Numero in formato solo testo


ISSN 1080-3521

EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY

and

CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -

Il giornale Italiano online di anestesia Vol 7 No 11 Novembre 2002


Pubblicato elettronicamente da

Vincenzo Lanza, MD

Servizio di Anestesia e Rianimazione

Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy

E-mail: lanza@mbox.unipa.it

Keith J Ruskin, MD

Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine

333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA

E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu

Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine

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In questo numero:

ATTI CONGRESSUALI ONLINE XVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia Intensiva S.I.T.I
dal corso "Tecniche di depurazione extra-renale continua in Terapia Intensiva"

1 Principi depurativi delle tecniche di rimozione extrarenale

2 L'Emopurificazione in Terapia Intensiva

 

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ATTI CONGRESSUALI ONLINE
XVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia Intensiva S.I.T.I.

La redazione di Esia-Italia dedica alcuni suoi numeri alla presentazione online di una selezione degli atti del XVII Congresso Nazionale SITI (Società Italiana di Terapia Intensiva), tenutosi nel Settembre 2003 a Palermo.
Attraverso ESIA, i presidenti, il comitato organizzatore e il comitato scientifico del congresso SITI hanno deciso di offrire il materiale scientifico congressuale per la libera consultazione online, certi di incontrare il bisogno di formazione e di aggiornamento dei lettori: anestesisti-rianimatori, infermieri, chirurghi e altri addetti ai lavori dell'area critica. La selezione degli articoli spazia tra le diverse aree di interesse, valorizzando le competenze mediche e infermieristiche delle tematiche trattate, a sottolineare che solo una crescita culturale di tutto il gruppo di lavoro può garantire i migliori risultati di cura sui pazienti critici. Pertanto Esia-Italia, perseguendo le proprie finalità costitutive di strumento elettronico di formazione scientifica e tecnica, si offre come canale di pubblicazione dei lavori congressuali; in ogni caso la redazione di Esia-Italia non si riterrà responsabile di errori o di omissioni ravvisabili nei testi prodotti nè dell'eventuale impropria utilizzazione delle tecniche descritte. 

 

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Principi depurativi delle tecniche di rimozione extrarenale

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Principi depurativi delle tecniche di rimozione extrarenale
Carlo Rovati

I trattamenti sostitutivi della funzione renale realizzano la rimozione delle scorie accumulate nel sangue uremico mediante un trasferimento di sostanze attraverso membrane semipermeabili. I meccanismi implicati in detto trasferimento di soluti sono essenzialmente due: la DIFFUSIONE e la CONVEZIONE.

Ognuno dei meccanismi verrà analizzato singolarmente.

 DIFFUSIONE (dialisi)

A

B

(fig. 1)

  1. Rappresentazione schematica di un filtro di dialisi.

  2. Flussi di sangue e di dializzante mantenuti in controcorrente per garantire un gradiente di concentrazione lungo tutta la lunghezza del filtro.

Sta ad indicare il trasferimento isolato di un soluto da una soluzione ad un’altra attraverso una membrana semipermeabile, che viene condizionato da:

  1. gradiente di concentrazione

  2. peso molecolare del soluto

  3. resistenza della membrana semipermeabile al passaggio del soluto

1.      Gradiente di concentrazione: costituisce la forza principale che governa il trasferimento di un soluto attraverso una membrana semipermeabile, nel senso che il trasferimento di un dato soluto è tanto maggiore quanto più elevato è il gradiente di concentrazione per quel soluto tra le due soluzioni.

2.      Peso molecolare: il peso molecolare è in grado di condizionare il trasferimento di un soluto, nel senso che detto passaggio è tanto maggiore, quanto minore è il peso molecolare della sostanza. Infatti il peso molecolare condiziona la velocità di spostamento della molecola e rende più o meno agevole il passaggio attraverso la membrana semipermeabile. (fig. 2)

(fig. 2) Dipendenza della capacità depurativa (del filtro di dialisi) dalle dimensioni molecolari del soluto (urea << inulina) e dal flusso ematico.

3.      Resistenza della membrana: rappresenta una forza negativa che tende ad opporsi al passaggio del soluto attraverso la membrana semipermeabile. Detta variabile è a sua volta condizionata da:

  1. spessore della membrana: la resistenza incontrata da una molecola ad attraversare la membrana è direttamente proporzionale allo spessore della stessa ed inversamente al numero ed al diametro dei pori, di cui è dotata la membrana. Pertanto membrane sottili, dotate di pori numerosi ed ampi offrono poca resistenza al passaggio dei soluti (membrane ad alta permeabilità).

  2. Strati liquidi sulla membrana: la resistenza può essere aumentata dalla presenza di strati di liquido con flusso laminare sulla superficie della membrana in quanto viene a ridursi il gradiente di concentrazione del soluto immediatamente a ridosso della membrana.

  3. Legame proteico del soluto: la resistenza viene esasperata dalla presenza di un elevato legame tra il soluto e le proteine plasmatiche, in quanto esso aumenta il peso molecolare del soluto al punto tale da realizzare un impedimento sterico al passaggio del complesso soluto + proteina attraverso la membrana semipermeabile.

PRINCIPI DELLA DIFFUSIONE

La diffusione dei soluti dal sangue al dializzante è dipendente, secondo la I legge di Fick, dal gradiente di concentrazione tra sangue e dializzante (bagno di dialisi) ed inoltre dal coefficiente di diffusibilità attraverso la membrana e dalla superficie della stessa, secondo la seguente formula.

  Js = Ko A (Cb – Cd)       (1)

Js = trasferimento di massa del soluto
Ko = coefficiente di diffusività del soluto
Cb – Cd = gradiente di concentrazione tra sangue e dializzante
A = area della superficie della membrana

NB: Ko A viene fornito dal fabbricante ed è modificabile con il variare del flusso ematico e del dializzante.

Inoltre le variazioni dei flussi e delle concentrazioni che conseguono ai trasferimento di fluidi e di soluti attraverso una membrana semipermeabile obbediscono alla legge di conservazione di massa, e cioè è valido il principio secondo cui ciò che viene rimosso da un compartimento deve assolutamente essere rinvenuto nel compartimento adiacente, e pertanto in ogni sistema diffusivo viene ad essere garantito un bilancio di massa sia per quanto attiene ai fluidi, sia per quanto attiene ai soluti. (4)

Per il movimento dei fluidi che si realizza in un sistema dialitico vale la seguente relazione.

  Qb in – Qb out = Qd out – Qd in = Qf       (2)

Qb in = flusso ematico in entrata nel dializzatore
Qb out = flusso ematico in uscita dal dializzatore
Qd in = flusso di dializzante in entrata nel dializzatore
Qd out = flusso di dializzante in uscita dal dializzatore
Qf = flusso di ultrafiltrato: entità della ultrafiltrazione

  Per il trasferimento di soluti Js, che si realizza in un sistema dialitico vale la seguente relazione:

  Js = Qb in x Cb in – Qb out x Cb out = Qd out x Cd out – Qd in x Cd in   (3)

  e si tiene conto dell’ultrafiltrazione Qf

  Js = Qb in (Cb in – Cb out) + Qf Cb out = Qd in (Cd out – Cd in) + Qf Cd out  (3’)

Cb in = concentrazione ematica del soluto in entrata nel dializzatore
Cb out = concentrazione ematica del soluto in uscita dal dializzatore
Cd in = concentrazione del soluto nel dializzante in entrata nel dializzatore
Cd out = concentrazione del soluto nel dializzante in uscita dal dializzatore

Dalle relazioni sovraesposte si può procedere alla valutazione della efficienza del dializzatore. Infatti l’entità del trasferimento di massa di un soluto da parte di un dializzatore dipende dalla concentrazione ematica del soluto in entrata nel sistema e dalla clearance del dializzatore e può essere espressa dalla relazione seguente.

  Js = Kd x Cb in   (4)

Kd = clearance, cioè efficienza del dializzatore nel rimuovere i soluti presenti nel sangue e non nel dializzante.

Dalla relazione (4) può essere ricavata la clearance del dializzatore Kd.

che può essere espressa più estesamente utilizzando la relazione (3)

e se si tiene conto della ultrafiltrazione Qf  

L’efficienza di un dializzatore nel rimuovere un soluto presente non solo nel sangue in entrata, ma anche nel dializzante in entrata nel sistema, viene meglio espressa dal concetto di dialysance (Dd).

  Quindi in analogia alla relazione (4) possiamo scrivere:

  Js =  Dd (Cb in – Cd in)   (7)

dove Cb in – Cd in sta ad indicare il gradiente di concentrazione tra sangue e dializzante del soluto in studio,

  ed analogamente alla relazione (5):

  ed ancora in analogia alla (6) potremo esprimere la relazione della dialysance in maniera più estesa:

e se si tiene conto della ultrafiltrazione:

Quindi l’impiego delle relazioni sovrariportate permette di valutare l’efficienza depurativa del dializzatore, utilizzando parametri operativi normalmente disponibili come la concentrazione nel sangue e nel dializzante del soluto, il flusso ematico e del dializzante nel sistema e la quota ultrafiltrata e di rilevare come la clearance o la dialysance diffusiva dipenda dal flusso ematico e di dializzante, dal gradiente di concentrazione, dalla proprietà e dalla superficie della membrana, dalle caratteristiche del soluto e non ultimo dalla quantità di soluto rimossa per ultrafiltrazione.

CONVEZIONE

La convezione rappresenta il secondo meccanismo di trasferimento di un soluto attraverso una membrana semipermeabile e può essere definita come lo spostamento di soluto conseguente alla azione di trascinamento attuato dal passaggio di solvente attraverso una membrana semipermeabile per opera di una pressione esercitata sulla membrana stessa. Quindi i soluti con dimensioni molecolari compatibili con i pori della membrana sono trascinati assieme all’acqua (solvent drag) nelle stesse concentrazioni in cui si trovano disciolti.

Pertanto il trasferimento convettivo è condizionato dalla entità dell’ultrafiltrazione Qf.

L’entità dell’ultrafiltrazione dipende dalla permeabilità idraulica della membrana, dalla area della sua superficie e dal gradiente di pressione ai due lati della stessa.

  Qf = Lp A DP    (10)

Lp = permeabilità idraulica dela membrana
A = area della superficie della membrana
DP = gradiente di pressione ai due lati della membrana

 

ma LpA è specifico di ogni membrana e viene definito coefficiente di ultrafiltrazione: Kuf.

Pertanto la relazione (10) può essere riscritta nel modo seguente:

  Qf = Kuf DP       (11)

  cioè l’entità dell’ultrafiltrazione dipende dal coefficiente di ultrafiltrazione della membrana e dal gradiente di pressione esistente ai due lati della stessa, chiamato comunemente: pressione transmembrana TMP.

 

Analizziamo separatamente i due fattori della relazione (11).

 1.      Coefficiente di ultrafiltrazione (Kuf).

Ogni membrana è dotata di una permeabilità idraulica che dipende dalla composizione, dallo spessore, dalla dimensione dei pori in essa presenti e naturalmente dalla sua superficie. La permeabilità idraulica viene quantizzata dal coefficiente di ultrafiltrazione Kuf che viene espresso come il numero di cc di acqua trasferiti ogni ora attraverso la membrana per ogni mm di Hg di gradiente pressorio esistente tra i due lati della membrana stessa.

2.      Gradiente pressorio: pressione transmembrana (DP = TMP)

La differenza di pressione esistente tra i due lati della membrana condiziona il passaggio di acqua e dei soluti in essa disciolti e quindi regola la velocità di ultrafiltrazione e la entità del trasporto convettivo.

La pressione transmembrana TMP è a sua volta la risultante della somma algebrica dei valori pressori esistenti sui lati opposti della membrana e della pressione oncotica del plasma, secondo la relazione:

  TMP = Pb – Puf – p     (12)

Pb = P nel compartimento ematico
Puf = P nel compartimento dell’ultrafiltrato
p  = P oncotica esercitata dalle proteine plasmatiche

PRINCIPI DELLA CONVEZIONE

Il trasferimento di massa di un soluto mediante il trasporto convettivo è dipendente dalla entità della ultrafiltrazione, dalla concentrazione del soluto nel sangue e dal coefficiente di setacciamento della membrana nei confronti dei soluti (permeabilità della membrana ai soluti, che per le piccole molecole è 1), secondo la relazione:

Js = S Qf Cb in   (13)

Qf = entità dell’ultrafiltrazione
Cb in = concentrazione del soluto nel sangue in entrata nel sistema
S = coefficiente di setacciamento della membrana, proprio di ogni membrana, e che viene esasperato mediante l’allestimento di nuove membrane, dotate di un valore di S sempre più elevato per le molecole di dimensioni maggiori.

 

  CONFRONTO TRA RIMOZIONE DI SOLUTI DI TIPO CONVETTIVO E DI TIPO DIFFUSIVO

  1.      Poiché l’entità della ultrafiltrazione (Qf) è inferiore ai valori di clearance ottenuti con la maggior parte dei dializzatori, ne discende che le metodiche convettive sono meno efficienti di quelle diffusive nella rimozione delle piccole molecole, mentre permettono una maggiore rimozione delle molecole più grandi in virtù del maggiore coefficiente di setacciamento offerto a dette molecole dalle membrane utilizzate (rispetto alle membrane di dialisi). (6) (fig. 3)  

(fig. 3): Relazione tra clearance  e peso molecolare dei soluti.

Curva A: clearance diffusiva pura (senza ultrafiltrazione). Curva B: clearance convettiva

Si noti come la clearance diffusiva sia ottimale per soluti con PM di 100-200 Daltons, mentre la clearance convettiva si mantiene elevata fino a PM > 10.000 Daltons.

2.      Poiché nelle metodiche convettive manca la componente diffusiva, viene ad essere annullata la differenza di concentrazione tra sangue in entrata e quello in uscita dal filtro con conseguente conservazione dei valori di osmolarità plasmatica in seguito allo allontanamento dal sangue di acqua e soluti nelle stesse proporzioni esistenti nello stesso (disidratazione isotonica). Questa peculiarità conferisce alle metodiche convettive la capacità di garantire al paziente una maggiore stabilità emodinamica.

CARATTERISTICHE OPERATIVE DELLE METODICHE CONVETTIVE

  Poiché le metodiche convettive effettuano la rimozione dei soluti mediante sottrazione di acqua (ultrafiltrazione) ne consegue la comparsa di emoconcentrazione con riduzione della efficienza del sistema (per riduzione della UF) e con la necessità di somministrare liquidi isotonici a composizione adeguata per garantire la conservazione della volemia del paziente e della capacità depurativa del sistema.

La reintegrazione della volemia può venir effettuata mediante somministrazione di liquidi con due modalità diverse: post-diluizionale e pre-diluizionale.

  1.  Modalità post-diluizionale: il liquido di reinfusione viene somministrato a valle del filtro in quantità simili alla entità della ultrafiltrazione, che comunque deve essere contenuta entro il 30% del flusso ematico per evitare il blocco del sistema da eccessiva emoconcentrazione. Pertanto con questa modalità di reintegrazione della volemia la capacità depurativa della metodica convettiva è strettamente connessa alla entità della ultrafiltrazione (Qf).

  2. Modalità pre-diluizionale: il liquido di reinfusione viene somministrato a monte del filtro, con conseguente emodiluizione e riduzione della quantità di soluti rimossi. Pertanto la quantità di liquidi di reinfusione deve essere superiore di almeno il 50% rispetto alla prima modalità per ottenere la stessa efficienza depurativa. Comunque aumentando progressivamente la quantità di liquidi infusi, si può ottenere un incremento della efficienza depurativa teoricamente illimitata.

 

  METODICHE MISTE CONVETTIVO-DIFFUSIVE

  Utilizzando membrane di alta permeabilità idraulica e di scarsa resistenza al passaggio dei soluti (capacità diffusiva) è possibile associare la clearance convettiva a quella diffusiva con aumento della efficienza del sistema che è comunque inferiore alla somma delle due clearance prese singolarmente. Il vantaggio è costituito dalla possibilità di ottenere una buona rimozione delle piccole molecole associata ad una discreta rimozione delle molecole di maggiori dimensioni, che vengono allontanate solo con le tecniche convettive.

 

STUDIO DELLA DOSE DI DIALISI

  La quantificazione della posologia dialitica deve essere basata su grandezze misurabili e quindi su una valutazione farmacocinetica delle tossine uremiche, di cui il prototipo è l’urea. Pertanto si valuterà la (farmaco) cinetica dell’urea studiandone le varie tappe.  

  1. Assorbimento del farmaco: generazione di urea

  2.  Volume di distribuzione del farmaco: volume di distribuzione dell’urea  

  3.  Escrezione del farmaco: eliminazione (dialitico/naturale) dell’urea

 

1.      GENERAZIONE DI UREA (G)

Il metabolismo proteico genera azoto nella quantità di 1 gr ogni 6.25 gr di proteine catabolizzate e la maggior parte di questo azoto è eliminato sottoforma di urea. Pertanto la determinazione dell’urea prodotta in un determinato tempo (G) consente di stimare l’azoto totale prodotto e di conoscere la quantità di proteine catabolizzate (PCR) secondo le seguenti relazioni:

  G = 0,154 PCR – 1,7  (14)

  PCR = 9,35 G + 0,294 V    (15)

  PCR = g/die; G = g/die o mg/m’; V = litri di acqua corporea

  NB: per maggiore chiarezza è meglio usare la PCR normalizzata (pcr), che indica la quantità di proteine catabolizzate giornalmente per ogni Kg di peso corporeo magro (g/Kg/die). (8)

2.      VOLUME DI DISTRIBUZIONE (V)

Secondo il modello cinetico monocompartimentale l’urea è disciolta con concentrazione uniforme nell’acqua totale corporea, che viene considerata il 58% del peso corporeo.

 

3.      ELIMINAZIONE DEL TOSSICO UREMICO (urea)

L’eliminazione del tossico uremico è rappresentata dalla clearance (K) del rene nativo o del dializzatore, per cui la quantità eliminata nell’unità di tempo sarà corrispondente al prodotto della clearance per la concentrazione C e cioè KC.

Pertanto in una situazione di equilibrio metabolico la rimozione di urea eguaglia la sua generazione in ottemperanza al principio del bilancio di massa secondo le seguenti relazioni:

  G = KC      e           G – KC = 0       (16)

  Mentre in condizioni di non equilibrio metabolico la rimozione determinerà una variazione di massa diversa da zero secondo le seguenti relazioni:  

se     DM = CtV – CoV

  dove:

Ct = concentrazione di urea al tempo t
Co = concentrazione di urea al tempo 0
V = volume di distribuzione dell’urea

  la relazione (17) potrà essere riscritta:

  La relazione (18) può essere riferita:

  1. al periodo interdialitico (dove nel paziente anefrico K = 0), nel quale quindi scompare il termine KC per cui varrà la seguente relazione:

  Gt = CtV – CoV

  e semplificando,  

La relazione (19) indica che nell’intervallo interdialitico la concentrazione di urea al tempo t è strettamente dipendente dalla generazione della stessa nello stesso intervallo di tempo.

  1. Alla seduta di dialisi (dove G = 0), nella quale scompare il termine Gt, per cui varrà la seguente relazione:

  KCt = CtV – CoV

  dove Co = concentrazione di urea all’inizio della seduta dialitica

e semplificando,  

Ma, poiché il valore di C si riduce progressivamente durante la seduta, la relazione (20) dovrà essere espressa in termini diversi e cioè,  

la quale esprime il concetto che se vogliamo conoscere la concentrazione di urea in un momento t della seduta dobbiamo togliere dalla concentrazione iniziale Co la frazione di concentrazione rimossa dal dializzatore, ed ancora che la velocità di diminuzione di Co è funzione della efficienza del dializzatore K, che agisce per il tempo t sul volume V, in cui è disciolta l’urea ed infine che il rapporto Kt/V rappresenta la frazione del volume di distribuzione dell'urea depurata nel tempo t per opera del dializzatore. (1)

 NB: il rapporto Kt/V costituisce un parametro matematico per valutare l’efficienza della metodica utilizzata per rimuovere l’urea e detossicare l’organismo ed indica anche che se vogliamo mantenere l’efficienza depurativa in caso di riduzione di K dobbiamo aumentare t. Numerosi dati della letteratura correlano i valori di Kt/V > o = 1,3 con una buona depurazione delle tossine uremiche, senso di benessere e miglioramento dell’appetito.

 

CALCOLO DI G, PCR e pcr

Nel paziente dializzato in equilibrio metabolico con un volume di distribuzione V, la quantità di azoto ureico accumulato (G) nell’intervallo t2, corrisponde a quella (Q) estratta durante una seduta dialitica con una clearance K ed una durata t1.

  Gt2 = Q     (22)

  Durante la seduta dialitica la concentrazione dell’azoto ureico decresce dal valore iniziale C1 a quello finale C2, per cui la quantità rimossa potrà essere espressa dalla seguente relazione:

  Q = (C1 – C2) x V    (23)

nella quale il termine C2 potrà essere sostituito, utilizzando la relazione (21), dal termine C1e per cui la relazione (23) potrà essere riscritta:

e riprendendo la (22)

  e quindi

L’utilizzo della formula (24) ci permette di calcolare la generazione di urea (G) nell’intervallo interdialitico t2 partendo da parametri di facile individuazione.

C1 = concentrazione predialitica di urea
K = clearance del dializzatore
t1 = durata della seduta dialitica
t2 = intervallo interdialitico
V = volume di distribuzione dell’urea

La conoscenza di G ci permette di calcolare PCR utilizzando la relazione (15):

  PCR = 9,35 G + 0,294 V

  e quindi  

 

VALORI DI pcr E LORO SIGNIFICATO

  I tassi predialitici di azoto ureico tendono ad essere bassi quando il catabolismo proteico (pcr) è limitato per scarsa introduzione di proteine alimentari, e su tali concentrazioni l’influenza esercitata da Kt/V è scarsa. (fig. 4 e fig. 5)

(fig. 4) Concentrazioni predialitiche di azoto ureico (mg%) calcolate in funzione delle diverse combinazioni di Kt/V e di pcr. Da notare che per valori di Kt/V usuali (1,3) le concentrazioni di azoto dipendono nettamente da pcr ed ancora che quando pcr è bassa, i valori di azoto predialitici sono sempre bassi anche quando Kt/V è inferiore ai valori usuali.


(fig. 5) Relazione tra pcr e concentrazioni predialitiche di azoto ureico. Da notare come, per identici valori di pcr, le concentrazioni predialitiche di azoto ureico dipendano dai valori di Kt/V

 

Se il valore di Kt/V è adeguato, le concentrazioni predialitiche di azoto ureico costituiscono un indice di catabolismo proteico e quindi dell’introito di proteine, qualora il paziente sia metabolicamente stabile (8). Nel paziente metabolicamente instabile il parametro pcr non riflette tanto l’introito proteico, quanto l’ipercatabolismo secondario a malnutrizione calorico-proteica o a patologia intercorrente che condiziona l’attivazione di fattori eccitocatabolici.

 

pcr       0,8 – 1,3          paziente stabile

            1,9 – 4             paziente ipercatabolico

 

PRESCRIZIONE DEL TRATTAMENTO SOSTITUTIVO INTERMITTENTE SULLA BASE DI KT/V, pcr e C

La prescrizione nel paziente acuto della stessa dose dialitica utilizzata per il paziente cronico di ugual peso è concettualmente sbagliato, in quanto il malato acuto è spesso ipercatabolico, emodinamicamente instabile ed incapace di sopportare sedute dialitiche prolungate. E’ necessario pertanto personalizzare il trattamento depurativo intensificando la frequenza delle sedute nelle fasi iniziali della malattia, quando sono più elevati il catabolismo, l’accumulo di fluidi e la instabilità emodinamica; successivamente può essere adottata una tattica meno aggressiva. Un approccio adeguato è quello di prefissare valori predialitici di azoto ureico da non superare, per poter garantire il benessere del paziente. La maggior parte degli Autori consiglia di mantenere le concentrazioni di azoto ureico predialitiche tra 60 e 100 mg%.

Poiché la concentrazione predialitica di azoto ureico dipende direttamente dalla generazione di urea (G), occorsa nell’intervallo interdialitico, dalla efficienza dialitica (Kt/V), dalla durata (t) della seduta e dalla frequenza dei trattamenti nel corso della settimana e dal momento che i primi tre parametri sono poco modificabili in quanto strettamente legati alle condizioni del paziente, ne discende che la unica variabile sulla quale si può agire è costituita dalla frequenza settimanale delle sedute. Comunque nel paziente altamente catabolico (pcr ~ 4 g/Kg/die) l’adeguatezza del trattamento depurativo (azoto ureico predialitico al di sotto dei valori target), pur eseguendo sedute di alta efficienza (Kt/V ~ 1,5), non viene raggiunta neppure con un ritmo dialitico quotidiano. (fig. 6 e fig. 7)  

(fig. 6) Dipendenza della concentrazione predialitica di azoto ureico dalla pcr, a parità di efficienza dialitica (Kt/V).Concentrazioni predialitiche accettabili (linea nera orizzontale), pur eseguendo sedute di alta efficienza (Kt/V ~ 1,5), si ottengono per pazienti ipercatabolici solo con una frequenza quotidiana (a), mentre con una frequenza a giorni alterni (b) si garantisce una discreta depurazione solo a pazienti nettamente meno catabolici. (4)

 

(fig. 7) Correlazione inversa tra durata dell’intervallo interdialitico e pcr, a parità di efficienza dialitica (Kt/V). Al fine di garantire concentrazioni predialitiche adeguate (linea nera orizzontale), quanto più elevata è la pcr, tanto minore dovrà essere l’intervallo interdialitico (a), che si ridurrà ulteriormente in caso di efficienza dialitica inferiore (b). (4)

EFFICACIA E TOLLERABILITA’ DEL TRATTAMENTO SOSTITUTIVO

Qualsiasi trattamento sostitutivo deve essere efficace e ben tollerato. Il trattamento emodialitico intermittente non raggiunge il target di efficacia nel paziente acuto, ipercatabolico, anche con sedute giornaliere. Inoltre la dialisi convenzionale è spesso mal tollerata nel malato acuto, emodinamicamente instabile, spesso ipo-oncotico, in quanto, determinando essa una ipo-osmolarità plasmatica, facilita la fuoriuscita di liquidi dal torrente circolatorio, peggiorando così le condizioni emodinamiche. La instabilità emodinamica compromette la ripresa funzionale del rene ed inficia la sopravvivenza del paziente. Infine nel concetto di efficacia devono essere valutati anche la capacità del trattamento sostitutivo di garantire la ristorazione dell’omeostasi idrico-elettrolitica ed acido-base, la rimozione dell’eccesso di fluidi in maniera oligosintomatica e, se possibile, permettere anche un miglioramento dello stato nutrizionale attraverso la somministrazione di quantità opportune di metaboliti e nutrienti. Purtroppo i trattamenti di tipo intermittente non riescono a soddisfare la maggior parte di queste esigenze irrinunciabili, specialmente la ristorazione ed il mantenimento degli spazi idrici, così frequentemente e pesantemente compromessi nel paziente acuto, polipatologico.

Per tutte queste ragioni negli ultimi venti anni sono state messe a punto metodiche depurative alternative, che sono in grado di adattarsi alle particolari necessità dei pazienti acuti ricoverati in Rianimazione, e cioè possiedono la capacità di eseguire la rimozione di rilevanti quantità di scorie metaboliche e di liquidi corporei, con modalità operative assolutamente compatibili con le precarie condizioni emodinamiche dei malati. Ciò può essere realizzato attraverso un trattamento depurativo che agisce in maniera continuativa utilizzando un meccanismo di trasporto dei soluti di tipo convettivo (CRRT = Continuous renal replacement therapy).

Pertanto riprendiamo in esame i parametri fisici del meccanismo di trasporto dei soluti di tipo convettivo per formulare i principi fisiopatologici che stanno alla base della efficienza e della tollerabilità dei trattamento sostitutivi di tipo continuo.

TRASPORTO CONVETTIVO: MODALITA’ PER MIGLIORARNE L’EFFICIENZA

  Dalla relazione (13)                       Js = S x Qf x Cb in

si evince che l’entità del trasporto convettivo, a parità di concentrazioni plasmatiche dei soluti, dipende dalla entità della ultrafiltrazione e dal coefficiente di setacciamento, pertanto per migliorare la clearance convettiva si potrà aumentare Qf, oppure il coefficiente di setacciamento mediante l’utilizzo di membrane più permeabili.

 

1. MANIPOLAZIONE DELLA ULTRAFILTRAZIONE (Qf)

Il Qf può essere aumentato mediante:

  1. aumento del flusso ematico (con i limiti imposti dal tipo di accesso vascolare e dalle condizioni emodinamiche del paziente) che aumenta TMP e quindi Qf;

  2. riduzione della P nel compartimento dell’ultrafiltrato (suzione o posizionamento del filtro al di sotto del livello del letto del paziente) che determina aumento di TMP e di Qf.

Tutte le manovre che portano ad un aumento di TMP e di Qf determinano una emoconcentrazione con incremento della pressione oncotica (p) e dell’ematocrito. L’aumento della pressione oncotica può giungere a livelli tali da controbilanciare la P idrostatica e bloccare il sistema. Discorso analogo per l’incremento dell’ematocrito, che quando supera i valori del 50% può determinare la coagulazione del circuito.
Ne deriva che la resa del sistema sarà tanto minore quanto più elevati sono i valori di p, di Ht e della viscosità plasmatica del paziente.
Detti limiti sono più evidenti nella tecnica CAVH, mentre in CVVH, in virtù dell’aumento considerevole del Qb (150-200 cc/m’) ottenuto con l’ausilio delle pompe, possono essere raggiunti valori elevati di Qf (30-40 cc/m’), pur mantenendo i parametri operativi (frazione di filtrazione < o = 25%) nei margini di sicurezza, in quanto l’elevato Qb riduce l’effetto della ultrafiltrazione su p ed Ht. (2)

 

2. MANIPOLAZIONE DEL COEFFICIENTE DI SETACCIAMENTO (S)

L’aumento del coefficiente di setacciamento, ottenibile con l’utilizzo di membrane di sempre migliore porosità e caratteristiche costitutive è molto importante per ottimizzare la rimozione delle medie molecole.

Purtroppo questo parametro tende ad autolimitarsi nelle metodiche convettive che utilizzano una frazione di filtrazione molto elevata in seguito alla formazione di un film proteico sul lato ematico della membrana per un fenomeno di adsorbimento delle proteine plasmatiche la cui entità è direttamente proporzionale alla entità dell’ultrafiltrazione ed inversamente allo shear rate di parete e quindi al flusso ematico. D’altra parte il flusso ematico (Qb) aumenta la TMP e quindi il Qf che facilita la formazione del gel proteico. (10)

Pertanto dal punto di vista pratico è importante impostare parametri operativi che compensino i fattori tra di loro e cioè con un flusso ematico di 150-200 cc/m’ è necessario mantenere una TMP tra 150 e 250 mmHg.

Un altro sistema per aggirare il problema del gel proteico consiste nel ricorrere alla infusione di liquidi in prediluizione, che permette di aumentare considerevolmente il Qb, riducendo la frazione di filtrazione e migliorando la performance della membrana.

Però la tecnica della prediluizione riduce il trasporto convettivo Js in quanto riduce la concentrazione del soluto nel sangue che giunge al filtro (Cb in) e quindi anche la concentrazione nell’ultrafiltrato. Il sistema ideale dovrebbe garantire il flusso ematico più alto possibile pur mantenendosi nei limiti di TMP imposti dalla tolleranza della membrana.

   

TRASPORTO COMBINATO CONVETTIVO E DIFFUSIVO

Nelle metodiche depurative di tipo continuo è possibile associare alla rimozione ottenuta con la ultrafiltrazione anche una rimozione realizzata mediante il processo dialitico, dove pertanto il trasporto di soluto sarà rappresentato dalla somma del trasporto convettivo più il trasporto diffusivo.

  Js = S Qf x Cb in + Ko A (Cb in – Cd in)    (25)

  Però nelle condizioni operative usuali:

Qb = 150-200 cc/m’

Qf = 1000-2000 cc/ora

Qd = 15-35 cc/m’

sono presenti alcune limitazioni che riducono l’efficienza complessiva del sistema al di sotto dei valori teorici ottenibili con la semplice applicazione della relazione (25).

Infatti bisogna tenere conto dei seguenti fattori:

  1. la clearance delle piccole molecole è legata prevalentemente alla quota diffusiva, mentre la clearance delle medie molecole è legata alla quota convettiva, inoltre per i soluti presenti nel dializzante ad una concentrazione superiore a quella plasmatica bisogna tenere conto della forza diffusiva che sposta i soluti dal dializzante al sangue e della forza convettiva che agisce in senso opposto;

  2. nei trattamenti diffusivi di tipo continuo che utilizzano flussi di dializzante piuttosto bassi (< 35 cc/m’), la clearance dei soluti è totalmente dipendente dal flusso di dializzante, in quanto in dette condizioni operative vi è un completo equilibrio tra dializzante ed acqua plasmatica, pertanto un eventuale aumento del flusso di dializzante non comporterà un pari incremento della efficienza a causa di un imperfetto equilibrio tra sangue e dializzante;

  3. l’aumento di Qf determina un incremento della clearance totale, che è più significativo per i bassi flussi di dializzante e viceversa meno importante per gli alti flussi di dializzante, in quanto in quest’ultima condizione prevale la depurazione diffusiva che riduce la efficienza depurativa della ultrafiltrazione, mentre con flussi di dializzante molto bassi prevale la componente convettiva che tende ad eguagliare le concentrazioni ai due lati della membrana annullando il gradiente di concentrazione e la efficacia della componente diffusiva.

 

SCELTA DELLE METODICHE CONTINUE O INTERMITTENTI NEL PAZIENTE CRITICO

Il metodo migliore per confrontare le metodiche consiste nel valutare la loro efficienza nel vicariare il rene nativo nella esecuzione delle funzioni più importanti e nel garantire un più precoce recupero della funzione renale ed una maggiore sopravvivenza. Cioè eseguire una valutazione sui seguenti effetti: (13)  

a

 rimozione dei fluidi

b

rimozione dei soluti (scorie metaboliche)  

c

omeostasi acido-base  

d

eliminazione dei farmaci  

e

  rimozione di eventuali mediatori della infiammazione

f

recupero della funzione renale  

g

contenimento della mortalità  

 

a.       RIMOZIONE DEI FLUIDI

Con il trattamento emodialitico intermittente la rimozione dei fluidi in eccesso viene eseguita in maniera refratta ed in tempi rapidi. Purtroppo la rapida rimozione di liquidi dal torrente circolatorio aggrava la instabilità emodinamica in quanto supera la capacità di recuperare fluidi dall’interstizio (refilling), che viene inoltre ostacolata dalla situazione di ipotonia plasmatica conseguente alla rimozione diffusiva dei soluti. Infine la rapida rimozione per via diffusiva delle amine vasoattive tende a facilitare la comparsa di ipotensione intradialitica.

Con il trattamento sostitutivo di tipo continuo utilizzante prevalentemente il trasporto convettivo, la rimozione dei liquidi in eccesso avviene in maniera continuativa e lenta del tutto simile al flusso urinario fisiologico. La lenta rimozione dei liquidi dal torrente circolatorio riduce la instabilità emodinamica in quanto permette un efficace recupero dei fluidi dall’interstizio (refilling), che viene facilitato dalla disidratazine isotonica operata dalla metodica convettiva, che, in virtù del meccanismo ultrafiltrativo, è in grado di tutelare la pressione osmotica plasmatica.

La metodica convettiva tutela anche il patrimonio delle amine vasoattive, che si rendono così disponibili ad esercitare una vasocostrizione compensatoria alla ipovolemia indotta dalla ultrafiltrazione. Infatti la esperienza clinica dimostra una maggiore capacità delle metodiche di tipo continuo a tutelare letti vascolari particolarmente importanti (cuore, polmone, cervello), permettere la rimozione in maniera efficiente e sicura di notevoli quantità di liquidi in situazioni di estrema gravità (ARDS, MOF), e di costituire l’unica possibilità di trattamento dell’edema cerebrale (post-traumatico, in corso di insufficienza epatica, ecc.). Infine la possibilità di rimuovere in maniera sicura notevoli quantità di fluidi permette la loro reintegrazione sottoforma di soluzioni contenenti farmaci e supporti nutrizionali indispensabili per un paziente critico di alta complessità. (7) (9)

 

b.      RIMOZIONE DEI SOLUTI.

Le metodiche diffusive intermittenti forniscono, in ogni singola seduta, una clearance delle piccole molecole (urea) maggiore rispetto a quelle convettive, però il carattere intermittente riduce la loro capacità totale di rimozione, cosicchè le metodiche continue offrono nel tempo una efficienza depurativa migliore. Questa affermazione è avvalorata dalla esperienza clinica che dimostra tassi azotemici costantemente più bassi e meno fluttuanti con i trattamenti continui, che correlano con una sopravvivenza migliore (miglioramento della immunocompetenza, della funzione linfocitaria e macrofagica). (fig. 8)

(fig. 8) Differenze nel controllo dei tassi ureici con emodialisi e con emofiltrazione A-V continua. Si noti come dopo il II giorno di CAVH i tassi ematici siano costantemente più bassi e meno fluttuanti.

Le efficienti metodiche diffusive intermittenti facilitano la comparsa del disequilibrio post-dialitico, che avviene in conseguenza del fatto che i tossici uremici non sono monocompartimentati, per cui la loro rimozione si attua più velocemente nel torrente circolatorio e più lentamente nei compartimenti intracellulare ed interstiziale. Ciò determina alla fine della seduta dialitica una osmolarità intracellulare superiore a quella plasmatica con conseguente spostamento di acqua verso le cellule (edema cerebrale). Tale fenomeno non si realizza con i trattamenti continui di tipo convettivo in virtù del lento e continuo spostamento di soluti da un compartimento all’altro che si associa costantemente ad un flusso di liquidi di entità tale da mantenere gli stessi rapporti esistenti nel sangue.

 

c.       OMEOSTASI ACIDO-BASE ED ELETTROLITICA

Il malato critico è spesso ipercatabolico con elevata e continua produzione di radicali acidi, che devono essere eliminati dal circolo in maniera continuativa e non intermittente, in quanto nel periodo interdialitico potrebbero essere raggiunti tassi plasmatici eccessivamente elevati e pericolosi. Anche la reintegrazione della riserva alcalina deve essere lenta e continua, in quanto il rapido accumulo di bicarbonato intradialitico potrebbe aggravare l’acidosi intracellulare. Infine con le metodiche di tipo continuo è più agevole l’adattamento del liquido di reinfusione alle necessità metaboliche del paziente (utilizzo di soluzioni povere di sodio, prive di tampone lattato, di Calcio, ecc.).

 

d.      ELIMINAZIONE DEI FARMACI

La rimozione dei farmaci operata con le metodiche di tipo continuo è sicuramente più simile a quanto avviene fisiologicamente con il rene nativo. Ciò è particolarmente vero con i farmaci dotati di basso legame proteico e ridotto volume di distribuzione, per i quali è più facile raggiungere concentrazioni tossiche in corso di insufficienza renale.

Tale pericolo può essere prevenuto con i trattamenti di tipo continuo, con i quali la rimozione del farmaco è prevedibile e quindi possono essere programmate somministrazioni quotidiane di dosi adeguate. Concettualmente il discorso è altrettanto valido per i farmaci dotati di farmacocinetica più complessa. (5)

 

e.       RIMOZIONE DEI MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE E POTENZIALE FLOGOGENO DELLE METODICHE DEPURATIVE

L’uso di membrane ad alta permeabilità permette la rimozione dei soluti appartenenti al gruppo delle cosiddette medie molecole (PM 1.500-20.000), assolutamente non rimovibili con le metodiche diffusive. L’uso di metodiche convettive continue fornisce una clearance di dette molecole discretamente elevata, tale da permetterne una rimozione significativa dal torrente circolatorio.

La letteratura degli ultimi anni ha segnalato una congerie di citokine coinvolte nel determinismo dell’infiammazione (IL1, TNF, PAF, Leukotrieni, Tromboxano, fattori del Complemento, ecc.), che presentano un peso molecolare tale da essere rimosse solo con le metodiche convettive continue e non con le diffusive intermittenti. Inoltre le membrane utilizzate nei trattamenti convettivi sono inerti nei confronti delle citokine flogogene, diversamente dalle membrane diffusive, che in genere dimostrano una capacità attivante nei confronti di tali sostanze. (14)

 

f.        RECUPERO DELLA FUNZIONE RENALE

L’esperienza clinica, che va accumulandosi, dimostra un più rapido recupero della funzione renale: da due o più settimane di durata dell'insufficienza renale acuta trattata con le metodiche intermittenti ad una settimana con le metodiche convettive continue. (3)

Ciò in conseguenza di diversi fattori:

  • maggiore tutela, realizzata con le metodiche convettive, della stabilità emodinamica che previene i danni renali aggiuntivi da ipotensione intradialitica;

  • uso di materiali e liquidi sterili che evita il potenziale flogogeno della contaminazione del dializzante, possibile con le metodiche diffusive;

  • utilizzo esclusivo di membrane dotate di elevata biocompatibilità nelle metodiche convettive continue.

 

g.       EFFETTO SULLA MORTALITA’

Alcuni studi ben condotti dimostrerebbero una mortalità di poco inferiore con le metodiche di tipo continuo, comunque la casistica è sempre troppo limitata per raggiungere una significativa statistica ed è estremamente difficile avere gruppi confrontabili di pazienti, che sono per definizione altamente instabili e complessi. Inoltre spesso, nei lavori pubblicati, viene sottaciuto il fallimento della metodica diffusiva, in quanto non eseguibile in certi malati gravati da elevata instabilità emodinamica. (11)

 

CONCLUSIONE

  Le metodiche convettive continue rappresentano senza dubbio il trattamento di scelta per il paziente con insufficienza renale acuta ricoverato in Rianimazione in quanto:

  • possono essere facilmente eseguite al di fuori della sala dialisi, dal momento che non necessitano del trattamento dell’acqua;

  • possono essere iniziate in qualsiasi momento, qualora se ne veda l’opportunità, permettendo un auspicabile precoce avvio del trattamento depurativo;

  • forniscono la migliore tutela alla stabilità emodinamica del paziente;

  • permettono un eccellente controllo dei fluidi corporei;

  • facilitano la somministrazione di quantità anche rilevanti di liquidi di infusione, utili per le necessità farmacologiche e nutrizionali del paziente;

  • sembrano permettere un recupero più rapido della funzione renale in corso di insufficienza renale acuta;

  • probabilmente garantiscono una sopravvivenza maggiore in un gruppo di malati gravato da una mortalità estremamente elevata;

  • godono della migliore somiglianza con la fisiologia del rene nativo. (12)

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Aloatti S., Bosticardo G.M. Il modello cinetico dell’urea, prescrizione della terapia dialitica. In: Trattato Italiano di Dialisi – Wichtig Editore Milano 1992 Cap. 3 pag. 1-19

  2. Bellomo R., Ronco C. Nomenclature for continous renal replacement therapies. In: Critical Care Nephrology - Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1169-117

  3.  Canaud B., Leray-Moragues H., Garred L., Leblanc M., Mion C.

  4. Rationale for intermittent renal replacement therapy in acute renal failure. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1383-1389

  5. Garred L., Canaud B., Leblanc M., Bosc J-Y Biophisic of intermittent renal replacement therapy. In: Critical Care Nephrology Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pg. 1391-1409

  6. Golper T.A., Marx M.A. Removal of drugs, toxins and poisons by continous hemofiltration. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1249-1258

  7. Henderson L.W. Ultrafiltration. In: Replacement of renal function by dialysis – Ed: Drukker W., Parzon F.M. and Maher J.F. Martinus Nijhoff Medical Division – The Hague 1978 pag. 135-154

  8.  Klouche K., Beraud J.J. Nutritional requirements in critically ill patients treated with intermittent renal replacement therapy. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1473-1489

  9. Panzetta G. Il Protein Catabolic Rate (PCR) In: Trattato Italiano di Dialisi – Wichtig Editore Milano 1992 Cap. 5 pag. 1-7

  10. Ravindra L. Mehta. Fluid management in CRRT In: Blood Purification in Intensive Care – Ed: Ronco C., Bellomo R. and La Greca G. Contrib. Nephrol Karger, Basel 132:335-348; 2001

  11. Ronco C., Bellomo R. Principles of solute clearance during continous renal replacement therapy. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1213-1223

  12. Ronco C., Bellomo R., Homel P., Brendolan A., Dan M., Piccini P., La Greca G. Effects of different doses in continous veno-venous haemofiltration on outcomes of acute renal failure: a prospective randomised trial. Lancet 356:26; 2000

  13.   Ronco C., Zanella M., Brendolan A., Milan M., Canato G., Zanyeretti N., Bellomo R. Management of severe acute renal failure in critically ill patients: an international survey in 345 centres. Nephrol. Dial. Transplant 16:230; 2001

  14. Silvester W., Bellomo R., Ronco C. Continous versus intermittent renal replacement theory in the critically ill. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1225-1237

  15. Tetta C., Mariano F., Ronco C., Bellomo R. Removal and generation of infiammatory mediators during continous renal replacement therapies. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1239-1248