ISSN 1080-3521
EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY
and
CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -
Il giornale Italiano online di anestesia Vol 4 No 11 Novembre 1999
Vincenzo Lanza, MDServizio di Anestesia e RianimazioneOspedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, ItalyE-mail:
lanza@mbox.unipa.it
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Keith J Ruskin, MDDepartment of Anesthesiology Yale University School of Medicine333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USAE-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu |
Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine |
In questo numero:
1 Memoria ed esperienze oniriche
durante anestesia e sindromi post-traumatiche:
parte 1^ - aspetti storici
2 Crisi convulsive da intossicazione acuta da Buflomedil
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Memoria ed esperienze
oniriche durante anestesia e sindromi post-traumatiche:
parte 1^ - aspetti storici
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Anthony Messina -MD
Assistant Professor of
Anesthesiology
The New York Hospital-Cornell Medical Center
Associate Attending Anesthesiologist
Lenox Hill Hospital
New York, 10021 - USA
agmessina@earthlink.net
lll La letteratura usa indifferentemente i
termini di risveglio, percezione cosciente, amnesia etc. in
riferimento al concetto di memoria di eventi intraoperatori. Nel
presente lavoro, per necessità di chiarezza, userò i termini di
memoria cosciente e repressa piuttosto che di risveglio.
La memoria cosciente è il ricordo di
eventi intraoperatori nell'immediato periodo postoperatorio.
La memoria repressa è il ricordo di
eventi intraoperatori dopo un periodo variabile di amnesia, e
quindi non va confusa con la memoria cosciente dell'immediato
postoperatorio.
I termini di memoria esplicita ed implicita sono propri della
psicologia sperimentale cognitiva e perciò non li userò per
riferirmi alla memoria del paziente riguardo a eventi
intraoperatori.
Il risveglio e la memoria in corso di anestesia hanno trovato ampio spazio di valutazione in diverse pubblicazioni: Mainzer J 1979, Ghoneim MM 1992, Payne 1994, Bailey AR 1997; e in circa 55 anni di editoriali: Lancet 1945, BMJ 1959, Lancet 1961, Lancet 1967, Lancet 1968, Lancet 1969, JAMA 1969, Lancet 1973, Lancet 1974, Med J Aus 1974, BMJ 1976, BMJ 1979, Blacher RS 1984, Jones JG 1986, Davis R 1987, Hug CC 1990, Aitkenhead AR 1990, Sebel 1995, Veselis 1999.
lll Certamente durante questi 55 anni, l'anestesia è diventata più sicura a mezzo di innovazioni tecnologiche e indagini scientifiche che hanno ridefinito le tecniche anestesiologiche. In questo periodo si è ridotta l'incidenza di memoria cosciente (esplicita) in corso di anestesia: allora perché noi stiamo ancora a scrivere editoriali a proposito di questo problema ? In questo lavoro tenterò di spiegarlo.
Subito dopo che Morton introdusse l'etere, il sogno di una chirurgia definitivamente libera dalla sensazione di dolore fu compromesso dal fatto che i pazienti di Morton manifestavano dolore. Circa 100 anni dopo che Morton introdusse l'etere, fu usato in anestesia il curaro, agente che paralizzava, rendendo più difficile evidenziare clinicamente un risveglio in corso di anestesia. (Cobb S 1961, Waters DJ 1968)
Il risveglio in corso di anestesia fu segnalato come caso clinico da Winterbottom (Winterbottom EH 1950). La risposta del chirurgo fu di negare che esso avesse causato al paziente qualunque tipo di disturbo. Nel 1975 Blacher riportò casi clinici con descrizione di nevrosi traumatica, che oggi potrebbe essere denominata Disordine Acuto da Stress, causata da tracce mnesiche in corso di anestesia. La segnalazione di una rapida risoluzione di questa condizione psichiatrica per mezzo della semplice ammissione che il paziente fosse sveglio durante l'anestesia fu rapidamente accettata dalla comunità anestesiologica ma segnò il momento per cominciare a negare il trauma causato al paziente che si ritrova sveglio, paralizzato e intubato mentre è sottoposto a intervento chirurgico. Durante i 49 anni di pubblicazioni al riguardo, gli studiosi hanno asserito che le sequele cliniche della memoria durante anestesia possono risolversi spontaneamente o essere trattate con la semplice rassicurazione del paziente che la sua esperienza è stata reale (Winterbottom EH 1950, Bergstrom H 1968, Blacher RS 1975, Davis R 1987, Aitkenhead AR 1990). In questo lavoro saranno presentati dei dati che valuteranno questo punto di vista.
lll Il Disordine Acuto da Stress (ASD), a seguito di evento traumatico, è per definizione autolimitante e perciò questi autori hanno ragione circa la quota parte di pazienti che sperimentano un insieme di sintomi autolimitantisi corrispondenti a questa diagnosi. D'altra parte, presenterò una serie di dati che supportano la mia posizione per la quale un'altra parte di pazienti va incontro a un Disordine Post-Traumatico da Stress (PTSD), che per definizione è un disordine cronico e debilitante.
Dato che l' ASD e il PTSD, altrimenti noto come "shell shock" (trauma a conchiglia) per i veterani di guerra, sono fenomeni comunemente conosciuti, come possiamo giustificare in letteratura la relativa assenza di attenzione per l'esistenza di casi di PTSD e quindi la necessità di prevenire che essi si verifichino?
lll L'anestesia è una procedura molto stressante, che si presenta con potere di vita o di morte nel quotidiano; gli anestesisti hanno la responsabilità di rendere il paziente privo di dolore e di coscienza, di mantenerlo vivo, anche se spesso affetto da gravi patologie che lo rendono molto instabile e contemporaneamente hanno l'obbligo di soddisfare le necessità dell'équipe chirurgica. Contemporaneamente, noi, come anestesisti, spesso sappiamo ben poco, a volte niente, del paziente come persona. Somministriamo farmaci che rendono la gente incosciente, insensibile al dolore e spesso incapace di effettuare un qualche movimento come chiudere gli occhi, respirare e muoversi. Tuttavia non abbiamo una relazione continua con il paziente; e neanche ci occupiamo a lungo termine del paziente che ha sofferto di un disturbo così debilitante, quale può essere il PTSD.
lll Già dal 1848, John Snow
(Snow J 1848) identificò la necessità di quantificare la
profondità dell'anestesia: egli descrisse cinque livelli di
narcosi. Successivamente, dopo la Prima Guerra Mondiali, Payne
nei suoi lavori riassunse l'evoluzione dei quattro stadi di
anestesia (Payne JP 1994). L'anestesia
fu definita come una progressione attraverso quattro stadi. Il
primo stadio era caratterizzato da analgesia e allo stesso tempo
da eccitazione con manifestazioni di agitazione psico-motoria,
espressioni verbali e momenti di apnea. Il secondo stadio era lo
stadio dell'anestesia leggera. Il terzo stadio era lo stadio
dell'anestesia chirurgica. Il quarto stadio era lo stadio del
sovradosaggio con paralisi dei centri respiratori e morte
imminente.
Guedel modificò questa classificazione
nel 1937 (Guedel 1937). Egli tracciò più sottocategorie nella
classificazione: in sostanza, Guedel combinò il secondo e terzo
stadio di questa convenzionale progressione, considerandolo come
lo stadio dell'anestesia chirurgica e lo suddivise in quattro
livelli. Il primo era adatto per molti tipi di chirurgia ma non
forniva blocco neuromuscolare per la chirurgia addominale, che
richiedeva invece un'anestesia più profonda come nel secondo e
terzo livello. Per la chirurgia addominale inferiore l'anestesia
doveva essere approfondita ulteriormente e sebbene un chirurgo
esperto aveva pochi problemi al terzo livello, uno meno esperto
richiedeva la profondità del quarto livello del terzo stadio di
anestesia. La classificazione del terzo stadio in quattro livelli
soddisfece le diverse necessità chirurgiche e ognuno dei livelli
poteva essere prontamente identificato. In accordo con Payne, gli
anestesisti esperti erano capaci di riconoscere il livello di
anestesia nell'ambito di questa classificazione. Essa era basata
sul metodo dell'induzione inalatoria, che con l'etere prendeva 20
minuti o più, sebbene questo tempo poteva essere sostanzialmente
ridotto dall'aggiunta di protossido di azoto o di etilcloruro. Un
paziente profondamente rilassato abbatteva notevolmente gli
accessi stizzosi dei chirurghi più volgari che si sarebbero
lamentati se il paziente fosse stato, come si suol dire,
"troppo teso" (Graff TD 1959, Payne 1994).
L'introduzione del tiopentale barbiturato per via endovenosa,
secondo Payne, eliminava il primo dei due stadi, se il farmaco
era usato abilmente. La pretesa, sui casi osservati, che l'anestesia
barbiturica endovenosa tra i militari a Pearl
Harbor nel Dicembre 1941 fosse causa di più incidenti mortali
che non le bombe nemiche aiuta a spiegare perché il tiopentale
stentò ad essere accettato: fu considerato troppo pericoloso per
essere usato da anestesisti inesperti. La regola non scritta di
quel periodo era che sarebbero state necessarie 1000 induzioni
inalatorie per ottenere sufficiente esperienza con l'anestesia
endovenosa barbiturica.
lll Come Mainzer ha puntualizzato nella sua
recensione sul risveglio intraoperatorio in un editoriale del
Lancet (Mainzer J 1979), il dolore e i risvegli intraoperatori
dovuti a inadeguata anestesia, erano stati riconosciuti, molto
prima dell'introduzione del curaro, già dal 1847. Infatti l'uso
del curaro negli animali da esperimento causò le proteste dei
gruppi per la difesa dei diritti degli animali negli ultimi anni
del 1800. In realtà oggi, molti centri medici hanno bandito
l'uso dei farmaci bloccanti neuromuscolari nella ricerca animale,
poiché esso è considerato un maltrattamento straordinariamente
crudele per eliminare i movimenti dell'animale, dato che in
questo modo il ricercatore non può accorgersi quando l'animale
è incosciente o meno (comitato per i diritti animali della
Cornell University Medical Center). Perciò, sebbene non
restrittivamente come per alcuni centri medici, è stata
approvata una legge federale "
per garantire che il
dolore e la sofferenza dell'animale siano minimizzati
" proibendo "l'uso di farmaci paralizzanti senza
anestesia (Atto per il benessere animale = Animal welfare Act
1966).
Ci si chiede quanto sia appropriato avere strette
limitazioni sull'uso dei farmaci bloccanti neuromuscolari da
somministrare agli animali e non per l'utilizzo sull'uomo?
Non esiste alcuna legge federale per l'uomo, a tal proposito.
Così in un suo editoriale, Drummond notava che: "sia nella
pratica anestesiologica sull'uomo, sia nella sperimentazione
animale dovrebbero esserci delle valide indicazioni all'uso dei
bloccanti neuromuscolari; questa indicazione acquisisce una
maggiore implicazione etica nei casi in cui sussiste il rischio
che i segni di una eventuale inadeguatezza dell'anestesia siano
mascherati
Qualcuno probabilmente potrebbe osservare che i
ricercatori, effettuando le ricerche sugli animali opererebbero
secondo un migliore standard di adeguatezza anestesiologica
rispetto a quanto applicato nella condotta anestesiologica
sull'uomo in sala operatoria. Qualcuno potrebbe asserire, per
esempio, che la tecnica anestesiologica che combina protossido di
azoto / oppiodi / rilassanti neuromuscolari sia soddisfacente nei
pazienti in termini di assenza di responsività neurovegetativa
ma i risvegli sarebbero inaccettabili se si avesse contezza dei
movimenti del paziente laddove il curaro fosse omesso. Forse,
comunque, a prescindere dagli inconvenienti, l'approccio
contemporaneo è quello del beneficio del dubbio per l'animale.
" (Drummond JC 1996). Infatti, in accordo con Russell,
l'anestesia endovenosa risulta una tecnica insoddisfacente
nell'uomo. (Russell IF 1993). In questo lavoro presenterò delle
argomentazioni che forse solleciteranno un approccio per l'uomo
sulla base dei dati che evidenziano la memoria repressa
(implicita), le esperienze oniriche e il Disordine
Post-Traumatico da Stress (PTSD) che deriva dalla memoria in
corso di anestesia.
lll Tradizionalmente il chirurgo chiede all'anestesista se il paziente è pronto per l'incisione cutanea. L'anestesista dovrebbe basare la propria valutazione sul piano di anestesia in cui si trova il paziente e sul tipo di chirurgia pianificata. Con l'uso dei rilassanti neuromuscolari questo criterio non è più utilizzabile. Infatti nel paziente curarizzato rimangono solo pochi spunti per esprimere questo giudizio clinico: i parametri emodinamici, la concentrazione minima alveolare di anestetico inalato (MAC), e la dose pro chilo di peso corporeo di anestetico endovenoso. Proporrò una revisione dei dati pubblicati, valutando se questo tipo di approccio tradizionale per stabilire l'adeguatezza dell'anestesia nel paziente curarizzato sia sufficiente per determinare la stessa adeguatezza per un dato paziente a un dato tempo durante la conduzione anestesiologica.
Nel 1880, un componimento poetico di Tennyson condannò questo tipo di approccio (Stevenson LG 1959). Mainzer rilevò che nel 1896, William Welch aveva suggerito che il curaro poteva essere usato senza rischi nell'uomo con gli anestetici (Mainzer J 1979). Lawen, nel 1912, usò i curari con gli anestetici nell'uomo (Lawen A 1965). Nel 1942, la dimostrazione di Griffith e Johnson dei vantaggi del curaro portò al riconoscimento da parte dei medici che l'utilizzo del curaro fosse soddisfacente in associazione agli anestetici. Fu introdotto per facilitare la chirurgia addominale e per anestetizzare senza rischi il paziente critico che altrimenti avrebbe effettuato movimenti a causa dell'anestesia mantenuta leggera per mantenere vivo il paziente. (Griffith HR 1942).
lll La storia della memoria cosciente durante anestesia comincia con la prima dimostrazione di anestesia da parte di Horace Wells e poi di William Morton al Massachusetts General Hospital, rispettivamente nel 1845 e nel 1846. Entrambi i pazienti riportarono memoria cosciente in corso di anestesia. Dopo poco tempo, Pierson descrisse un'altra paziente che riferì dolore come "una falce nel suo braccio" durante un'amputazione di arto con etere (Calverlev RK 1989, Ghoneim MM 1992). Nel 1908 e nel 1911, furono riportati due casi di memoria cosciente durante anestesie condotte con protossido d'azoto (Jacobson E 1911, Crile G 1947).
Tuttavia, nonostante queste infrequenti segnalazioni, un significativo "problema di risveglio durante anestesia" fu pubblicato soltanto dopo l'introduzione dei bloccanti neuromuscolari nella pratica anestesiologica da Griffith and Johnson nel 1942 (Griffith HR 1942). I pazienti possono ritornare coscienti anche se totalmente paralizzati, poiché non esistono misurazioni che assicurano l'incoscienza nel paziente paralizzato.
lll Oggi questa prospettiva, per la quale noi anestesisti non sappiamo quando i nostri pazienti sono coscienti, persiste. (Lancet 1986, Kulli J 1991). Molto dopo queste segnalazioni di casi clinici, le dimostrazioni di un'alta incidenza di risvegli rivela che le segnalazioni aneddotiche non prospettano la reale incidenza del problema. Io credo che ciò sia sovrapponibile a quanto succede oggi, quando gli anestesisti affermano che il problema sia piccolo e che non ne abbiano mai visto un caso. In questo lavoro presenterò dati che supportano questo mio punto di vista. Coscienza e memoria repressa (risveglio in corso di anestesia) continuano a costituire un importante problema a tutt'oggi. Infine mi preme raccomandare l'adozione di provvedimenti che possano rendere questo problema soltanto di interesse storico.
continua nel prossimo numero.....