, questi metodi sono in pratica inutili in quanto possono rimuovere una quantità di sostanza irrilevante rispetto al carico tossico totale anche se le clearances ottenute possono sembrare eccellenti (3, 4). In alcuni casi, tuttavia, pur in presenza di Vad elevato, è possibile rimuovere significative quantità di tossico se questo ha elevata velocità di ridistribuzione tessuti/sangue e se il trattamento viene effettuato per tempi sufficientemente lunghi. Legame proteico Molti farmaci e sostanze chimiche si legano in varia misura alle proteine plasmatiche, specialmente all'albumina. Questa lega in misura maggiore gli acidi organici lipofili che non le basi organiche lipofile; le piccole sostanze neutre e idrofile vengono legate solo in grado lieve, mentre alcuni farmaci basici si legano ad altre componenti plasmatiche, come l'a -1-glicoproteina acida (6). Solo la porzione libera (non legata) di tossico risulta attiva, e il legame proteico limita o impedisce il movimento della sostanza dal plasma, limitandone o impedendone il metabolismo e l'escrezione renale. Tuttavia il grado di legame proteico può variare notevolmente: esso dipende dalla concentrazione plasmatica delle proteine e dalla concentrazione del soluto (1). Infatti in caso di sovradosaggio i siti di legame con le proteine plasmatiche possono essere saturati: ad un aumento della concentrazione plasmatica del tossico può così corrispondere un aumento della frazione non legata e del Vad con conseguente alterata distribuzione compartimentale. Un esempio di questa diminuzione del legame proteico concentrazione-dipendente si ha nell'intossicazione da acido acetilsalicilico. A normali dosaggi terapeutici e livelli ematici, il salicilato plasmatico è legato per il 90-95% alle proteine. Se assunto in dosi elevate, la concentrazione plasmatica supera la capacità legante dell'albumina, così che a concentrazioni di 800 mg/mL solo il 50% del farmaco risulta legato alle proteine (7). Questa situazione può in alcuni casi essere responsabile della scarsa correlazione fra la concentrazione plasmatica totale (libera + legata) e lo stato clinico del paziente (6). Il legame tossico-proteine avviene in genere attraverso forze elettrostatiche o di Van der Waal, ed è reversibile; in alcuni casi si possono formare legami covalenti molto stabili. Quando una sostanza circola nel plasma legata in alta proporzione alle proteine (es. antidepressivi triciclici, anticoagulanti dicumarolici) e questo legame è stabile (es: bicloruro di mercurio), i metodi di depurazione per via renale e quelli dialitici risultano inefficaci; possono invece essere utili l'emoperfusione su colonna di carbone o resina, l'exsanguinotrasfusione e la plasmaferesi se il Vad è limitato, mentre è dubbio il valore della dialisi con fluido dializzante arricchito di albumina come "trappola competitiva" per il legame proteico plasmatico. In alcuni casi, tuttavia, il legame con le proteine può essere dissociabile (spontaneamente o con artifici), rendendo efficaci le tecniche depurative (4). Dissociazione del tossico dai siti di legame e ridistribuzione dai depositi tessutali La velocità di dissociazione dai siti di legame (sia plasmatici che tessutali) e di ridistribuzione intercompartimentale condizionano l'efficacia dei metodi di depurazione. Ad esempio, se le velocità di dissociazione e di ridistribuzione tessuti/plasma sono lente, esse possono annullare l'efficacia clinica del metodo di depurazione anche per sostanze con Vad relativamente piccolo; se elevate, possono rendere utile l'utilizzo delle metodiche di depurazione anche per sostanze con Vad elevato. Queste caratteristiche farmacocinetiche possono determinare, con i metodi discontinui (es: emodialisi, emoperfusione) pericolosi fenomeni di rebound negli intervalli fra due trattamenti (3). Solubilità in acqua, grado di ionizzazione, liposolubilità La permeabilità delle membrane biologiche ai tossici dipende in gran parte dal loro grado di liposolubilità (indicata dal coefficiente di partizione solvente/acqua), mentre l'escrezione renale dipende essenzialmente dal grado di solubilità in acqua. Solubilità in acqua e liposolubilità di alcuni farmaci e sostanze chimiche (acidi e basi deboli) dipendono dal grado di ionizzazione; questo varia in base alla costante di dissociazione (Ka) propria della sostanza e al pH del mezzo in cui si trovano in soluzione. In pratica acidi e basi deboli risultano ionizzati in percentuale diversa in relazione al pH della soluzione; il pKa rappresenta il valore di pH al quale il 50% della sostanza si trova in forma ionizzata (polare, idrosolubile) e il 50% in forma non ionizzata (non polare, liposolubile). Gli acidi deboli con pKa compreso fra 3,0 e 7,5, e le basi deboli con pKa compreso fra 7,5 e 10,5 sono le sostanze che meglio si prestano al meccanismo di trappola ionica utilizzato per aumentarne l'eliminazione (1, 8, 9). Le molecole non ionizzate sono liposolubili e diffondono attraverso le membrane cellulari (diffusione non ionica), mentre le molecole ionizzate sono incapaci di penetrare le membrane lipidiche. Un esempio dell'influenza della liposolubilità sulle tecniche di depurazione viene fornito da fenobarbital (pKa 7,2) e tiopentone (pKa 7,6): i due barbiturici hanno una costante di dissociazione (pKa) simile, ma liposolubilità molto differente (coefficiente di partizione cloruro di metilene/acqua: 3 per il fenobarbital e 80 per il tiopentone). Ciò significa che il 25-50% (o più in caso di intossicazione) di una dose di fenobarbital viene escreta non metabolizzata con le urine, mentre l'escrezione renale del tiopentone immodificato risulta dell'1% circa; questa differenza influisce notevolmente sulle scelte di trattamento nel sovradosaggio da questi farmaci (1). I metodi di depurazione sono scarsamente efficaci nei confronti di tossici liposolubili, anche perché questi hanno in genere un Vad elevato, si accumulano nei tessuti ricchi di lipidi e quindi hanno concentrazioni plasmatiche basse: è risultata efficace solo l'emoperfusione su colonna di resina macroretinale (Amberlite XAD-4) che possiede alta affinità per le sostanze liposolubili, soprattutto quando queste, pur avendo un Vad elevato, ridiffondono facilmente e rapidamente dai tessuti al sangue. Scarsi risultati ha dato invece l'aggiunta di un olio al liquido di dialisi (3). Biotrasformazione Numerose sostanze vengono rapidamente biotrasformate in metaboliti sia inattivi che attivi o tossici; in questi casi sono più utili i rispettivi antidoti che possono modificare il processo metabolico nella direzione favorevole (es. tiosofato che accelera la conversione del cianuro in tiocianato; alcool etilico che rallenta la formazione di acido formico dal metanolo) o compensare la deplezione di molecole che agiscono come "spazzini" dei metaboliti tossici (N-acetilcisteina per i prodotti intermedi di ossidazione del paracetamolo e per la tossicità epatica degli idrocarburi alogenati). Tuttavia quando un veleno viene metabolizzato in sostanze più tossiche (es: metanolo, glicole etilenico) anche una depurazione extra-renale rapida può essere decisiva. In questi casi l'indicazione al tipo di trattamento verrà posta in base al carico tossico globale e al tempo necessario per la reperibilità di antidoti che blocchino il metabolismo del tossico o, per converso, al tempo necessario per approntare un trattamento depurativo. Escrezione renale Molte sostanze e loro metaboliti attivi passano nel filtrato glomerulare o sono secrete nei tubuli: esse possono però essere rapidamente riassorbite se in forma non ionizzata, liposolubile, mentre non riattraversano facilmente la parete tubulare se sotto forma di molecole polari, ionizzate. In base a ciò risulta possibile accelerare l'eliminazione renale di sostanze di cui si può variare il grado di ionizzazione (indicato dal valore di pKa) modificando il pH urinario; questo meccanismo, detto di "trappola ionica", può essere abbinato alla diuresi forzata da carico idrico e da osmotici. Tuttavia alcuni fattori, quali l'elevata liposolubilità e l'alto Vad, possono rendere il metodo inefficace. Un altro importante parametro per la valutazione della depurazione è la clearance del tossico: essa rappresenta il volume teorico di liquido che può essere depurato da una sostanza nell'unità di tempo da parte di un organo o di un sistema extracorporeo. Per clearance corporea totale (Cl) si intende la somma delle clearances di fegato, rene, polmone e degli altri organi che partecipano all'eliminazione del tossico dal corpo. Le clearances ottenute con i vari metodi di depurazione (es: emodialisi, emoperfusione) vengono invece calcolate dal flusso ematico e dal gradiente di concentrazione del farmaco attraverso il dializzatore o la cartuccia di emoperfusione, con la seguente formula ClED (o ClEP) = Qb (Cin - Cout)/Cin dove: ClED (o ClEP) = clearance dell'emodialisi (o dell'emoperfusione) Q = flusso di sangue attraverso il sistema Cin = concentrazione del tossico nel sangue in entrata nel sistema Cout = concentrazione del tossico nel sangue in uscita dal sistema. Il valore così ottenuto si riferisce solo al momento di esecuzione del campione, e non indica la clearance di tutto il trattamento. La misurazione di questo parametro in clinica è resa difficoltosa dalla presenza di numerose variabili (es: variabilità della portata della pompa, spesso di ± 30% rispetto al valore stimato) e parte comunque da presupposti non sempre accettabili (es: uguale concentrazione del tossico fra plasma e globuli rossi, o rapida riequilibrazione fra globuli rossi e plasma al passaggio del sangue nel sistema extracorporeo). Per queste ragioni le clearances del metodo depurativo utilizzato possono essere valutate più correttamente misurando la quantità di tossico rimasto nel dialisato o nel materiale adsorbente, secondo la seguente equazione ClED (o ClEP) = A1/AUCb dove: ClED (o ClEP) = clearance dell'emodialisi (o dell'emoperfusione) A1 = quantità totale di tossico rimossa durante dialisi o emoperfusione AUCb = area sotto la curva (concentrazione ematica/tempo durante la procedura). Il valore di clearance così ottenuto rappresenta il valore approssimativo della clearance durante l'intero periodo di estrazione extracorporea del tossico (10). Parametri clinici La decisione di utilizzare trattamenti depurativi, specie se invasivi, dipende nella maggior parte dei casi dalla gravità del quadro clinico del paziente e più raramente dai livelli ematici del tossico. Tuttavia anche questa valutazione non ha da sola valore assoluto e non può prescindere dal corretto esame dei parametri farmaco-tossicologici della sostanza in causa sopra descritti. Dal punto di vista clinico è necessario valutare tre situazioni: la gravità del quadro clinico attuale o previsto, lo stato fisio-patologico del paziente antecedente l'intossicazione, il dosaggio del tossico nei liquidi biologici (4). Gravità del quadro clinico attuale L'indicazione a trattamenti depurativi (di sostanze dializzabili) mediante tecniche invasive si basa prevalentemente sulla gravità del quadro clinico del paziente intossicato e sul suo peggioramento progressivo nonostante una terapia intensiva di supporto e il ricorso a trattamenti depurativi meno invasivi quali la diuresi forzata (Tabella 3). Tabella 3. Indicazioni cliniche e bioumorali all'emodialisi e all'emoperfusione Fattori correlati al paziente Fattori correlati al tossico intossicazione grave con coma molto profondo (livelli 6 o 7 della scala Bozza-Marrubini), ipotensione, ipotermia, insufficienza respiratoria dializzabilità aggravamento progressivo e comparsa di complicazioni malgrado una terapia di rianimazione tempestiva ed energica intossicazione con veleno che può essere depurato e rimosso in misura maggiore rispetto alle normali clearances epatica o renale. coma prolungato con complicazioni respiratorie o settiche ingestione e probabile assorbimento di dosi potenzialmente letali (determinato dopo decontaminazione intestinale) coma prolungato in pazienti con patologie respiratorie preesistenti che favoriscano la comparsa di complicazioni (bronchite cronica, enfisema, ecc.) livelli ematici del tossico elevati, nei range di letalità insufficienza epatica, cardiaca o renale tale da compromettere le normali funzioni di metabolismo-escrezione livelli elevati di veleni che vengono metabolizzati a sostanze più tossiche (es. metanolo, glicole etilenico) livelli elevati di veleni con effetti metabolici e/o ritardati (es. metanolo, glicole etilenico, paraquat) Solo in caso di intossicazione da sostanze ad elevata tossicità parenchimale o che vengono biotrasformate in composti più tossici, la decisione per il trattamento depurativo si deve basare sul dosaggio plasmatico del tossico senza attendere l'aggravamento clinico (1, 2). La valutazione del quadro clinico del paziente assume particolare importanza quando le normali vie di eliminazione del tossico diventano insufficienti. Numerose sostanze tossiche possono causare, oltre a tossicità lesionale o funzionale multiorgano, anche insufficienza epatica e/o renale diretta (es. paraquat, litio) o indiretta (es: amanitina). Per altre sostanze il processo di eliminazione (caratterizzato da una velocità dose-dipendente) è saturabile (es: etanolo, fenitoina, salicilici); il tossico stesso può quindi determinare la diminuzione o l'annullamento del proprio metabolismo ed eliminazione (10). Nel caso del paraquat, ad esempio, è noto che l'inadeguato trattamento dell'insufficienza renale determina una diminuita eliminazione del tossico e, come diretta conseguenza, una più precoce comparsa di fibrosi polmonare (11). Patologie preesistenti La situazione fisio-patologica del paziente antecedente l'intossicazione può influire sulla necessità e utilità di attuazione di una tecnica di depurazione. Alcuni pazienti, infatti, possono non essere in grado di sostenere un trattamento rianimatorio prolungato nel tempo o una situazione clinica comunque estremamente sfavorevole a causa di patologie gravi già in atto. Le condizioni cliniche che possono in questi casi indurre ad attuare trattamenti depurativi invasivi che altrimenti potrebbero non trovare indicazione sono (4): a) malattie cardiovascolari: l'ipertensione arteriosa grave, la cardiopatia scompensata l'edema polmonare controindicano il sovraccarico volemico per l'induzione di una diuresi forzata. b) insufficienza renale cronica: la terapia dialitica in caso di intossicazione acuta diventa comunque indicata se la filtrazione glomerulare è inferiore a 20 mL/min e se il tossico è dializzabile c) insufficienza epatica: sia le tecniche non invasive che quelle invasive possono essere sia le tecniche non invasive che quelle invasive possono essere indicate quando il tossico, che normalmente sarebbe metabolizzato a livello epatico, viene eliminato in forma ancora attiva dal rene (risultando quindi dializzabile). Ciò è vero più che altro sul piano teorico, in quanto il metabolismo epatico dei farmaci rimane efficace fino a distruzione del 90% del parenchima epatico. d) età estreme i bambini e i grandi anziani sopportano male le intossicazioni prolungate (instabilità emodinamica e complicazioni per piaghe da decubito): in questi casi la depurazione può abbreviare notevolmente il decorso clinico. In alcuni casi, invece, lo stato clinico (attuale o antecedente l'intossicazione) può controindicare l'uso di alcune tecniche, inducendo a tentare terapie conservative oppure meno efficaci ma meno invasive; ad esempio in caso di grave insufficienza cardiocircolatoria insensibile alle terapie, l'inadeguata portata cardiocircolatoria può costringere ad effettuare una dialisi peritoneale anziché una più efficace emoperfusione. Dosaggio plasmatico del tossico Benchè non debba mai essere disgiunta dalla valutazione clinica, la valutazione delle concentrazioni plasmatiche dei tossici (Tabella 4) può, in alcuni casi, rappresentare il parametro più importante per la decisione di attuare tecniche di depurazione (1, 2). Il dosaggio plasmatico del tossico in ogni caso deve sempre essere effettuato prima di iniziare qualunque trattamento di depurazione: esso consente la conferma diagnostica (in caso di anamnesi dubbia o muta), una valutazione di gravità (in alcuni casi) e, a posteriori, una corretta e rigorosa valutazione dell'efficacia della tecnica adottata. Tabella 4. Valori di concentrazione plasmatica "limite" di alcuni tossici sopra i quali deve essere presa in considerazione una tecnica depurativa. Sostanza Conc. plasmatica Tecnica di scelta etanolo 4000-5000 mg /L ED isopropanolo 4000 mg / L ED metanolo 500 mg / L ED* > DP > DF formiati 200 mg / L ED* > DP > DF glicole etilenico 1.5 g / (?) ED* salicilati 800 mg / L ED* > EP > DP > DF fenobarbital 100 mg / L EP > ED > DF barbiturici a emivita/L intermedia o breve 50 mg EP meprobamato 100 mg / L EP > ED paraquat 1 mg / L EP > ED arsenico 1 mg / L ED > DP litio 2.5 mEq / L ED fluoruri 500 µM / L ED metaqualone 40 mg / L EP > ED bromuri 1000 mg / L ED > DF glutetimide 40 mg / L EP etclorvinolo 150 mg / L EP > ED teofillina 50-60 mg / L EP > ED tricloroetanolo (da cloralio idrato) 50 mg / L EP I valori considerati si riferiscono a pazienti adulti. La tecnica indicata è ritenuta di scelta purché non vi siano controindicazioni. Nelle intossicazioni "miste" le tecniche di depurazione possono essere prese in considerazione per concentrazioni plasmatiche inferiori ai livelli indicati in tabella. * = l'ED corregge anche le complicazioni metaboliche. Spiegazione delle sigle: DF=diuresi forzata; ED=emodialiasi; EP=emoperfusione; DP=dialisi peritoneale - vedi testo (modificato, da 1, 4, 7, 9) Disponibilità delle strutture Esistono nel nostro paese situazioni "logistiche" che condizionano la scelta di un metodo di depurazione rispetto ad un altro. Benchè il primo trattamento in caso di intossicazione acuta grave, cioè di quei pazienti che potrebbero beneficiare di una tecnica di depurazione invasiva, consista nella terapia sintomatica di rianimazione, in alcuni casi può essere necessario ricorrere a tecniche depurative in tempi relativamente brevi perché il trattamento sia efficace. Spesso, inoltre, la gravità del quadro clinico e problemi tecnici rendono necessario il trattamento depurativo di questi pazienti direttamente in reparti di terapia intensiva, oppure impediscono il trasferimento in altri ospedali. Le terapie di depurazione più semplici (diuresi forzata e dialisi peritoneale) possono essere effettuate in tutti i reparti di terapia intensiva; l'emodialisi e l'emoperfusione necessitano invece di strutture e personale addestrato disponibili solo in pochi reparti specializzati. In alcuni casi la distanza da un centro attrezzato e il tempo necessario per raggiungerlo, possono avere importanza determinante nella scelta della tecnica depurativa da utilizzare. Ad esempio nell'intossicazione da barbiturici può essere più utile effettuare una diuresi forzata o una dialisi peritoneale (meno efficaci, ma attuabili immediatamente) che non un'emoperfusione (più efficace, ma effettuabile dopo diverse ore e con i rischi di trasporto del paziente); ogni caso, però, va analizzato singolarmente, eventualmente con la consulenza di un Centro Antiveleni. La disponibilità di una tecnica di depurazione e, per contro, la mancata disponibilità (per lo meno in tempi relativamente brevi) di un antidoto possono invece far cadere la scelta sul trattamento depurativo in casi in cui l'indicazione risulti obsoleta o dubbia. Ad esempio la mancanza di anticorpi antidigitale (antidoto efficace e risolutorio) può indicare l'emoperfusione nel trattamento dell'intossicazione digitalica, nonostante le sfavorevoli caratteristiche farmaco-tossicologiche di questi farmaci e la bassa estrazione del metodo depurativo. Nella descrizione delle indicazioni di ogni tecnica depurativa verranno valutate anche la potenzialità e la disponibilità d'impiego delle varie attrezzature, sempre in riferimento alla tossicologia clinica. segue : 2^ parte , 3^ parte , 4^ parte _______________________________________________________ 2 TERAPIA INTRA-EXTRACORPOREA NEI TRATTAMENTI DELLE INTOSSICAZIONI (2^ parte) _______________________________________________________ Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia e-mail: cnit@fsm.it vedi : 1^ parte 1. Introduzione 2. Parametri che condizionano l'indicazione a una tecnica di depurazione per il trattamento delle intossicazioni acute. Parametri farmaco-tossicologici Parametri clinici Disponibilità delle strutture 3. Metodi speciali di depurazione dai tossici Diuresi forzata Dialisi Emoperfusione Plasmaferesi Exsanguinotrasfusione 4. Valutazione dell'efficacia 5. Conclusioni 6. Bibliografia METODI SPECIALI DI DEPURAZIONE DAI TOSSICI I principi generali fin qui esposti spiegano i meccanismi sui quali si basano i metodi di depurazione da tossici e le ragioni delle loro indicazioni e controindicazioni, ma difficilmente consentono di prevedere la reale efficacia di ogni tecnica nel singolo caso. Nell'analisi specifica dei vari metodi verranno presi in esame i principi su cui ognuno di essi si fonda, le indicazioni accertate clinicamente e quelle ancora allo studio, nonché le controindicazioni e i pericoli potenziali. Fra i metodi non invasivi verrà discussa in questo capitolo solo la diuresi forzata. DIURESI FORZATA La diuresi forzata (DF) è, in ordine di tempo, il primo metodo utilizzato nella pratica clinica per aumentare l'eliminazione di sostanze tossiche già assorbite; oggi rimane certamente il meno pericoloso. La DF per l'eliminazione di tossici si basa sull'integrità dei meccanismi fisiologici renali (filtrazione glomerulare, secrezione tubulare attiva e riassorbimento tubulare passivo) e su alcune proprietà cinetiche dei veleni (Tabella 5). Tabella 5. Fattori che condizionano l'efficacia della diuresi forzata Caratteristiche del tossico Caratteristiche renali Caratteristiche del filtrato peso molecolare concentrazione ematica volume apparente di distribuzione emivita grado di ionizzazione, solubilità in acqua, liposolubilità gradiente di concentrazione fra plasma e lume tubulare legame proteico (basso o rapidamente reversibile) legame tessutale velocità di ridistribuzione tessuti/plasma metabolizzazione (scarsa o assente) escrezione prevalentemente renale clearance corporea totale - flusso ematico - superficie e funzionalità glomerulare e tubulare - velocità del flusso urinario - volume del flusso urinario - composizione chimica (pH, tonicità, ecc) del filtrato Per aumentare l'escrezione renale di farmaci e sostanze chimiche che vengono filtrati dal glomerulo o attivamente secreti nel lume tubulare è necessario aumentarne la clearance e limitarne o impedirne il riassorbimento passivo. Poiché le sostanze escrete per filtrazione glomerulare vengono eliminate in quantità proporzionale al volume urinario, la diluizione delle urine con relativa diminuzione del gradiente di concentrazione lume tubulare/sangue costituisce il razionale del trattamento mediante DF semplice (9, 10). Per i tossici con caratteristiche di acidi o basi deboli invece, si parte da un presupposto differente. Queste sostanze risultano ionizzate (in soluzione) in percentuale diversa in relazione al pH del mezzo in cui si trovano; poiché le membrane cellulari sono più permeabili alla forma non polare (non ionizzata), il riassorbimento nel torrente ematico avviene quasi esclusivamente per i tossici presenti nel lume tubulare in quest'ultima forma. Aumentando il grado di ionizzazione, quindi, si può rendere il tossico meno riassorbibile aumentandone di pari passo l'escrezione renale: questo meccanismo è stato chiamato "trappola ionica". Per ottenere i massimi livelli di escrezione è perciò necessario raggiungere il massimo grado di ionizzazione; la massima escrezione di sostanze con pKa acido (acidi deboli) si ottiene a pH alcalino, e viceversa (3). Gli acidi deboli con pKa compreso fra 3,0 e 7,5 e le basi deboli con pKa compreso fra 7,5 e 10,5 sono le sostanze che meglio si prestano al meccanismo di "trappola ionica" che, abbinato alla DF da carico idrico e da osmotici, costituisce uno dei metodi di depurazione più spesso indicati sia per l'efficacia, sia per il rapporto favorevole fra costi e rischi da un lato, e benefici dall'altro (1, 2, 3, 8, 9). Tuttavia le sostanze che hanno un pKa che consente la "trappola ionica" entro limiti fisiologici e la cui eliminazione urinaria è dipendente dal flusso di urine sono in numero limitato (Tabella 6). Tabella 6. Costanti di dissociazione (pKa) di alcuni farmaci e sostanze chimiche. ACIDI BASI Farmaci pKa acetazolamide 7,2 ac. acetilsalicilico 3,49 ac. borico 9,24 ac.2,4-diclorofenossiacetico 2,6 ac. salicilico 3,0 amobarbital 7,7 barbital 7,91 clorpropamide 4,8 etosuccimide 9,3 fenobarbital 7,2 furosemide 3,8 Farmaci pKa idroclorotiazide 7,9 indometacina 4,5 metotrexate 5,5 pentobarbital 8,2 probenecid 3,4 sulfadiazina 6,48 teofillina 8,75 tiopentale 7,6 tolbutamide 5,3 valproato di sodio 4,8 Farmaci pKa aloperidolo 8,7 amfetamina 9,9 amiloride 7,2 amitriptilina 9,4 atropina 9,8 chinidina 8,4 chinina 8,4 clonidina 8,25 clorfeniramina 9,2 clorpromazina 9,3 Farmaci codeina 8,2 diazepam 3,3 difenidramina 8,3 efedrina 9,36 fenciclidina 8,5 fenfluramina 9,9 fenitoina 8,3 idralazina 7,1 imipramina 9,5 ketamina 7,5 lidocaina 7,9 Farmaci pKa litio carbonato 6,8 meperidina 8,7 metadone 8,6 morfina 8,05 naloxone 7,94 nortriptilina 9,73 pentazocina 9,0 procaina 8,8 procainamide 9,2 reserpina 6,6 triamterene 6,2 Sia da un punto di vista farmacologico che clinico, il meccanismo di trappola ionica accoppiato alla DF risulta meglio applicabile con gli acidi deboli che non con le basi deboli. Gli acidi deboli infatti hanno Vad relativamente più piccoli perché tendono a rimanere maggiormente nel plasma che ha un pH (7,4) relativamente più elevato del liquido intracellulare (7,0). Le basi deboli, invece, entrano più facilmente nelle cellule dove rimangono intrappolate dall'ambiente intracellulare più acido, risultando così meno disponibili per l'escrezione renale (1, 8). Prima di iniziare una DF è necessario posizionare un catetere vescicale (monitoraggio del flusso urinario), un catetere venoso centrale (monitoraggio pressione venosa centrale) ed eseguire la determinazione basale di elettrolitemia, pH arterioso e urinario, nonché il livello ematico del tossico. L'escrezione urinaria medio-normale è di 1-2 mL/kg/ora; con la DF questo volume può essere triplicato (2-6 mL/kg/ora). L'utilità di volumi urinari ancora più elevati (8-11 mL/kg/ora o più) è controverso e non sempre determina un significativo aumento dell'escrezione renale (1, 3, 8). La tecnica consiste nell'infusione endovenosa di 100-150 mL/kg di liquidi nelle 24 ore. I primi 1.000 mL, se non vi sono deficit di funzionalità renale o cardiocircolatoria, vanno infusi rapidamente (in 60-90 minuti). E' necessario controllare attentamente la diuresi oraria perchè il flusso di urine, a partire dalla seconda ora, deve essere pari o di poco inferiore al volume infuso ora per ora. Se ciò non si ottiene con il solo carico idrico, si può stimolare la diuresi con mannitolo (12,5-25 g e.v. seguiti da infusione di 100-300 mL/ora di una soluzione di mannitolo al 10%), con furosemide (40 mg/4-6 ore: particolarmente indicata nella intossicazione da litio), oppure con acetazolamide (in caso di DF alcalina) (3, 9). Nelle intossicazioni da barbiturici e salicilati l'uso di dosi elevate di mannitolo può determinare iponatremia e iperosmolarità; in questi casi perciò non devono essere superate dosi totali di 300 g (1). Durante DF sono necessari un'adeguata somministrazione di elettroliti (in particolare sodio e potassio) nonché un attento monitoraggio di pressione venosa centrale, diuresi oraria, pH urinario (ogni ora), pH plasmatico ed elettroliti (ogni 1-2 ore inizialmente, quindi ogni 2-4 ore) (2). La composizione dei liquidi da infondere varia in base all'influenza del pH urinario sull'eliminazione del tossico (DF normale, alcalina e acida). Il trattamento va interrotto se si notano aumento della pressione venosa centrale, tachicardia, dispnea, segni di minaccia di edema polmonare acuto, oppure se vi è uno sbilancio positivo fra entrate e uscite pari o superiore a 20 mL/kg e se tale ritenzione non risponde prontamente ai diuretici (3). La DF può causare sovraccarico idrico con edema polmonare acuto, intossicazione da acqua, edema cerebrale, squilibri elettrolitici e dell'equilibrio acido-base (alcalosi o acidosi a seconda della tecnica utilizzata, iper- o iponatremia, ipokaliemia, ipomagnesiemia, ipocalcemia) (1, 3, 8, 9). L'insufficiente perfusione renale in pazienti in stato di shock o ipotesi può far fallire la DF se prima di iniziare il trattamento non viene corretta la situazione clinica di base (ipovolemia, squilibri idroelettrolitici, deficit di pompa cardica) anche mediante l'uso di vasopressori. Le controindicazioni all'attuazione della DF sono rappresentate da shock, insufficienza cardiaca e renale, edema polmonare acuto, edema cerebrale, squilibri elettrolitici e alcalosi non compensati, sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico; questi quadri clinici possono essere determinati anche da numerose sostanze tossiche. Diuresi forzata semplice La diuresi forzata semplice (DFs) viene utilizzata quando il pH urinario non influenza l'escrezione renale del tossico (Tabella 7). Tabella 7. Indicazioni alla diuresi forzata (DF) semplice, alcalina e acida DF semplice DF alcalina DF acida Farmaco pKa Farmaco pKa Farmaco pKa ac. borico 9,24 ac. acetilsalicilico 3,49 amfetamina 9,9 amanitina ac. salicilico 3,0 fenfluramina 9,9 bromuri salicilati 3,5 fenciclidina 8,5 etanolo barbitale 7,91 chinina* 8,4 paraquat fenobarbital 7,2 1,2-dicloropropano isoniazide 3,5 ac. 2,4-dicloro-fenossiacetico 2,6 litio (carbonato)* 6,8 * = indicazione dubbia Si infondono soluzioni isoelettrolitiche aumentando o diminuendo gli elettroliti a seconda degli squilibri già in atto o che si vengono a creare, evidenziati dal monitoraggio effettuato ogni 2-4 ore. La DFs è indicata per aumentare l'escrezione di amanitina, bromuri, etanolo, paraquat, acido borico, idrocarburi alogenati (es. 1,2-dicloropropano). Diuresi forzata alcalina (DFal) e Diuresi alcalina (Dal) La diuresi forzata alcalina (DFal) consiste nell'accoppiare la DF semplice all'alcalinizzazione delle urine, mentre la diuresi alcalina (Dal) consiste solamente nella alcalinizzazione urinaria. Vengono utilizzate nelle intossicazioni da acidi deboli, quando il pH urinario alcalino aumenta l'eliminazione del tossico (Tabella 7). Dopo controllo della kaliemia ed eventuale correzione dei deficit di potassio si inizia l'alcalinizzazione mediante infusione di bicarbonato di sodio per via endovenosa alla dose di 1-2 mEq/kg in 15 mL/kg di soluzione glucosalina ogni 3-4 ore. Il valore del pH urinario, che deve essere controllato a brevi intervalli (1 ora), va mantenuto fra 7,5 e 8,5; in alcuni casi possono essere necessarie ulteriori dosi bolo di bicarbonato di sodio (0,5 mEq/kg) (1, 3, 8, 9, 10). Più raramente viene utilizzata l'acetazolamide, la quale, bloccando il riassorbimento del bicarbonato, può determinare acidosi metabolica e aumentare l'effetto tossico dei salicilici favorendo la distribuzione degli acidi deboli dal compartimento ematico a quello tessutale per il meccanismo di trappola ionica (6, 10); per questa ragione essa viene somministrata (250 mg/6 ore e.v.) insieme al bicarbonato di sodio (2-3 mEq/kg/24 h) (9). Il monitoraggio degli elettroliti sierici (specie della kaliemia) va eseguito frequentemente (ogni 1-2 ore inizialmente, quindi ogni 4-6 ore) e per tutta la durata del trattamento (9). La DFal è in grado di aumentare fino a 5 volte l'eliminazione di sostanze acide con pKa compreso fra 3,0 e 7,5. Le principali indicazioni sono rappresentare da fenobarbital (livelli superiori a 10 mg/dL), barbital (livelli superiori a 10 mg/dL), acido salicilico acetilsalicilico e salicilati (livelli superiori a 50 mg/dL, relativamente al tempo trascorso dall'ingestione), isoniazide, acido 2,4-diclorofenossiacetico (1, 2) e litio (3). L'importanza della DF nell'intossicazione salicilica è controversa, poiché l'alcalinizzazione urinaria da sola (Dal) aumenta significativamente l'eliminazione dei salicilici (12). Infatti, poiché l'acido salicilico ha un pKa di 3,0, a livelli di pH urinario di 3,0 il rapporto fra salicilato (ionizzato) e acido salicilico (non ionizzato) è di 1:1; a pH urinario di 7,0 questo rapporto sale a 10.000:1; se il pH sale a 7,4 il rapporto aumenta fino a 25.000:1. L'alcalinizzazione quindi diminuisce a livello plasmatico la quantità di acido salicilico diffusibile e il suo accumulo nel sistema nervoso centrale (1, 2); il mantenimento del pH urinario a valori di 7,4, inoltre, aumenta il rapporto fra salicilato ionizzato e acido salicilico non ionizzato nel lume tubulare renale con il meccanismo di "trappola ionica", accorciando considerevolmente l'emivita di eliminazione dei salicilati. L'aumento del pH determina però una maggiore entrata di potassio nelle cellule e una maggiore escrezione renale dell'elettrolita, con conseguente ipokaliemia; ogni aumento di pH ematico di 0,1 unità è accompagnato da una diminuzione del potassio plasmatico di 0,6 mEq/L (variazioni identiche, ma contrarie, si hanno in caso di diminuzione di pH) (1, 2). Quindi la DFal risulta utile nelle intossicazioni lievi o moderate da salicilici, mentre nelle intossicazioni gravi (livelli di salicilati superiori a 130 mg/dL a 6 ore dall'ingestione) sono più indicate l'emodialisi o l'emoperfusione per la possibile presenza di edema polmonare e cerebrale da salicilici, che controindicano la DF (1, 2). Diuresi forzata acida (DFac) La diuresi forzata acida (DFac) viene utilizzata nelle intossicazioni da sostanze che si comportano come basi deboli, quando il pH urinario acido aumenta l'eliminazione del tossico (Tabella 7). Essa consiste nell'accoppiare l'acidificazione delle urine alla DF ma, essendo tecnicamente più difficoltosa e complicata della DFal, viene utilizzata meno frequentemente. La tecnica è la stessa descritta per la DF semplice, ma alla infusione di soluzioni glucosaline o isoelettrolitiche vengono aggiunti cloruro di ammonio, acido cloridrico, acido ascorbico o soluzioni di lisina o arginina (cloridrato) per l'acidificazione delle urine. Il pH urinario, che deve essere monitorato a brevi intervalli (ogni ora), va mantenuto a valori inferiori a 5-6 (1, 3, 8, 9, 10); l'equilibrio idroelettrolitico e l'ammoniemia devono essere controllati ogni 1-2 ore inizialmente, quindi ogni 4-6 ore. Il cloruro di ammonio viene somministrato per via endovenosa in soluzione al 2% e alla dose di 75 mg/kg/die suddivisa in 4-6 somministrazioni; può essere somministrato, alle stesse dosi, anche per os o tramite sondino naso-gastrico. Il farmaco è controindicato in caso di insufficienza epatica o renale, e può determinare la comparsa di encefalopatia ammoniemica. In alternativa può essere utilizzato l'acido ascorbico (4-6 g/die o più e.v.), ma il farmaco sembra più efficace nel prevenire l'alcalinizzazione piuttosto che nell'acidificare le urine. La somministrazione (in vena centrale) di 0,2 mEq/kg/ora di una soluzione 0,1 M di acido cloridrico viene utilizzata più raramente, così come le soluzioni di lisina o arginina (cloridrato) (10 g per via endovenosa in 30 minuti) (2, 8, 10). La DFac aumenta l'eliminazione di sostanze basiche con pKa compreso fra 7,5 e 10,5. Può essere utile nelle intossicazioni da chinina, ma trova le principali indicazioni nelle intossicazioni da amfetamina, fenfluramina e fenciclidina (1, 3, 8, 9, 10). Tuttavia alcuni fattori limitano l'applicazione della DFac in questi avvelenamenti: l'amfetamina ha un elevato metabolismo epatico, mentre la fenciclidina ha un Vad elevato, un metabolismo epatico del 90% circa, e solo una piccola parte viene eliminata tal quale con le urine. La DFac quindi risulta particolarmente utile solo negli stati di coma prolungato da fenciclidina che si verificano in alcuni pazienti (lenti metabolizzatori: circa il 15% della popolazione). La DFac, inoltre, è controindicata in caso di insufficienza epatica, disfunzione renale e rabdomiolisi con mioglobinuria. Quest'ultima situazione clinica complica frequentemente le intossicazioni da amfetamina, fenciclidina e composti correlati; la maggior precipitazione a livello tubulare di mioglobina, in presenza di ambiente acido, controindica la DFac (8, 10). In realtà non è possibile standardizzare il tipo e la quantità percentuale di infusione da utilizzare per alcalinizzare o acidificare il pH urinario del paziente intossicato. Infatti il quadro clinico di molte intossicazioni è frequentemente caratterizzato da squilibri metabolici estremamente gravi e di difficile correzione, che richiedono già di per sé quantità diverse e spesso molto elevate di soluzioni tamponanti. Ad esempio, nel caso di intossicazione da alcool metilico, la DF alcalina si è rivelata un efficace metodo per aumentare l'escrezione di acido formico (principale metabolita tossico del metanolo); tuttavia questo avvelenamento è caratterizzato da una gravissima acidosi metabolica di difficile correzione, che richiede comunque l'immediata somministrazione di grandissime quantità di bicarbonato di sodio. In questi casi può risultare difficile, per lo meno nelle prime ore, alcalinizzare le urine nonostante la somministrazione rapida di 600 mmol o più di bicarbonato di sodio. segue : 3^ parte , 4^ parte Informazioni sulla rivista ESIA-Italia EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia costituisce la parte Italiana della versione Americana, pubblicata su Internet da Keith J Ruskin, Professore di Anestesia alla Università di Yale. I lavori saranno accettati sia in lingua Italiana che Inglese. In quelli di lingua Italiana un corposo riassunto in Inglese verrà preparato dalla redazione, qualora l'autore non fosse in grado di fornirlo. A cura della redazione sarà inoltre la traduzione in Italiano dei manoscritti inviati in lingua Inglese. La rivista sarà inviata gratuitamente a tutti quelli che ne faranno richiesta, inviando il seguente messaggio "Desidero ricevere ESIA versione italiana" indirizzato a LANZA@MBOX.UNIPA.IT La rivista pubblica rewiews e lavori originali compiuti nei campi dell'anestesia e della medicina critica. I lavori originali riguardano ricerche cliniche, di laboratorio e la presentazione di casi clinici. Le reviews includono argomenti per l'Educazione Medica Continua (EMC), articoli di revisione generale o riguardanti le attrezzature tecniche. ESIA pubblica le lettere all'Editore contenenti commenti su articoli precedentemente publicati ed anche brevi comunicazioni. La guida per gli autori può essere consultata collegandosi al sito ANESTIT all'indirizzo: http://www.unipa.it/~lanza utilizzando la sezione riservata ad ESIA-Italia; oppure può essere richiesta inviando un messaggio a lanza@mbox.unipa.it EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE Sezione Italiana Il numero della rivista è anche ottenibile attraverso World-WideWeb WWW: l'URL per questo numero di ESIA è: http://www.unipa.it/~lanza/esiait/esit9907.txt Il nome della rivista è esitaamm, dove aa è l'anno ed mm il mese (per esempio questo numero è esit9907.txt) LA REDAZIONE DI ESIA ITALIA DIRETTORE: Vincenzo LANZA Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo LANZA@MBOX.UNIPA.IT Terapia Intensiva Antonio Braschi Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione 1 - Policlinico S. Matteo - IRCCS Pavia Anestesia Cardiovascolare Riccardo Campodonico Responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiochirurgica - Azienda Ospedaliera di Parma ricrob@mbox.vol.it Anestesia e malattie epatiche Andrea De Gasperi Gruppo trapianti epatici / CCM - Ospedale Niguarda - Milano Medicina critica e dell'emergenza Antonio Gullo Professore di Terapia Intensiva - Direttore del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva -Università di Trieste Anestesia ed informatica Vincenzo Lanza Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo Tossicologia Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia Terapia Antalgica e Cure Palliative Sebastiano Mercadante Aiuto del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo mercadsa@mbox.vol.it