numero in formato solo testo


ISSN 1080-3521

EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY

and

CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -

Il giornale italiano online di anestesia Vol 2 No 11 Novembre 1997

Pubblicato elettronicamente da
Vincenzo Lanza, MD
Servizio di Anestesia e Rianimazione
Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy
E-mail: lanza@mbox.unipa.it
Keith J Ruskin, MD
Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine
333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA
E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu
Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine

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In questo numero:

Speciale Tossicologia: "PRESENTE E FUTURO IN TOSSICOLOGIA CLINICA" - Incontro di Aggiornamento Internazionale - Ferrara 24 Maggio 1997

1° Servizio di Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Anna - Ferrara // Società Medico-Chirurgica di Ferrara

con il patrocinio di: - Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani - Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Ferrara - Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Anna di Ferrara

testi e sintesi delle relazioni a cura di Roberto Zoppellari: 1° Servizio di Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Anna, 44100 Ferrara, Italia, Tel 0532 206299 Fax 0532 295588 .

Introduzione

In questo numero ESIA-ITALIA ospita i testi e le sintesi delle relazioni, come integralmente fornite dagli Autori e curate dal Dott. Zoppellari, esposte nell'incontro di Aggiornamento Internazionale "Presente e Futuro in Tossicologia Clinica" tenutosi a Ferrara il 24 Maggio del 1997.

L'interesse degli argomenti e il prestigio dei relatori ci ha indotto a presentare le sezioni 5 e 6 in lingua originale, il Francese per la Prof.ssa Bismuth e l'Inglese per il Dott. Borron. Al più presto, in questo numero, renderemo disponibile la versione Italiana di questi due articoli.

1 Prefazione

2 LA GESTIONE DEL PAZIENTE INTOSSICATO : Basi razionali e controversie

3 APPROCCIO AL BAMBINO CON SOSPETTA INTOSSICAZIONE ESOGENA ACUTA

4 POSSIBILITA' E LIMITI DEL LABORATORIO APPLICATO ALLE INTOSSICAZIONI ACUTE

5 IMMUNOTOXICOTHÉRAPIE : Progrès, échecs et promesses en 1997

6 NEW FRONTIERS IN CLINICAL TOXICOLOGY

7 Conclusioni

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1 Prefazione

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Renzo Zatelli - Primario 1° Servizio di Anestesia e Rianimazione - Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Anna - Ferrara

La Tossicologia è una branca della medicina non facile da amare perché molto spesso viene presentata come la scienza che si occupa di un arido elenco di sostanze che, entrate nell'organismo, ingenerano quadri clinici non sempre attribuibili in modo certo ad un fattore eziologico ben preciso. Una visione di più focalizzata sugli aspetti fisiopatologici della materia riesce ad accattivare l'interesse dello studioso. Se a ciò si unisce un interesse per la cinetica intraorganica delle sostanze tossiche il fascino della Tossicologia si palesa in tutta la sua forza. Ad una visione di questo tipo ritengo possa decisamente contribuire quanto espongono gli oratori in questo incontro che si propone di fornire:

1) un aggiornamento sulla gestione clinica del paziente intossicato ( adulto o bambino ) nei suoi aspetti diagnostici e terapeutici sia nella fase d'urgenza che nel post acuzie;

2) una puntualizzazione delle potenzialità del laboratorio nel fornire elementi validi non solo per la diagnosi, ma anche per il trattamento e per la prognosi;

3) uno sguardo su aspetti in forte evoluzione della tossicologia moderna come: a) l'impiego di tecniche basate sulla immunologia con capitoli già stabilizzati ed altri ancora che forniranno strumenti utilizzabili in clinica nei prossimi anni; b) nuovi approcci nella comprensione dei meccanismi cellulari che condizionano l'insorgere e l'evoluzione della manifestazione tossica, quali l'intervento delle proteine in grado di ingenerare refrattarietà all'azione di svariate sostanze.

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2 LA GESTIONE DEL PAZIENTE INTOSSICATO : Basi razionali e controversie

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Carlo Locatelli, Valeria Petrolini, Cristiano Gandini, Raffaella Butera, Luigi Manzo*

Centro Nazionale di Informazione Tossicologica - Centro Antiveleni di Pavia, I.R.C.C.S. Fondazione Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, Pavia e * Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Sezione di Farmacologia e Tossicologia, Università degli Studi di Pavia.

L'intossicazione acuta rappresenta un evento di sempre più frequente riscontro per chi opera nei servizi e dipartimenti di urgenza ed emergenza. Benché sia difficile accertare precisi dati di prevalenza relativi ai casi di intossicazione, è noto che in numerosi ospedali questo valore risulta particolarmente elevato. Studi statunitensi indicano, ad esempio, che in alcuni dipartimenti di emergenza i casi di intossicazione e di altre urgenze farmaco-correlate possono arrivare a rappresentare fino al 38% delle visite effettuate (Hoffman e Goldfrank, 1990). Nel 1988, inoltre, le sole intossicazioni per ingestione hanno rappresentato il 20% delle cause di ricovero d'urgenza in reparti medici per gli adulti e il 5% per i bambini (Ellenhorn e Barceloux, 1988).

Anche nell'attività di soccorso extraospedaliero le intossicazioni ricorrono oggi con una rilevante frequenza. Negli USA circa il 10% delle richieste di intervento di ambulanze è effettuato per intossicazioni acute (Ellenhorn e Barceloux, 1988), e dati simili (12%) risultano da indagini recentemente condotte in Svizzera sull'impiego dei mezzi di soccorso per l'emergenza territoriale (elicotteri, auto mediche, centri mobili di rianimazione) (Moeschler, 1997).

I dati dei Centri Antiveleni sottostimano l'evento intossicazione. Negli USA, l'American Association of Poison Control Centers ha documentato, nel 1990, 1.713.465 casi di esposizione umana a sostanze tossiche che hanno richiesto la consultazione di Centri Antiveleni (Litovitz et al, 1991). Risulta tuttavia che ai Centri Antiveleni non vengano segnalati circa il 70% dei casi di sovradosaggio da farmaci (Caravati e McElwee, 1991) e la maggior parte dei casi di decesso da sovradosaggio da farmaci molto comuni (es. antidepressivi triciclici) (Callaham e Kassel, 1985).

Questi ed altri dati indicano l'elevata frequenza di questa patologia, che è peraltro in continuo aumento, e la conseguente necessità di una formazione specifica in tossicologia clinica per i medici che operano nell'area dell'urgenza ed emergenza (Hoffman e Goldfrank, 1991).

A differenza di quanto avviene in altri paesi europei, come ad esempio in Francia, in Italia non sono diffusi sul territorio nazionale reparti di cura e servizi diagnostici specifici per la tossicologia clinica; tali pazienti, pertanto, vengono per lo più ricoverati presso reparti e ospedali che spesso non sono dotati di specifiche competenze (es. mancanza di strutture analitiche), e ciò può essere causa di approcci diagnostico-terapeutici inadeguati.

Nella gestione del paziente intossicato esistono quattro momenti fondamentali: la diagnosi, il trattamento d'urgenza, il trattamento nella fase post-acuta, e il follow-up a lungo termine per il monitoraggio e trattamento di eventuali sequele tardive. In ciascuna di queste fasi occorre considerare gli aspetti peculiari di questa patologia al fine di effettuare l'intervento più efficace.

La diagnosi

La diagnosi in tossicologia clinica si basa in un primo momento, come in tutti i campi della medicina, dal confronto tra anamnesi e il quadro clinico presentato dall'intossicato. Alcuni fattori, tuttavia, possono complicare o, per contro, facilitare il ragionamento diagnostico.

Nella patologia da tossici esogeni, ad esempio, non sempre è possibile ottenere dal paziente un'anamnesi veritiera (es. per comportamento autolesivo o alterazioni dello stato di coscienza). Il procedimento diagnostico richiede spesso, pertanto, che la raccolta di informazioni avvenga attraverso, o per confronto con, domande specifiche poste a familiari, amici, conoscenti, o a coloro che hanno potuto raccogliere importanti dati circostanziali (es. soccorritori), oppure talvolta al medico curante.

Anche l'esame del paziente deve essere particolarmente accurato e mirato alla ricerca di particolari segni o sintomi che consentano, anche in assenza di dati anamnestici certi, di indirizzarsi verso diagnosi specifiche. Ciò risulta talvolta possibile poiché la patologia tossica è caratterizzata da (i) un rapporto logico tra causa ed effetti che è molto più stretto e costante rispetto ad altre patologie, e da (ii) un tempo di latenza fra esposizione e comparsa dei sintomi caratteristico per ogni sostanza. Così, ad esempio, la diagnosi può non risultare difficile nelle intossicazioni pure da sostanze o farmaci che frequentemente vengono assunti a scopo autolesivo e che causano caratteristiche disfunzioni autonomiche (es. sindrome anticolinergica centrale, sindrome simpaticomimetica, sindrome colinergica) (Olson et al, 1987).

Oltre ai segni e sintomi che caratterizzano alcune sindromi tipiche, altri elementi possono indirizzare la diagnosi, quali, ad esempio, un odore caratteristico dell'espirato, la presenza di lesioni da caustici, il tipo di anomalie elettrocardiografiche o radiografiche, particolari quadri biochimico-metabolici (es. acidosi metabolica, gap anionico e osmolare), il colore delle urine o dell'aspirato gastrico, oppure segni di venopuntura. In alcuni casi è possibile il reperimento di pacchetti di sostanze d'abuso nascosti in vagina, nel retto (Kulig, 1992) o presenti in varie parti del tratto gastrointestinale.

Per contro, proprio per l'enorme variabilità di sostanze chimiche e di miscele delle stesse con cui l'uomo può venire a contatto per vie diverse, ogni intossicazione acuta può configurare un'evenienza insolita o addirittura unica, senza precedenti.

Una diagnosi completa e corretta, tuttavia, è formulabile solo se, oltre alla natura della sostanza, la via di contatto, l'intervallo fra esposizione e comparsa dei sintomi, la presenza di fattori individuali di rischio, è possibile conoscere anche la quantità di tossico assorbita. Nella valutazione delle intossicazioni, infatti, e soprattutto di quelle per ingestione, assume importanza rilevante un altro aspetto diagnostico peculiare, e cioè la previsione dell'entità e della durata dell'effetto massimale, indipendentemente dai segni e sintomi al momento presenti. Ciò ha rilevanti implicazioni terapeutiche, richiede valutazioni esperte e disponibilità in tempi utili di mezzi diagnostici e analitici: nei liquidi biologici, ad esempio, può essere misurata la maggior parte delle sostanze che più frequentemente sono causa di intossicazione, anche se presente in concentrazioni minime.

In molti casi di intossicazione (es. anamnesi muta con segni e sintomi generici, inattendibilità o imprecisione del paziente) il trattamento viene iniziato con terapie e mezzi aspecifici, prima che possa essere formulata una diagnosi precisa. Talvolta solo la consulenza di un Centro Antiveleni o dosaggi di tossicologia analitica consentono di impostare trattamenti specifici e formulare diagnosi precise.

Il trattamento d'urgenza

L'assorbimento di veleni può avvenire attraverso varie vie di contatto quali l'ingestione, inalazione, contatto cutaneo e/o oculare, iniezione parenterale, ecc. Una sostanza chimica diventa veleno, tuttavia, solo quando, attraverso un'idonea via di contatto, riesce a superare le barriere naturali dell'organismo e a raggiungere gli organi o tessuti bersaglio a una concentrazione o dose in grado di determinare effetti dannosi, la cui comparsa può essere immediata o tardiva. In quest'ultimo caso il primo intervento medico può essere effettuato sulla base della sola anamnesi e prima della comparsa di qualunque sintomo o segno.

In alcuni casi è possibile utilizzare tecniche atte a rimuovere il veleno prima che venga assorbito e somministrare prontamente alcuni antidoti che consentono di diminuire drasticamente il carico tossico intervenendo sull'assorbimento, e trasformare una potenziale intossicazione in un evento privo di conseguenze clinicamente significative.

L'approccio terapeutico d'urgenza nelle intossicazioni si basa pertanto, oltre che sulla terapia sintomatica e o di rianimazione a sostegno delle funzioni vitali insufficienti, su trattamenti specifici che mirano a diminuire/prevenire la penetrazione del tossico nell'organismo (decontaminazione) e a promuoverne l'eliminazione (depurazione), nonché a contrastarne gli effetti (antidoti).

L'intervento di decontaminazione dal tossico ha una delle sue massime possibilità e indicazioni nelle intossicazioni per ingestione attraverso alcune manovre che, almeno teoricamente e se effettuate nel minor tempo possibile, possono limitare o prevenire l'assorbimento di sostanze ancora presenti nel tratto gastrointestinale. A tale scopo vengono utilizzate diverse tecniche, quali l'induzione del vomito e la lavanda gastrica per l'evacuazione del tratto gastroenterico superiore, la catarsi e il lavaggio intestinale per l'evacuazione di quello inferiore. La somministrazione di adsorbenti (es. carbone vegetale attivato) trova impiego da sola o in associazione a tali manovre. Le indicazioni all'uso dell'una o dell'altra tecnica variano in base a numerosi fattori, quali la natura della sostanza assunta, l'intervallo di tempo intercorso dall'assunzione, le condizioni cliniche dell'intossicato.

Indicazioni ed efficacia di tali manovre sono diventate, soprattutto negli ultimi anni, oggetto di dibattito. Alcuni studi su pazienti con intossicazioni da farmaci, su volontari sani e su animali di laboratorio, hanno indagato l'efficacia dei trattamenti di decontaminazione del tratto gastrointestinale (induzione del vomito con ipecacuana e lavanda gastrica con o senza somministrazione di carbone attivato), spesso per comparazione con la sola somministrazione di carbone attivato. Una puntualizzazione su tali aspetti è molto importante anche per le possibili implicazioni medico-legali. Infatti, alla carente dimostrazione di efficacia e ai possibili effetti collaterali (Kulig et al, 1985; Albertson et al, 1989; Merigian et al, 1990; Tandberg et al, 1981; Wolowodiuk et al, 1984; Wald et al, 1986; Thompson et al, 1987), anche letali (Robertson, 1979), delle procedure impiegate per lo svuotamento gastrico, si contrappone l'evidenza che il mancato impiego di tali tecniche può essere causa di intossicazioni gravi o letali (Flomenbaum e Price, 1986; Bozza-Marrubini et al, 1987; Ellenhorn e Barceloux, 1988; Ryan e Homan, 1993; Danel e Baud, 1995; Olson, 1994).

1. Induzione del vomito

L'induzione del vomito ha alcune precise indicazioni e controindicazioni; in alcuni casi può essere più indicata della lavanda gastrica (es. stomaco pieno per pasto recente; ingestione di tossici solidi insolubili in acqua). Viene ottenuta per somministrazione di sciroppo di ipecacuana che, attraverso l'azione di due principali alcaloidi (emetina e cephalina) agisce sia a livello periferico (azione irritante locale) che centrale (attivazione del centro del vomito). Il farmaco produce emesi nel 80-100% dei pazienti entro 20-30 minuti dalla somministrazione; l'effetto può non comparire se sono stati assunti farmaci ad azione antiemetica che ne bloccano l'effetto centrale (Flomenbaum e Price, 1986; Wanke, 1984).

L'induzione del vomito con ipecacuana è efficace nell'allontanare il tossico se effettuata entro un tempo relativamente breve dall'ingestione (circa 1 ora) (Ryan e Homan, 1993): dopo 3-4 ore è raramente efficace, tranne nel caso di sostanze che rallentano lo svuotamento gastrico o che formano agglomerati di compresse nello stomaco (es. aspirina).

L'induzione del vomito con ipecacuana consente di eliminare mediamente il 30-40% del contenuto gastrico (e quindi del tossico presente) se effettuata entro 1 ora dall'ingestione (Tenebein et al, 1987; Corby et al, 1967); quantità superiori possono essere eliminate per somministrazioni più precoci dell'emetico, anche se studi su animali e sull'uomo hanno evidenziato un'eliminazione massima del tossico pari a circa il 60% se l'emesi viene indotta immediatamente dopo l'ingestione (Kulig et al, 1985; Arnold et al, 1959).

Le controindicazioni all'induzione del vomito sono correlate sia al veleno ingerito che alle condizioni del paziente: ingestione di sostanze convulsivanti, caustici, derivati del petrolio o solventi, schiumogeni, contemporanea ingestione di materiali taglienti, insufficienza cerebrale o manifestazioni convulsive in atto o potenziali, gravi patologie cardiovascolari, grave enfisema polmonare, cirrosi e diatesi emorragiche, gravidanza avanzata, ed età inferiore ai 6 mesi (Bozza-Marrubini et al, 1987).

La posologia di questo farmaco, che dovrebbe essere sempre disponibile in tutti i servizi di pronto soccorso, varia secondo l'età; la somministrazione di sciroppo viene fatta seguire da assunzione di 200 ml d'acqua nell'adulto. Una seconda somministrazione viene spesso ripetuta in caso di mancata comparsa dell'effetto: tale procedura è sconsigliata nel bambino sotto i tre anni di età poiché l'elevato assorbimento di emetina potrebbe determinare effetti tossici.

I principali effetti collaterali sono il vomito protratto per più di 3 ore (1-5% dei casi), diarrea (16-26%), dolori addominali, irritabilità, e sonnolenza. Sono stati descritti rarissimi casi di ernia diaframmatica (Robertson, 1979), gastriti emorragiche, sindrome di Mallory-Weiss (Tandberg et al, 1981), emorragia cerebrale (Klein-Schwartz et al, 1984), retropneumoperitoneo e pneumomediastino (Wolowodiuk et al, 1984). La persistenza del vomito può ritardare la somministrazione di altri antidoti (es. carbone attivato).

Alcuni studi su gruppi di pazienti (Kulig et al, 1985; Albertson et al, 1989; Merigian et al, 1990) non hanno mostrato alcun "vantaggio clinico" derivante dall'uso di sciroppo di ipecacuana (da solo o seguito da carbone attivato) rispetto alla somministrazione del solo carbone attivato. Similmente, due studi su volontari sani hanno mostrato una maggiore efficacia nella prevenzione dell'assorbimento da parte del carbone attivato da solo rispetto alla somministrazione di ipecacuana (Neuvonen, 1983) o di ipecacuana seguito da carbone attivato (Curtis et al, 1984).

In base a tali dati, alcuni Autori consigliano la somministrazione di carbone attivato (con o senza catartico), senza induzione del vomito, nella maggior parte delle intossicazioni da farmaci (Kulig, 1992); l'ipecacuana avrebbe ancora un ruolo solamente nella somministrazione a domicilio o nei bambini che arrivano all'osservazione in pronto soccorso rapidamente dopo l'ingestione.

2. Lavanda gastrica

La maggior parte delle sostanze ingerite può essere rimossa con la lavanda gastrica (Bozza-Marrubini et al, 1987). La tecnica è più invasiva dell'induzione del vomito con ipecacuana e forse lievemente meno efficace, ma presenta scarsi e solo lievi effetti collaterali se effettuata con attenzione e in modo corretto (Olson, 1994). Farmaci a rilascio prolungato o gastro-resistenti, quando ancora interi, frammenti di bacche vegetali o di canfora e naftalina sono scarsamente rimovibili.

L'intervallo di tempo trascorso dall'ingestione entro il quale è possibile effettuare una lavanda gastrica efficace non è definibile a priori: esso dipende, ad esempio, dalle caratteristiche chimiche e fisiche della sostanza (o della miscela di sostanze) ingerita, dallo stato di ripienezza dello stomaco al momento dell'ingestione, dalle caratteristiche individuali del paziente. Tale intervallo utile è probabilmente inferiore a 1 ora per sostanze allo stato liquido, assunte a stomaco vuoto e rapidamente assorbibili, ma può essere di molto maggiore in caso di assunzione di alcuni veleni (es. tallio, antidepressivi triciclici, salicilici, atropinosimili) e in alcune situazioni cliniche (es. coma, shock) che determinano diminuzione della normale peristalsi.

La quantità totale di acqua o soluzione salina tiepide necessaria per effettuare una lavanda gastrica varia da un minimo di 2 litri a circa 20 litri per alcune intossicazioni. Attraverso una sonda di grosso calibro (36-40 F) vengono somministrati volumi di 200 ml alla volta nell'adulto, ai quali possono essere aggiunti antidoti aspecifici (carbone attivato) o specifici per il tipo di veleno ingerito; il liquido di volta in volta instillato viene rimosso per suzione, e il lavaggio deve essere continuato fino a comparsa di liquido chiaro, inodore, senza frammenti delle sostanze ingerite (Bozza-Marrubini, 1987; Olson, 1994).

L'efficacia clinica della lavanda gastrica, similmente a quanto descritto per l'induzione del vomito con ipecacuana, risulta ancora poco valutabile. Essa rimane comunque indicata (Ryan e Homan, 1993; Olson, 1994) :

·per rimuovere sostanze liquide o farmaci (specie se solidi) in caso di sovradosaggio massivo, soprattutto in pazienti con alterazioni dello stato di coscienza e perdita del riflesso della tosse

·in caso di ingestione di sostanze non adsorbibili dal carbone.

Attraverso la sonda utilizzata per la lavanda gastrica, inoltre, possono essere somministrati carbone attivato e catartici a pazienti non collaboranti o incapaci di assumere tali farmaci autonomamente.

Negli ultimi 15 anni alcuni Autori hanno tentato di valutare l'efficacia della lavanda gastrica e di altri metodi di decontaminazione gastrointestinale da tossici. Al riguardo, esistono pochi studi clinici, alcuni studi sperimentali su animali di laboratorio e studi su volontari sani.

L'impiego della lavanda gastrica non ha mostrato alcun "vantaggio clinico" in studi su pazienti intossicati (Kulig et al, 1985; Merigian et al, 1990) rispetto alla sola somministrazione di carbone attivato; essa risulta inoltre in grado di rimuovere solo una piccola frazione del farmaco ingerito in pazienti intossicati da antidepressivi triciclici (Watson et al, 1989). A sostegno di una scarsa efficacia concorrono anche la dimostrazione della presenza a livello gastrico di materiale solido residuo in un'elevata percentuale di pazienti (88%) (Saetta e Quinton, 1991) e della progressione intestinale del contenuto gastrico dopo lavanda gastrica (Saetta et al, 1991); tale ultimo effetto può tuttavia essere evitato o minimizzato attraverso l'impiego di una tecnica corretta.

Anche alcuni studi su volontari sani hanno concluso con una valutazione di scarsa efficacia della lavanda gastrica nella prevenzione dell'assorbimento (Tandberg et al, 1986; Tenenbein et al, 1987; Danel et al, 1988).

Risultati contrari sono descritti da altri studi nei quali, in una percentuale dei pazienti, la lavanda gastrica si è dimostrata efficace nel rimuovere significative quantità di farmaci quali paracetamolo (Underhill et al, 1990), salicilati (Matthew et al, 1966), antidepressivi triciclici (Watson et al, 1989), barbiturici (Matthew et al, 1966; Allan, 1961; Wright, 1955) e vari altri farmaci (Sauder et al, 1992).

L'efficacia della lavanda gastrica, da sola o con somministrazione di carbone attivato, diminuisce inoltre con l'aumentare del tempo trascorso dall'ingestione. La lavanda gastrica associata a carbone vegetale attivato risulta più efficace del carbone da solo, purché la manovra venga effettuata entro un'ora dall'ingestione (Kulig et al, 1985); recenti studi, tuttavia, non hanno confermato tale dato (Pond et al, 1995). Dopo due ore dall'ingestione l'efficacia appare molto limitata (Comstock et al, 1981), e diminuisce ulteriormente dopo quattro ore (Allan, 1961; Wright, 1955). La lavanda gastrica, tuttavia, si e dimostrata efficace nel determinare una significativa asportazione di compresse a distanza di 12 ore dall'intossicazione da salicilati (Ellenhorn e Barceloux, 1988).

Non è nota la percentuale dei casi di intossicazione acuta nei quali viene oggi praticata la lavanda gastrica. Negli ultimi anni, ma specialmente dopo una Conferenza di Consenso tenutasi nel 1992 (Anon, 1993), in Francia si è assistito a una netta diminuzione della pratica della lavanda gastrica passando da più del 70% dei casi nel 1987 a meno del 40% nel 1995 (Tournaud et al, 1996). Studi francesi indicano che essa viene effettuata nel 38% dei casi di intossicazione da farmaci negli adulti, mentre la somministrazione di carbone attivato viene prescritta solo nel 18,5% dei casi (Staikowsky et al, 1995). La riduzione della somministrazione di adsorbenti, e in particolare di carbone attivato, a meno del 20% dei casi (rispetto a più del 40% agli inizi degli anni 1990) non ha fatto registrare un aumento del tasso di ospedalizzazione in reparti di rianimazione, né la durata media dei ricoveri (Lambert et al, 1997).

L'unica controindicazione assoluta alla lavanda gastrica è rappresentata dalla perforazione nota del tratto gastroenterico; specifici trattamenti e/o manovre consentono di effettuare la lavanda gastrica in specifiche situazioni cliniche (es. insufficienza cerebrale, convulsioni) o in caso di ingestione di particolari veleni (es. solventi, tensioattivi) nei quali occorre particolare attenzione.

Le complicanze potenziali della lavanda gastrica (danno meccanico, perforazione esofagea, emorragia gastrica, lievi alterazioni dell'ossigenazione e della frequenza cardiaca, polmoniti da aspirazione, intossicazione da acqua) (Wald et al, 1986; Matthew et al, 1966; Kulig et al, 1985; Justiniani et al, 1985; Thompson et al, 1987; Spray et al, 1976; Leclerc et al, 1981) sono, nella pratica clinica, estremamente rare e non costituiscono un fattore limitante all'impiego della manovra.

Il trattamento nella fase post-acuta

La corretta gestione del paziente intossicato in fase post-acuta prevede la prosecuzione dei trattamenti (specifici e/o sintomatici) e del monitoraggio delle funzioni alterate dal tossico, nonché i definitivi accertamenti diagnostici.

Il quadro clinico in questa fase può evolvere con complicanze e fasi di aggravamento a volte improvvise. L'eventuale assenza di segni o sintomi non è necessariamente predittiva di una buona prognosi, dato che numerose intossicazioni sono caratterizzate da un periodo di latenza piuttosto lungo oppure da periodi di remissione dei sintomi di presentazione.

In questa fase è possibile utilizzare al meglio strumenti diagnostici e analitici che non sempre sono facilmente disponibili nella fase del primo soccorso (es. dati analitici di tipo quantitativo). Particolari indagini sono inoltre indicate solo a distanza di un certo tempo dall'esposizione a sostanze tossiche.

In caso di indisponibilità di dati analitici specifici, il paziente intossicato deve essere considerato ad alto rischio e necessita di un attento monitoraggio.

La scelta del livello di assistenza e monitoraggio clinico (intensivo, sub-intensivo, medico) di cui necessitano i pazienti in questa fase non può essere effettuata solo sulla base delle condizioni cliniche presenti al momento del primo soccorso, ma deve prendere in considerazione nel modo più accurato la possibile evoluzione a medio e lungo termine dell'intossicazione. La disponibilità di competenze tossicologiche può consentire in questa fase una più corretta valutazione del singolo caso.

Sequele

Sequele tardive sono possibili come conseguenza dell'esposizione acuta a numerose sostanze chimiche, specie per quelle che determinano danni lesionali a carico di organi o tessuti bersaglio. Per molte intossicazioni, inoltre, le possibili sequele non sono note a causa di una rilevazione sporadica e non centralizzata.

Il rilevamento delle sequele tardive, e conseguentemente il loro trattamento, è possibile solo attraverso un adeguato follow-up. Questo risulta in genere difficoltoso se i pazienti vengono dimessi dai reparti di cura e rinviati al curante senza specifiche indicazioni.

Il riconoscimento e la corretta valutazione delle possibili sequele tardive consente anche di valutare in modo più preciso l'efficacia e la sicurezza dei trattamenti impostati nella fase acuta.

Discussione e conclusioni

La gestione del paziente intossicato è un atto medico che comprende tutte le fasi della malattia, dal momento del primo approccio diagnostico-terapeutico, fino alla valutazione e al trattamento dei possibili effetti tardivi dell'intossicazione. All'assistenza massimale che viene prestata nella fase acuta dell'intossicazione, tuttavia, fa raramente seguito un follow-up adeguato, necessario per una valutazione corretta delle possibili sequele dell'evento.

Anche nella fase acuta, tuttavia, l'approccio al paziente presenta ancora alcuni aspetti controversi che riguardano sia aspetti diagnostici (es. disponibilità e necessità di indagini di tossicologia analitica) che terapeutici, in modo particolare quelli relativi all'impiego di alcuni antidoti e di manovre per la decontaminazione del tratto gastroenterico.

Il concetto che lo svuotamento gastrico sia perentorio in tutti i casi di sovradosaggio di farmaci per ingestione è stato giustamente criticato negli ultimi 15 anni. Un approccio più razionale, basato sulla conoscenza di alcuni fondamentali parametri tossicologici e tossicocinetici (es. dose tossica, velocità di assorbimento, effetti), unitamente a una precisa e corretta valutazione dell'attendibilità dell'anamnesi e della concordanza di sintomi e segni presentati dal paziente, consente un impiego più mirato della lavanda gastrica e dell'induzione del vomito, così come della somministrazione di carbone attivato.

In effetti, i reali benefici terapeutici dell'applicazione dei metodi di decontaminazione del tratto gastroenterico sono ancora in buona misura mal definiti. Gli studi su volontari vengono effettuati in condizioni troppo distanti dalla realtà dell'intossicazione acuta: vengono utilizzate, ad esempio, dosi assorbite/assorbibili non tossiche, la cinetica del farmaco e i tempi fra l'ingestione e il trattamento sono differenti dalle reali condizioni di intossicazione, e non sono studiabili situazioni comuni quali l'ingestione di sostanze o miscele molto tossiche. Solo gli studi clinici su pazienti intossicati possono chiarire quale sia (i) la quantità di tossico che è possibile sottrarre all'organismo, specie per le sostanze non medicinali, (ii) il vantaggio di una tecnica nei confronti di un'altra in termini di sicurezza, tempo impiegato e costi, (iii) il reale beneficio clinico per il paziente, e (iv) l'intervallo temporale per un'azione efficace in varie condizioni cliniche. Nessuno studio clinico, tuttavia, è riuscito fino ad ora a indagare in modo preciso questi fattori.

Di fatto, nessuna manovra di decontaminazione dovrebbe essere utilizzata senza che esistano validi presupposti clinici e tossicologici per la sua applicazione. Per contro, l'evidenza statistica della loro efficacia non deve essere il solo parametro che ne giustifichi l'impiego, tenuto conto della scarsa morbilità di tali trattamenti rispetto agli effetti dei tossici per i quali essi vengono impiegati: se l'efficacia dei metodi non è provata, l'importante è non nocere.

Allo stato attuale delle conoscenze è opportuno ritenere che i mezzi e i farmaci necessari per effettuare una lavanda gastrica, un'induzione del vomito e la somministrazione di carbone attivato, debbano essere disponibili in ogni pronto soccorso. In tutti i casi di ingestione di farmaci o sostanze non medicamentose potenzialmente letale o causa di grave intossicazione, le metodiche atte a rimuovere l'assorbimento del veleno devono essere utilizzate il più precocemente possibile per cercare di ottenere l'effetto massimale. L'efficacia del trattamento probabilmente diminuisce se è trascorsa più di un'ora dall'ingestione, ma non di meno è giustificata un'astensione dai trattamenti di decontaminazione, specie nel caso di intossicazioni da farmaci molto pericolosi o da sostanze chimiche non medicinali.

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3 APPROCCIO AL BAMBINO CON SOSPETTA INTOSSICAZIONE ESOGENA ACUTA

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Alberto G. Marchi - Servizio di Pronto Soccorso, Primo Accoglimento e Centro Anti Veleni - IRCCS Burlo Garofolo, TRIESTE

L'approccio all'avvelenamento in età evolutiva presenta elevati rischi di errore di sopravvalutazione, con eccesso di ricoveri, accertamenti, terapie, inutili se non dannosi, oppure di sottovalutazione, con omissione o ritardo di interventi indispensabili. Questo dipende dalle variazioni con l'età delle sue caratteristiche (frequenza, modalità di esposizione, sostanze in causa , gravità delle conseguenze, rischi principali) e dalla mancanza di regolari resoconti integrati degli ospedali e dei Centri Anti Veleni nel nostro paese. I dati correnti riguardano infatti solo la mortalità, che è scarsamente utile per la sua rarità, ma non la morbidità. Per il Nord Italia sono disponibili i dati della sorveglianza avviata dal 1975 a Trieste e in altri 5 ospedali pediatrici nell'ambito dello Studio Multicentrico degli Avvelenamenti del Bambino [1, 2, 3]. La differenziazione della semplice esposizione a sostanze tossiche dall'avvelenamento e la quantificazione dell'entità di quest'ultimo mediante score quantitativo [4] ci hanno permesso di delineare il quadro dell'esposizione alle sostanze tossiche in età pediatrica e di identificare i rischi principali nelle nostre regioni e le loro variazioni nel tempo. La frequenza è alta nei primi anni di vita, poi si riduce per aumentare nuovamente nell'adolescente. Nel bambino piccolo l'esposizione è quasi sempre accidentale e domestica e riguarda sostanze diverse, con tossicità anche modesta; il ricorso al P.S. è precoce, anche in assenza di sintomi, e l'intervento terapeutico evita spesso conseguenze cliniche. Nell'adolescente le sostanze in causa sono meno numerose ma in genere di maggiore tossicità, l'avvelenamento è in parte dei casi volontario, anche se spesso solo dimostrativo; l'accesso al P.S. avviene dopo la comparsa dei sintomi.

Sulla base di queste indicazioni è possibile delineare un approccio razionale, che garantisca la qualità delle cure. Esso va differenziato a seconda che l'anamnesi di esposizione a una data sostanza sia certa o dubbia oppure negativa o "negata".

Nella prima evenienza, la più comune, l'iter decisionale richiede la valutazione successiva della tossicità della sostanza, dell'entità della esposizione, del tempo trascorso, dello stato clinico del bambino e del rischio di complicazioni.

L'accertamento della tossicità della sostanza in causa è facile per i farmaci in base all'Informatore Farmaceutico, ma non per i prodotti commerciali, essendo la loro composizione coperta dal segreto industriale. La consultazione dei Centri Anti Veleni, che dispongono di informazioni confidenziali o dei CD ROM tossicologici permette di escludere la tossicità di molte sostanze e chiudere il problema a questo punto o, in presenza di sintomi, di considerare altre patologie al di fuori dell'ambito tossicologico.

Se la sostanza in causa risulta tossica, l'approccio va proseguito per i punti successivi.

L'entità dell'esposizione è spesso difficilmente valutabile. La ricostruzione della dinamica è utile, in quanto l'entità della esposizione è in genere minore nell'avvelenamento accidentale rispetto a quello volontario. In non pochi casi il ricupero di parte della sostanza nell'ambiente, permette di escludere una esposizione significativa. L'entità dell'avvelenamento e/o delle sue conseguenze può inoltre essere quantificata in base ad alcuni accertamenti tossicologici o metabolici rapidi.

L'accertamento del tempo trascorso tra contatto con la sostanza tossica e il controllo medico è importante in riferimento alla possibile latenza di azione: in corso di essa l'assenza di sintomi non permette di escludere un avvelenamento.

La valutazione dello stato clinico del bambino è naturalmente fondamentale: in presenza di sintomi compatibili con la tossicità della sostanza il trattamento va iniziato senza attendere il risultato degli accertamenti tossicologici. In assenza di sintomi le decisioni operative (ricovero, accertamenti, terapie) vanno prese in considerazione della eventuale latenza di azione.

Il rischio di complicanze immediate e/o a distanza, anche in considerazione della eventuale azione in due tempi della sostanza in causa, completa la valutazione clinica, e può essere quantificato con accertamenti specifici per alcuni avvelenamenti.

Le situazioni in cui l'anamnesi è negativa o "negata" sono più rare: il sospetto nasce dal riscontro di sintomi caratteristici o all'opposto strani, assurdi, non spiegabili con le comuni patologie del bambino. Spesso i familiari negano inizialmente ogni possibile contatto con agenti tossici. Questi pazienti richiedono trattamento sintomatico immediato, da integrare con altri specifici, sulla base della precisazione diagnostica successiva.

In questo gruppo rientra il maltrattamento mediante intossicazione, che è particolarmente difficile da riconoscere per l'assenza di reperti obiettivi caratteristici o indicativi dell'abuso. Gli elementi di sospetto da considerare riguardano la discrepanza tra dinamica riferita ed età del bambino, la ripetizione degli eventi, la situazione familiare o personale a rischio [5].

L'algoritmo presentato permette di decidere se rinviare il bambino a domicilio oppure tenerlo in osservazione o ricoverarlo e se effettuare trattamento e/o monitoraggio clinico o tossicologico. Il rinvio a domicilio è possibile se la sostanza è innocua, la dose assunta non è tossica, non si sono avuti sintomi trascorso il periodo di latenza. L'osservazione temporanea è indicata nel paziente asintomatico durante la fase di latenza o dopo trattamento in P.S. per avvelenamento da sostanze a bassa tossicità. Il ricovero è necessario in presenza di segni/sintomi clinici, necessità di trattamento ospedaliero e/o monitoraggio clinico, tossicologico, strumentale; rischio di complicanze.

Dal punto di vista terapeutico vanno innanzitutto stabilizzate le funzioni vitali, se compromesse: questo intervento ha la precedenza assoluta rispetto ad ogni altro, anche alla somministrazione di antidoti specifici. Le procedure di neutralizzazione e allontanamento del tossico dall'apparato gastrointestinale (emesi, gastrolusi, adsorbenti e neutralizzanti, catarsi salina) sono attualmente considerate in maniera critica rispetto al passato. La decontaminazione gastrointestinale è necessaria in caso di esposizione a significative quantità di sostanze tossiche. In caso di esposizione accidentale a sostanze che per bassa tossicità o quantità non siano prevedibilmente in grado di causare conseguenze importanti la decisione è invece controversa. Il ricorso all'emesi con l'ipecacuana ha rappresentato la scelta tradizionale, consigliata come primo intervento a domicilio da parte dei genitori; l'osservazione clinica, con o senza somministrazione di carbone vegetale, potrebbe rappresentare una alternativa valida e meno traumatica, anche se mancano studi controllati sulla sua efficacia rispetto all'approccio interventistico finora seguito.

Un discorso a parte merita il trattamento con antidoti specifici, di impiego tuttora limitato e basato su esperienze aneddotiche in età evolutiva. Esso va deciso in singoli casi, sulla base di una valutazione costi-efficacia.

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4 POSSIBILITA' E LIMITI DEL LABORATORIO APPLICATO ALLE INTOSSICAZIONI ACUTE

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Maria Montagna - Cattedra di Tossicologia Forense, Università degli Studi di Pavia

Nel caso di presunto intervento causale, in una patologia acuta, di uno o più agenti esogeni i dati del laboratorio tendono a svolgere il triplice ruolo di:

1) supporto alla diagnosi attraverso la conferma di un sospetto anamnestico e/o la validazione di una "impressione" clinica ovvero escludendo l'esistenza di noxae tossiche;

2) supporto al trattamento in termini di guida alla somministrazione di antagonisti ed antidoti o all'applicazione di tecniche di depurazione appropriate;

3) supporto alla prognosi attraverso il monitoraggio dei livelli plasmatici del tossico anche in funzione dei trattamenti applicati.

I dati chimico-tossicologici risultano, inoltre, indispensabili per studi di tossicocinetica, per l'ottenimento di dati esclusivi di tossicità acuta nell'uomo (in particolare quelli relativi alle concentrazioni plasmatiche tossiche di riferimento), per elaborare nuovi protocolli a fini statistici ed epidemiologici specifici.

Ciò premesso, i requisiti fondamentali dell'indagine di laboratorio nella materia in discussione, specie nel suo essenziale momento diagnostico, si riconoscono o nell'esigenza di fornire in tempo reale e con elevato livello di affidabilità risultati analitici concernenti il più vasto spettro possibile di sostanze.

Alla evidente onerosità dei compiti enunciati si accompagna poi tutta una serie di fattori che rendono ulteriormente complessi gli accertamenti. Alludiamo, da un lato, al numero elevato di sostanze disponibili, alla loro diversificata struttura chimica, all'ampio intervallo delle dosi efficaci e, quindi, delle concentrazioni raggiungibili nei liquidi biologici. D'altro canto sono da considerare l'eventuale assunzione simultanea di più agenti attivi, peraltro non anamnestici, la loro non infrequente lacunosità o, peggio, inaffidabilità. Ne sono di minor peso, sul piano gestionale ed organizzativo la imprevedibilità ed irregolarità numerica e temporale con cui i casi si presentano nonché le possibili implicazioni medicolegali ad essi sottese.

Le linee da seguire perché un laboratorio possa aspirare a qualificarsi come un concreto servizio tanto efficiente quanto efficace a favore dell'intossicato acuto sono ben tracciate. A tal fine risultano essenziali i seguenti elementi:

Un assetto di servizio quale sopra delineato, comportando pesanti oneri organizzativi ed economici, appare ragionevolmente proponibile soltanto per un numero contenuto, e proporzionato all'utenza, di laboratori di riferimento di dimensione regionale o sovra-regionale. In sede periferica potrebbero essere invece delegate ai laboratori mansioni meno complesse: da un semplice supporto diagnostico nel campo degli avvelenamenti più frequenti per i laboratori di un ipotetico primo livello a compiti di tossicologia analitica meglio differenziati e più ampi per quelli di secondo livello.

Ferme restando le difficoltà intrinseche ad una diagnosi eziologica d'urgenza, le potenzialità ed i limiti di un laboratorio specialistico di tossicologia clinica a favore dell'intossicato acuto appaiono fortemente condizionate da un insieme di caratteristiche ambientali, strumentali e funzionali, quelle stesse già individuate nel D.P.C.M. 10 febbraio 1984 "indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regione in materia di requisiti minimi di strutturazione, di dotazione strumentale e di qualificazione funzionale del personale dei presidi che erogano prestazioni di diagnostica di laboratorio".

In tal senso i tempi sono più che maturi per la elaborazione di linee guida che valgano ad incanalare le nascenti iniziative in una direzione corretta pur se criticamente ponderata in termini di rapporto beneficio-costo.