__________________________________________________________________ __________________________________________________________________ ISSN 1080-3521 EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia - Il giornale italiano on line di anestesia Vol 7 No 10 NOVEMBRE 2002 __________________________________________________________________ __________________________________________________________________ Pubblicato elettronicamente da: Vincenzo Lanza, MD Servizio di Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy E-mail: (lanza@mbox.unipa.it) Keith J Ruskin, MD Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine 333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA Office: 203-785-2802 E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu Copyright (C) 1996 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente, curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine. __________________________ In questo numero: ATTI CONGRESSUALI ONLINE XVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia Intensiva S.I.T.I dal corso "Tecniche di depurazione extra-renale continua in Terapia Intensiva" 1 Principi depurativi delle tecniche di rimozione extrarenale 2 L'Emopurificazione in Terapia Intensiva _______________________________________________________ ATTI CONGRESSUALI ONLINE XVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia Intensiva S.I.T.I. La redazione di Esia-Italia dedica alcuni suoi numeri alla presentazione online di una selezione degli atti del XVII Congresso Nazionale SITI (Società Italiana di Terapia Intensiva), tenutosi nel Settembre 2003 a Palermo. Attraverso ESIA, i presidenti, il comitato organizzatore e il comitato scientifico del congresso SITI hanno deciso di offrire il materiale scientifico congressuale per la libera consultazione online, certi di incontrare il bisogno di formazione e di aggiornamento dei lettori: anestesisti-rianimatori, infermieri, chirurghi e altri addetti ai lavori dell'area critica. La selezione degli articoli spazia tra le diverse aree di interesse, valorizzando le competenze mediche e infermieristiche delle tematiche trattate, a sottolineare che solo una crescita culturale di tutto il gruppo di lavoro può garantire i migliori risultati di cura sui pazienti critici. Pertanto Esia-Italia, perseguendo le proprie finalità costitutive di strumento elettronico di formazione scientifica e tecnica, si offre come canale di pubblicazione dei lavori congressuali; in ogni caso la redazione di Esia-Italia non si riterrà responsabile di errori o di omissioni ravvisabili nei testi prodotti nè dell'eventuale impropria utilizzazione delle tecniche descritte.  _______________________________________________________ Principi depurativi delle tecniche di rimozione extrarenale _______________________________________________________ Principi depurativi delle tecniche di rimozione extrarenale Carlo Rovati I trattamenti sostitutivi della funzione renale realizzano la rimozione delle scorie accumulate nel sangue uremico mediante un trasferimento di sostanze attraverso membrane semipermeabili. I meccanismi implicati in detto trasferimento di soluti sono essenzialmente due: la DIFFUSIONE e la CONVEZIONE. Ognuno dei meccanismi verrà analizzato singolarmente.  DIFFUSIONE (dialisi) A B (fig. 1) Rappresentazione schematica di un filtro di dialisi. Flussi di sangue e di dializzante mantenuti in controcorrente per garantire un gradiente di concentrazione lungo tutta la lunghezza del filtro. Sta ad indicare il trasferimento isolato di un soluto da una soluzione ad un’altra attraverso una membrana semipermeabile, che viene condizionato da: gradiente di concentrazione peso molecolare del soluto resistenza della membrana semipermeabile al passaggio del soluto 1. Gradiente di concentrazione: costituisce la forza principale che governa il trasferimento di un soluto attraverso una membrana semipermeabile, nel senso che il trasferimento di un dato soluto è tanto maggiore quanto più elevato è il gradiente di concentrazione per quel soluto tra le due soluzioni. 2. Peso molecolare: il peso molecolare è in grado di condizionare il trasferimento di un soluto, nel senso che detto passaggio è tanto maggiore, quanto minore è il peso molecolare della sostanza. Infatti il peso molecolare condiziona la velocità di spostamento della molecola e rende più o meno agevole il passaggio attraverso la membrana semipermeabile. (fig. 2) (fig. 2) Dipendenza della capacità depurativa (del filtro di dialisi) dalle dimensioni molecolari del soluto (urea << inulina) e dal flusso ematico. 3.      Resistenza della membrana: rappresenta una forza negativa che tende ad opporsi al passaggio del soluto attraverso la membrana semipermeabile. Detta variabile è a sua volta condizionata da: spessore della membrana: la resistenza incontrata da una molecola ad attraversare la membrana è direttamente proporzionale allo spessore della stessa ed inversamente al numero ed al diametro dei pori, di cui è dotata la membrana. Pertanto membrane sottili, dotate di pori numerosi ed ampi offrono poca resistenza al passaggio dei soluti (membrane ad alta permeabilità). Strati liquidi sulla membrana: la resistenza può essere aumentata dalla presenza di strati di liquido con flusso laminare sulla superficie della membrana in quanto viene a ridursi il gradiente di concentrazione del soluto immediatamente a ridosso della membrana. Legame proteico del soluto: la resistenza viene esasperata dalla presenza di un elevato legame tra il soluto e le proteine plasmatiche, in quanto esso aumenta il peso molecolare del soluto al punto tale da realizzare un impedimento sterico al passaggio del complesso soluto + proteina attraverso la membrana semipermeabile. PRINCIPI DELLA DIFFUSIONE La diffusione dei soluti dal sangue al dializzante è dipendente, secondo la I legge di Fick, dal gradiente di concentrazione tra sangue e dializzante (bagno di dialisi) ed inoltre dal coefficiente di diffusibilità attraverso la membrana e dalla superficie della stessa, secondo la seguente formula.   Js = Ko A (Cb – Cd) (1) Js = trasferimento di massa del soluto Ko = coefficiente di diffusività del soluto Cb – Cd = gradiente di concentrazione tra sangue e dializzante A = area della superficie della membrana NB: Ko A viene fornito dal fabbricante ed è modificabile con il variare del flusso ematico e del dializzante. Inoltre le variazioni dei flussi e delle concentrazioni che conseguono ai trasferimento di fluidi e di soluti attraverso una membrana semipermeabile obbediscono alla legge di conservazione di massa, e cioè è valido il principio secondo cui ciò che viene rimosso da un compartimento deve assolutamente essere rinvenuto nel compartimento adiacente, e pertanto in ogni sistema diffusivo viene ad essere garantito un bilancio di massa sia per quanto attiene ai fluidi, sia per quanto attiene ai soluti. (4) Per il movimento dei fluidi che si realizza in un sistema dialitico vale la seguente relazione.   Qb in – Qb out = Qd out – Qd in = Qf (2) Qb in = flusso ematico in entrata nel dializzatore Qb out = flusso ematico in uscita dal dializzatore Qd in = flusso di dializzante in entrata nel dializzatore Qd out = flusso di dializzante in uscita dal dializzatore Qf = flusso di ultrafiltrato: entità della ultrafiltrazione   Per il trasferimento di soluti Js, che si realizza in un sistema dialitico vale la seguente relazione:   Js = Qb in x Cb in – Qb out x Cb out = Qd out x Cd out – Qd in x Cd in (3)   e si tiene conto dell’ultrafiltrazione Qf   Js = Qb in (Cb in – Cb out) + Qf Cb out = Qd in (Cd out – Cd in) + Qf Cd out (3’) Cb in = concentrazione ematica del soluto in entrata nel dializzatore Cb out = concentrazione ematica del soluto in uscita dal dializzatore Cd in = concentrazione del soluto nel dializzante in entrata nel dializzatore Cd out = concentrazione del soluto nel dializzante in uscita dal dializzatore Dalle relazioni sovraesposte si può procedere alla valutazione della efficienza del dializzatore. Infatti l’entità del trasferimento di massa di un soluto da parte di un dializzatore dipende dalla concentrazione ematica del soluto in entrata nel sistema e dalla clearance del dializzatore e può essere espressa dalla relazione seguente.   Js = Kd x Cb in (4) Kd = clearance, cioè efficienza del dializzatore nel rimuovere i soluti presenti nel sangue e non nel dializzante. Dalla relazione (4) può essere ricavata la clearance del dializzatore Kd. che può essere espressa più estesamente utilizzando la relazione (3) e se si tiene conto della ultrafiltrazione Qf L’efficienza di un dializzatore nel rimuovere un soluto presente non solo nel sangue in entrata, ma anche nel dializzante in entrata nel sistema, viene meglio espressa dal concetto di dialysance (Dd).   Quindi in analogia alla relazione (4) possiamo scrivere:   Js = Dd (Cb in – Cd in) (7) dove Cb in – Cd in sta ad indicare il gradiente di concentrazione tra sangue e dializzante del soluto in studio,   ed analogamente alla relazione (5):   ed ancora in analogia alla (6) potremo esprimere la relazione della dialysance in maniera più estesa: e se si tiene conto della ultrafiltrazione: Quindi l’impiego delle relazioni sovrariportate permette di valutare l’efficienza depurativa del dializzatore, utilizzando parametri operativi normalmente disponibili come la concentrazione nel sangue e nel dializzante del soluto, il flusso ematico e del dializzante nel sistema e la quota ultrafiltrata e di rilevare come la clearance o la dialysance diffusiva dipenda dal flusso ematico e di dializzante, dal gradiente di concentrazione, dalla proprietà e dalla superficie della membrana, dalle caratteristiche del soluto e non ultimo dalla quantità di soluto rimossa per ultrafiltrazione. CONVEZIONE La convezione rappresenta il secondo meccanismo di trasferimento di un soluto attraverso una membrana semipermeabile e può essere definita come lo spostamento di soluto conseguente alla azione di trascinamento attuato dal passaggio di solvente attraverso una membrana semipermeabile per opera di una pressione esercitata sulla membrana stessa. Quindi i soluti con dimensioni molecolari compatibili con i pori della membrana sono trascinati assieme all’acqua (solvent drag) nelle stesse concentrazioni in cui si trovano disciolti. Pertanto il trasferimento convettivo è condizionato dalla entità dell’ultrafiltrazione Qf. L’entità dell’ultrafiltrazione dipende dalla permeabilità idraulica della membrana, dalla area della sua superficie e dal gradiente di pressione ai due lati della stessa.   Qf = Lp A DP (10) Lp = permeabilità idraulica dela membrana A = area della superficie della membrana DP = gradiente di pressione ai due lati della membrana   ma LpA è specifico di ogni membrana e viene definito coefficiente di ultrafiltrazione: Kuf. Pertanto la relazione (10) può essere riscritta nel modo seguente:   Qf = Kuf DP (11)   cioè l’entità dell’ultrafiltrazione dipende dal coefficiente di ultrafiltrazione della membrana e dal gradiente di pressione esistente ai due lati della stessa, chiamato comunemente: pressione transmembrana TMP.   Analizziamo separatamente i due fattori della relazione (11).  1. Coefficiente di ultrafiltrazione (Kuf). Ogni membrana è dotata di una permeabilità idraulica che dipende dalla composizione, dallo spessore, dalla dimensione dei pori in essa presenti e naturalmente dalla sua superficie. La permeabilità idraulica viene quantizzata dal coefficiente di ultrafiltrazione Kuf che viene espresso come il numero di cc di acqua trasferiti ogni ora attraverso la membrana per ogni mm di Hg di gradiente pressorio esistente tra i due lati della membrana stessa. 2. Gradiente pressorio: pressione transmembrana (DP = TMP) La differenza di pressione esistente tra i due lati della membrana condiziona il passaggio di acqua e dei soluti in essa disciolti e quindi regola la velocità di ultrafiltrazione e la entità del trasporto convettivo. La pressione transmembrana TMP è a sua volta la risultante della somma algebrica dei valori pressori esistenti sui lati opposti della membrana e della pressione oncotica del plasma, secondo la relazione:   TMP = Pb – Puf – p (12) Pb = P nel compartimento ematico Puf = P nel compartimento dell’ultrafiltrato p = P oncotica esercitata dalle proteine plasmatiche PRINCIPI DELLA CONVEZIONE Il trasferimento di massa di un soluto mediante il trasporto convettivo è dipendente dalla entità della ultrafiltrazione, dalla concentrazione del soluto nel sangue e dal coefficiente di setacciamento della membrana nei confronti dei soluti (permeabilità della membrana ai soluti, che per le piccole molecole è 1), secondo la relazione: Js = S Qf Cb in (13) Qf = entità dell’ultrafiltrazione Cb in = concentrazione del soluto nel sangue in entrata nel sistema S = coefficiente di setacciamento della membrana, proprio di ogni membrana, e che viene esasperato mediante l’allestimento di nuove membrane, dotate di un valore di S sempre più elevato per le molecole di dimensioni maggiori.     CONFRONTO TRA RIMOZIONE DI SOLUTI DI TIPO CONVETTIVO E DI TIPO DIFFUSIVO   1. Poiché l’entità della ultrafiltrazione (Qf) è inferiore ai valori di clearance ottenuti con la maggior parte dei dializzatori, ne discende che le metodiche convettive sono meno efficienti di quelle diffusive nella rimozione delle piccole molecole, mentre permettono una maggiore rimozione delle molecole più grandi in virtù del maggiore coefficiente di setacciamento offerto a dette molecole dalle membrane utilizzate (rispetto alle membrane di dialisi). (6) (fig. 3) (fig. 3): Relazione tra clearance e peso molecolare dei soluti. Curva A: clearance diffusiva pura (senza ultrafiltrazione). Curva B: clearance convettiva Si noti come la clearance diffusiva sia ottimale per soluti con PM di 100-200 Daltons, mentre la clearance convettiva si mantiene elevata fino a PM > 10.000 Daltons. 2. Poiché nelle metodiche convettive manca la componente diffusiva, viene ad essere annullata la differenza di concentrazione tra sangue in entrata e quello in uscita dal filtro con conseguente conservazione dei valori di osmolarità plasmatica in seguito allo allontanamento dal sangue di acqua e soluti nelle stesse proporzioni esistenti nello stesso (disidratazione isotonica). Questa peculiarità conferisce alle metodiche convettive la capacità di garantire al paziente una maggiore stabilità emodinamica. CARATTERISTICHE OPERATIVE DELLE METODICHE CONVETTIVE   Poiché le metodiche convettive effettuano la rimozione dei soluti mediante sottrazione di acqua (ultrafiltrazione) ne consegue la comparsa di emoconcentrazione con riduzione della efficienza del sistema (per riduzione della UF) e con la necessità di somministrare liquidi isotonici a composizione adeguata per garantire la conservazione della volemia del paziente e della capacità depurativa del sistema. La reintegrazione della volemia può venir effettuata mediante somministrazione di liquidi con due modalità diverse: post-diluizionale e pre-diluizionale.  Modalità post-diluizionale: il liquido di reinfusione viene somministrato a valle del filtro in quantità simili alla entità della ultrafiltrazione, che comunque deve essere contenuta entro il 30% del flusso ematico per evitare il blocco del sistema da eccessiva emoconcentrazione. Pertanto con questa modalità di reintegrazione della volemia la capacità depurativa della metodica convettiva è strettamente connessa alla entità della ultrafiltrazione (Qf). Modalità pre-diluizionale: il liquido di reinfusione viene somministrato a monte del filtro, con conseguente emodiluizione e riduzione della quantità di soluti rimossi. Pertanto la quantità di liquidi di reinfusione deve essere superiore di almeno il 50% rispetto alla prima modalità per ottenere la stessa efficienza depurativa. Comunque aumentando progressivamente la quantità di liquidi infusi, si può ottenere un incremento della efficienza depurativa teoricamente illimitata.     METODICHE MISTE CONVETTIVO-DIFFUSIVE   Utilizzando membrane di alta permeabilità idraulica e di scarsa resistenza al passaggio dei soluti (capacità diffusiva) è possibile associare la clearance convettiva a quella diffusiva con aumento della efficienza del sistema che è comunque inferiore alla somma delle due clearance prese singolarmente. Il vantaggio è costituito dalla possibilità di ottenere una buona rimozione delle piccole molecole associata ad una discreta rimozione delle molecole di maggiori dimensioni, che vengono allontanate solo con le tecniche convettive. STUDIO DELLA DOSE DI DIALISI   La quantificazione della posologia dialitica deve essere basata su grandezze misurabili e quindi su una valutazione farmacocinetica delle tossine uremiche, di cui il prototipo è l’urea. Pertanto si valuterà la (farmaco) cinetica dell’urea studiandone le varie tappe. Assorbimento del farmaco: generazione di urea  Volume di distribuzione del farmaco: volume di distribuzione dell’urea  Escrezione del farmaco: eliminazione (dialitico/naturale) dell’urea   1. GENERAZIONE DI UREA (G) Il metabolismo proteico genera azoto nella quantità di 1 gr ogni 6.25 gr di proteine catabolizzate e la maggior parte di questo azoto è eliminato sottoforma di urea. Pertanto la determinazione dell’urea prodotta in un determinato tempo (G) consente di stimare l’azoto totale prodotto e di conoscere la quantità di proteine catabolizzate (PCR) secondo le seguenti relazioni:   G = 0,154 PCR – 1,7 (14)   PCR = 9,35 G + 0,294 V (15)   PCR = g/die; G = g/die o mg/m’; V = litri di acqua corporea   NB: per maggiore chiarezza è meglio usare la PCR normalizzata (pcr), che indica la quantità di proteine catabolizzate giornalmente per ogni Kg di peso corporeo magro (g/Kg/die). (8) 2. VOLUME DI DISTRIBUZIONE (V) Secondo il modello cinetico monocompartimentale l’urea è disciolta con concentrazione uniforme nell’acqua totale corporea, che viene considerata il 58% del peso corporeo.   3. ELIMINAZIONE DEL TOSSICO UREMICO (urea) L’eliminazione del tossico uremico è rappresentata dalla clearance (K) del rene nativo o del dializzatore, per cui la quantità eliminata nell’unità di tempo sarà corrispondente al prodotto della clearance per la concentrazione C e cioè KC. Pertanto in una situazione di equilibrio metabolico la rimozione di urea eguaglia la sua generazione in ottemperanza al principio del bilancio di massa secondo le seguenti relazioni:   G = KC e G – KC = 0 (16)   Mentre in condizioni di non equilibrio metabolico la rimozione determinerà una variazione di massa diversa da zero secondo le seguenti relazioni: se DM = CtV – CoV   dove: Ct = concentrazione di urea al tempo t Co = concentrazione di urea al tempo 0 V = volume di distribuzione dell’urea   la relazione (17) potrà essere riscritta:   La relazione (18) può essere riferita: al periodo interdialitico (dove nel paziente anefrico K = 0), nel quale quindi scompare il termine KC per cui varrà la seguente relazione:   Gt = CtV – CoV   e semplificando, La relazione (19) indica che nell’intervallo interdialitico la concentrazione di urea al tempo t è strettamente dipendente dalla generazione della stessa nello stesso intervallo di tempo. Alla seduta di dialisi (dove G = 0), nella quale scompare il termine Gt, per cui varrà la seguente relazione:   KCt = CtV – CoV   dove Co = concentrazione di urea all’inizio della seduta dialitica e semplificando, Ma, poiché il valore di C si riduce progressivamente durante la seduta, la relazione (20) dovrà essere espressa in termini diversi e cioè, la quale esprime il concetto che se vogliamo conoscere la concentrazione di urea in un momento t della seduta dobbiamo togliere dalla concentrazione iniziale Co la frazione di concentrazione rimossa dal dializzatore, ed ancora che la velocità di diminuzione di Co è funzione della efficienza del dializzatore K, che agisce per il tempo t sul volume V, in cui è disciolta l’urea ed infine che il rapporto Kt/V rappresenta la frazione del volume di distribuzione dell'urea depurata nel tempo t per opera del dializzatore. (1)  NB: il rapporto Kt/V costituisce un parametro matematico per valutare l’efficienza della metodica utilizzata per rimuovere l’urea e detossicare l’organismo ed indica anche che se vogliamo mantenere l’efficienza depurativa in caso di riduzione di K dobbiamo aumentare t. Numerosi dati della letteratura correlano i valori di Kt/V > o = 1,3 con una buona depurazione delle tossine uremiche, senso di benessere e miglioramento dell’appetito.   CALCOLO DI G, PCR e pcr Nel paziente dializzato in equilibrio metabolico con un volume di distribuzione V, la quantità di azoto ureico accumulato (G) nell’intervallo t2, corrisponde a quella (Q) estratta durante una seduta dialitica con una clearance K ed una durata t1.   Gt2 = Q (22)   Durante la seduta dialitica la concentrazione dell’azoto ureico decresce dal valore iniziale C1 a quello finale C2, per cui la quantità rimossa potrà essere espressa dalla seguente relazione:   Q = (C1 – C2) x V (23) nella quale il termine C2 potrà essere sostituito, utilizzando la relazione (21), dal termine C1e per cui la relazione (23) potrà essere riscritta: e riprendendo la (22)   e quindi L’utilizzo della formula (24) ci permette di calcolare la generazione di urea (G) nell’intervallo interdialitico t2 partendo da parametri di facile individuazione. C1 = concentrazione predialitica di urea K = clearance del dializzatore t1 = durata della seduta dialitica t2 = intervallo interdialitico V = volume di distribuzione dell’urea La conoscenza di G ci permette di calcolare PCR utilizzando la relazione (15):   PCR = 9,35 G + 0,294 V   e quindi   VALORI DI pcr E LORO SIGNIFICATO I tassi predialitici di azoto ureico tendono ad essere bassi quando il catabolismo proteico (pcr) è limitato per scarsa introduzione di proteine alimentari, e su tali concentrazioni l’influenza esercitata da Kt/V è scarsa. (fig. 4 e fig. 5) (fig. 4) Concentrazioni predialitiche di azoto ureico (mg%) calcolate in funzione delle diverse combinazioni di Kt/V e di pcr. Da notare che per valori di Kt/V usuali (1,3) le concentrazioni di azoto dipendono nettamente da pcr ed ancora che quando pcr è bassa, i valori di azoto predialitici sono sempre bassi anche quando Kt/V è inferiore ai valori usuali. (fig. 5) Relazione tra pcr e concentrazioni predialitiche di azoto ureico. Da notare come, per identici valori di pcr, le concentrazioni predialitiche di azoto ureico dipendano dai valori di Kt/V   Se il valore di Kt/V è adeguato, le concentrazioni predialitiche di azoto ureico costituiscono un indice di catabolismo proteico e quindi dell’introito di proteine, qualora il paziente sia metabolicamente stabile (8). Nel paziente metabolicamente instabile il parametro pcr non riflette tanto l’introito proteico, quanto l’ipercatabolismo secondario a malnutrizione calorico-proteica o a patologia intercorrente che condiziona l’attivazione di fattori eccitocatabolici.   pcr 0,8 – 1,3 paziente stabile 1,9 – 4 paziente ipercatabolico   PRESCRIZIONE DEL TRATTAMENTO SOSTITUTIVO INTERMITTENTE SULLA BASE DI KT/V, pcr e C La prescrizione nel paziente acuto della stessa dose dialitica utilizzata per il paziente cronico di ugual peso è concettualmente sbagliato, in quanto il malato acuto è spesso ipercatabolico, emodinamicamente instabile ed incapace di sopportare sedute dialitiche prolungate. E’ necessario pertanto personalizzare il trattamento depurativo intensificando la frequenza delle sedute nelle fasi iniziali della malattia, quando sono più elevati il catabolismo, l’accumulo di fluidi e la instabilità emodinamica; successivamente può essere adottata una tattica meno aggressiva. Un approccio adeguato è quello di prefissare valori predialitici di azoto ureico da non superare, per poter garantire il benessere del paziente. La maggior parte degli Autori consiglia di mantenere le concentrazioni di azoto ureico predialitiche tra 60 e 100 mg%. Poiché la concentrazione predialitica di azoto ureico dipende direttamente dalla generazione di urea (G), occorsa nell’intervallo interdialitico, dalla efficienza dialitica (Kt/V), dalla durata (t) della seduta e dalla frequenza dei trattamenti nel corso della settimana e dal momento che i primi tre parametri sono poco modificabili in quanto strettamente legati alle condizioni del paziente, ne discende che la unica variabile sulla quale si può agire è costituita dalla frequenza settimanale delle sedute. Comunque nel paziente altamente catabolico (pcr ~ 4 g/Kg/die) l’adeguatezza del trattamento depurativo (azoto ureico predialitico al di sotto dei valori target), pur eseguendo sedute di alta efficienza (Kt/V ~ 1,5), non viene raggiunta neppure con un ritmo dialitico quotidiano. (fig. 6 e fig. 7) (fig. 6) Dipendenza della concentrazione predialitica di azoto ureico dalla pcr, a parità di efficienza dialitica (Kt/V).Concentrazioni predialitiche accettabili (linea nera orizzontale), pur eseguendo sedute di alta efficienza (Kt/V ~ 1,5), si ottengono per pazienti ipercatabolici solo con una frequenza quotidiana (a), mentre con una frequenza a giorni alterni (b) si garantisce una discreta depurazione solo a pazienti nettamente meno catabolici. (4) (fig. 7) Correlazione inversa tra durata dell’intervallo interdialitico e pcr, a parità di efficienza dialitica (Kt/V). Al fine di garantire concentrazioni predialitiche adeguate (linea nera orizzontale), quanto più elevata è la pcr, tanto minore dovrà essere l’intervallo interdialitico (a), che si ridurrà ulteriormente in caso di efficienza dialitica inferiore (b). (4) EFFICACIA E TOLLERABILITA’ DEL TRATTAMENTO SOSTITUTIVO Qualsiasi trattamento sostitutivo deve essere efficace e ben tollerato. Il trattamento emodialitico intermittente non raggiunge il target di efficacia nel paziente acuto, ipercatabolico, anche con sedute giornaliere. Inoltre la dialisi convenzionale è spesso mal tollerata nel malato acuto, emodinamicamente instabile, spesso ipo-oncotico, in quanto, determinando essa una ipo-osmolarità plasmatica, facilita la fuoriuscita di liquidi dal torrente circolatorio, peggiorando così le condizioni emodinamiche. La instabilità emodinamica compromette la ripresa funzionale del rene ed inficia la sopravvivenza del paziente. Infine nel concetto di efficacia devono essere valutati anche la capacità del trattamento sostitutivo di garantire la ristorazione dell’omeostasi idrico-elettrolitica ed acido-base, la rimozione dell’eccesso di fluidi in maniera oligosintomatica e, se possibile, permettere anche un miglioramento dello stato nutrizionale attraverso la somministrazione di quantità opportune di metaboliti e nutrienti. Purtroppo i trattamenti di tipo intermittente non riescono a soddisfare la maggior parte di queste esigenze irrinunciabili, specialmente la ristorazione ed il mantenimento degli spazi idrici, così frequentemente e pesantemente compromessi nel paziente acuto, polipatologico. Per tutte queste ragioni negli ultimi venti anni sono state messe a punto metodiche depurative alternative, che sono in grado di adattarsi alle particolari necessità dei pazienti acuti ricoverati in Rianimazione, e cioè possiedono la capacità di eseguire la rimozione di rilevanti quantità di scorie metaboliche e di liquidi corporei, con modalità operative assolutamente compatibili con le precarie condizioni emodinamiche dei malati. Ciò può essere realizzato attraverso un trattamento depurativo che agisce in maniera continuativa utilizzando un meccanismo di trasporto dei soluti di tipo convettivo (CRRT = Continuous renal replacement therapy). Pertanto riprendiamo in esame i parametri fisici del meccanismo di trasporto dei soluti di tipo convettivo per formulare i principi fisiopatologici che stanno alla base della efficienza e della tollerabilità dei trattamento sostitutivi di tipo continuo. TRASPORTO CONVETTIVO: MODALITA’ PER MIGLIORARNE L’EFFICIENZA   Dalla relazione (13) Js = S x Qf x Cb in si evince che l’entità del trasporto convettivo, a parità di concentrazioni plasmatiche dei soluti, dipende dalla entità della ultrafiltrazione e dal coefficiente di setacciamento, pertanto per migliorare la clearance convettiva si potrà aumentare Qf, oppure il coefficiente di setacciamento mediante l’utilizzo di membrane più permeabili.   1. MANIPOLAZIONE DELLA ULTRAFILTRAZIONE (Qf) Il Qf può essere aumentato mediante: aumento del flusso ematico (con i limiti imposti dal tipo di accesso vascolare e dalle condizioni emodinamiche del paziente) che aumenta TMP e quindi Qf; riduzione della P nel compartimento dell’ultrafiltrato (suzione o posizionamento del filtro al di sotto del livello del letto del paziente) che determina aumento di TMP e di Qf. Tutte le manovre che portano ad un aumento di TMP e di Qf determinano una emoconcentrazione con incremento della pressione oncotica (p) e dell’ematocrito. L’aumento della pressione oncotica può giungere a livelli tali da controbilanciare la P idrostatica e bloccare il sistema. Discorso analogo per l’incremento dell’ematocrito, che quando supera i valori del 50% può determinare la coagulazione del circuito. Ne deriva che la resa del sistema sarà tanto minore quanto più elevati sono i valori di p, di Ht e della viscosità plasmatica del paziente. Detti limiti sono più evidenti nella tecnica CAVH, mentre in CVVH, in virtù dell’aumento considerevole del Qb (150-200 cc/m’) ottenuto con l’ausilio delle pompe, possono essere raggiunti valori elevati di Qf (30-40 cc/m’), pur mantenendo i parametri operativi (frazione di filtrazione < o = 25%) nei margini di sicurezza, in quanto l’elevato Qb riduce l’effetto della ultrafiltrazione su p ed Ht. (2) 2. MANIPOLAZIONE DEL COEFFICIENTE DI SETACCIAMENTO (S) L’aumento del coefficiente di setacciamento, ottenibile con l’utilizzo di membrane di sempre migliore porosità e caratteristiche costitutive è molto importante per ottimizzare la rimozione delle medie molecole. Purtroppo questo parametro tende ad autolimitarsi nelle metodiche convettive che utilizzano una frazione di filtrazione molto elevata in seguito alla formazione di un film proteico sul lato ematico della membrana per un fenomeno di adsorbimento delle proteine plasmatiche la cui entità è direttamente proporzionale alla entità dell’ultrafiltrazione ed inversamente allo shear rate di parete e quindi al flusso ematico. D’altra parte il flusso ematico (Qb) aumenta la TMP e quindi il Qf che facilita la formazione del gel proteico. (10) Pertanto dal punto di vista pratico è importante impostare parametri operativi che compensino i fattori tra di loro e cioè con un flusso ematico di 150-200 cc/m’ è necessario mantenere una TMP tra 150 e 250 mmHg. Un altro sistema per aggirare il problema del gel proteico consiste nel ricorrere alla infusione di liquidi in prediluizione, che permette di aumentare considerevolmente il Qb, riducendo la frazione di filtrazione e migliorando la performance della membrana. Però la tecnica della prediluizione riduce il trasporto convettivo Js in quanto riduce la concentrazione del soluto nel sangue che giunge al filtro (Cb in) e quindi anche la concentrazione nell’ultrafiltrato. Il sistema ideale dovrebbe garantire il flusso ematico più alto possibile pur mantenendosi nei limiti di TMP imposti dalla tolleranza della membrana.     TRASPORTO COMBINATO CONVETTIVO E DIFFUSIVO Nelle metodiche depurative di tipo continuo è possibile associare alla rimozione ottenuta con la ultrafiltrazione anche una rimozione realizzata mediante il processo dialitico, dove pertanto il trasporto di soluto sarà rappresentato dalla somma del trasporto convettivo più il trasporto diffusivo.   Js = S Qf x Cb in + Ko A (Cb in – Cd in) (25)   Però nelle condizioni operative usuali: Qb = 150-200 cc/m’ Qf = 1000-2000 cc/ora Qd = 15-35 cc/m’ sono presenti alcune limitazioni che riducono l’efficienza complessiva del sistema al di sotto dei valori teorici ottenibili con la semplice applicazione della relazione (25). Infatti bisogna tenere conto dei seguenti fattori: la clearance delle piccole molecole è legata prevalentemente alla quota diffusiva, mentre la clearance delle medie molecole è legata alla quota convettiva, inoltre per i soluti presenti nel dializzante ad una concentrazione superiore a quella plasmatica bisogna tenere conto della forza diffusiva che sposta i soluti dal dializzante al sangue e della forza convettiva che agisce in senso opposto; nei trattamenti diffusivi di tipo continuo che utilizzano flussi di dializzante piuttosto bassi (< 35 cc/m’), la clearance dei soluti è totalmente dipendente dal flusso di dializzante, in quanto in dette condizioni operative vi è un completo equilibrio tra dializzante ed acqua plasmatica, pertanto un eventuale aumento del flusso di dializzante non comporterà un pari incremento della efficienza a causa di un imperfetto equilibrio tra sangue e dializzante; l’aumento di Qf determina un incremento della clearance totale, che è più significativo per i bassi flussi di dializzante e viceversa meno importante per gli alti flussi di dializzante, in quanto in quest’ultima condizione prevale la depurazione diffusiva che riduce la efficienza depurativa della ultrafiltrazione, mentre con flussi di dializzante molto bassi prevale la componente convettiva che tende ad eguagliare le concentrazioni ai due lati della membrana annullando il gradiente di concentrazione e la efficacia della componente diffusiva.   SCELTA DELLE METODICHE CONTINUE O INTERMITTENTI NEL PAZIENTE CRITICO Il metodo migliore per confrontare le metodiche consiste nel valutare la loro efficienza nel vicariare il rene nativo nella esecuzione delle funzioni più importanti e nel garantire un più precoce recupero della funzione renale ed una maggiore sopravvivenza. Cioè eseguire una valutazione sui seguenti effetti: (13)   a  rimozione dei fluidi b rimozione dei soluti (scorie metaboliche)   c omeostasi acido-base   d eliminazione dei farmaci e rimozione di eventuali mediatori della infiammazione f recupero della funzione renale g contenimento della mortalità   a. RIMOZIONE DEI FLUIDI Con il trattamento emodialitico intermittente la rimozione dei fluidi in eccesso viene eseguita in maniera refratta ed in tempi rapidi. Purtroppo la rapida rimozione di liquidi dal torrente circolatorio aggrava la instabilità emodinamica in quanto supera la capacità di recuperare fluidi dall’interstizio (refilling), che viene inoltre ostacolata dalla situazione di ipotonia plasmatica conseguente alla rimozione diffusiva dei soluti. Infine la rapida rimozione per via diffusiva delle amine vasoattive tende a facilitare la comparsa di ipotensione intradialitica. Con il trattamento sostitutivo di tipo continuo utilizzante prevalentemente il trasporto convettivo, la rimozione dei liquidi in eccesso avviene in maniera continuativa e lenta del tutto simile al flusso urinario fisiologico. La lenta rimozione dei liquidi dal torrente circolatorio riduce la instabilità emodinamica in quanto permette un efficace recupero dei fluidi dall’interstizio (refilling), che viene facilitato dalla disidratazine isotonica operata dalla metodica convettiva, che, in virtù del meccanismo ultrafiltrativo, è in grado di tutelare la pressione osmotica plasmatica. La metodica convettiva tutela anche il patrimonio delle amine vasoattive, che si rendono così disponibili ad esercitare una vasocostrizione compensatoria alla ipovolemia indotta dalla ultrafiltrazione. Infatti la esperienza clinica dimostra una maggiore capacità delle metodiche di tipo continuo a tutelare letti vascolari particolarmente importanti (cuore, polmone, cervello), permettere la rimozione in maniera efficiente e sicura di notevoli quantità di liquidi in situazioni di estrema gravità (ARDS, MOF), e di costituire l’unica possibilità di trattamento dell’edema cerebrale (post-traumatico, in corso di insufficienza epatica, ecc.). Infine la possibilità di rimuovere in maniera sicura notevoli quantità di fluidi permette la loro reintegrazione sottoforma di soluzioni contenenti farmaci e supporti nutrizionali indispensabili per un paziente critico di alta complessità. (7) (9)   b. RIMOZIONE DEI SOLUTI. Le metodiche diffusive intermittenti forniscono, in ogni singola seduta, una clearance delle piccole molecole (urea) maggiore rispetto a quelle convettive, però il carattere intermittente riduce la loro capacità totale di rimozione, cosicchè le metodiche continue offrono nel tempo una efficienza depurativa migliore. Questa affermazione è avvalorata dalla esperienza clinica che dimostra tassi azotemici costantemente più bassi e meno fluttuanti con i trattamenti continui, che correlano con una sopravvivenza migliore (miglioramento della immunocompetenza, della funzione linfocitaria e macrofagica). (fig. 8) (fig. 8) Differenze nel controllo dei tassi ureici con emodialisi e con emofiltrazione A-V continua. Si noti come dopo il II giorno di CAVH i tassi ematici siano costantemente più bassi e meno fluttuanti. Le efficienti metodiche diffusive intermittenti facilitano la comparsa del disequilibrio post-dialitico, che avviene in conseguenza del fatto che i tossici uremici non sono monocompartimentati, per cui la loro rimozione si attua più velocemente nel torrente circolatorio e più lentamente nei compartimenti intracellulare ed interstiziale. Ciò determina alla fine della seduta dialitica una osmolarità intracellulare superiore a quella plasmatica con conseguente spostamento di acqua verso le cellule (edema cerebrale). Tale fenomeno non si realizza con i trattamenti continui di tipo convettivo in virtù del lento e continuo spostamento di soluti da un compartimento all’altro che si associa costantemente ad un flusso di liquidi di entità tale da mantenere gli stessi rapporti esistenti nel sangue.   c. OMEOSTASI ACIDO-BASE ED ELETTROLITICA Il malato critico è spesso ipercatabolico con elevata e continua produzione di radicali acidi, che devono essere eliminati dal circolo in maniera continuativa e non intermittente, in quanto nel periodo interdialitico potrebbero essere raggiunti tassi plasmatici eccessivamente elevati e pericolosi. Anche la reintegrazione della riserva alcalina deve essere lenta e continua, in quanto il rapido accumulo di bicarbonato intradialitico potrebbe aggravare l’acidosi intracellulare. Infine con le metodiche di tipo continuo è più agevole l’adattamento del liquido di reinfusione alle necessità metaboliche del paziente (utilizzo di soluzioni povere di sodio, prive di tampone lattato, di Calcio, ecc.).   d. ELIMINAZIONE DEI FARMACI La rimozione dei farmaci operata con le metodiche di tipo continuo è sicuramente più simile a quanto avviene fisiologicamente con il rene nativo. Ciò è particolarmente vero con i farmaci dotati di basso legame proteico e ridotto volume di distribuzione, per i quali è più facile raggiungere concentrazioni tossiche in corso di insufficienza renale. Tale pericolo può essere prevenuto con i trattamenti di tipo continuo, con i quali la rimozione del farmaco è prevedibile e quindi possono essere programmate somministrazioni quotidiane di dosi adeguate. Concettualmente il discorso è altrettanto valido per i farmaci dotati di farmacocinetica più complessa. (5)   e. RIMOZIONE DEI MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE E POTENZIALE FLOGOGENO DELLE METODICHE DEPURATIVE L’uso di membrane ad alta permeabilità permette la rimozione dei soluti appartenenti al gruppo delle cosiddette medie molecole (PM 1.500-20.000), assolutamente non rimovibili con le metodiche diffusive. L’uso di metodiche convettive continue fornisce una clearance di dette molecole discretamente elevata, tale da permetterne una rimozione significativa dal torrente circolatorio. La letteratura degli ultimi anni ha segnalato una congerie di citokine coinvolte nel determinismo dell’infiammazione (IL1, TNF, PAF, Leukotrieni, Tromboxano, fattori del Complemento, ecc.), che presentano un peso molecolare tale da essere rimosse solo con le metodiche convettive continue e non con le diffusive intermittenti. Inoltre le membrane utilizzate nei trattamenti convettivi sono inerti nei confronti delle citokine flogogene, diversamente dalle membrane diffusive, che in genere dimostrano una capacità attivante nei confronti di tali sostanze. (14)   f. RECUPERO DELLA FUNZIONE RENALE L’esperienza clinica, che va accumulandosi, dimostra un più rapido recupero della funzione renale: da due o più settimane di durata dell'insufficienza renale acuta trattata con le metodiche intermittenti ad una settimana con le metodiche convettive continue. (3) Ciò in conseguenza di diversi fattori: maggiore tutela, realizzata con le metodiche convettive, della stabilità emodinamica che previene i danni renali aggiuntivi da ipotensione intradialitica; uso di materiali e liquidi sterili che evita il potenziale flogogeno della contaminazione del dializzante, possibile con le metodiche diffusive; utilizzo esclusivo di membrane dotate di elevata biocompatibilità nelle metodiche convettive continue.   g. EFFETTO SULLA MORTALITA’ Alcuni studi ben condotti dimostrerebbero una mortalità di poco inferiore con le metodiche di tipo continuo, comunque la casistica è sempre troppo limitata per raggiungere una significativa statistica ed è estremamente difficile avere gruppi confrontabili di pazienti, che sono per definizione altamente instabili e complessi. Inoltre spesso, nei lavori pubblicati, viene sottaciuto il fallimento della metodica diffusiva, in quanto non eseguibile in certi malati gravati da elevata instabilità emodinamica. (11)   CONCLUSIONE   Le metodiche convettive continue rappresentano senza dubbio il trattamento di scelta per il paziente con insufficienza renale acuta ricoverato in Rianimazione in quanto: possono essere facilmente eseguite al di fuori della sala dialisi, dal momento che non necessitano del trattamento dell’acqua; possono essere iniziate in qualsiasi momento, qualora se ne veda l’opportunità, permettendo un auspicabile precoce avvio del trattamento depurativo; forniscono la migliore tutela alla stabilità emodinamica del paziente; permettono un eccellente controllo dei fluidi corporei; facilitano la somministrazione di quantità anche rilevanti di liquidi di infusione, utili per le necessità farmacologiche e nutrizionali del paziente; sembrano permettere un recupero più rapido della funzione renale in corso di insufficienza renale acuta; probabilmente garantiscono una sopravvivenza maggiore in un gruppo di malati gravato da una mortalità estremamente elevata; godono della migliore somiglianza con la fisiologia del rene nativo. (12)   BIBLIOGRAFIA Aloatti S., Bosticardo G.M. Il modello cinetico dell’urea, prescrizione della terapia dialitica. In: Trattato Italiano di Dialisi – Wichtig Editore Milano 1992 Cap. 3 pag. 1-19 Bellomo R., Ronco C. Nomenclature for continous renal replacement therapies. In: Critical Care Nephrology - Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1169-117  Canaud B., Leray-Moragues H., Garred L., Leblanc M., Mion C. Rationale for intermittent renal replacement therapy in acute renal failure. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1383-1389 Garred L., Canaud B., Leblanc M., Bosc J-Y Biophisic of intermittent renal replacement therapy. In: Critical Care Nephrology Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pg. 1391-1409 Golper T.A., Marx M.A. Removal of drugs, toxins and poisons by continous hemofiltration. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1249-1258 Henderson L.W. Ultrafiltration. In: Replacement of renal function by dialysis – Ed: Drukker W., Parzon F.M. and Maher J.F. Martinus Nijhoff Medical Division – The Hague 1978 pag. 135-154  Klouche K., Beraud J.J. Nutritional requirements in critically ill patients treated with intermittent renal replacement therapy. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1473-1489 Panzetta G. Il Protein Catabolic Rate (PCR) In: Trattato Italiano di Dialisi – Wichtig Editore Milano 1992 Cap. 5 pag. 1-7 Ravindra L. Mehta. Fluid management in CRRT In: Blood Purification in Intensive Care – Ed: Ronco C., Bellomo R. and La Greca G. Contrib. Nephrol Karger, Basel 132:335-348; 2001 Ronco C., Bellomo R. Principles of solute clearance during continous renal replacement therapy. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1213-1223 Ronco C., Bellomo R., Homel P., Brendolan A., Dan M., Piccini P., La Greca G. Effects of different doses in continous veno-venous haemofiltration on outcomes of acute renal failure: a prospective randomised trial. Lancet 356:26; 2000   Ronco C., Zanella M., Brendolan A., Milan M., Canato G., Zanyeretti N., Bellomo R. Management of severe acute renal failure in critically ill patients: an international survey in 345 centres. Nephrol. Dial. Transplant 16:230; 2001 Silvester W., Bellomo R., Ronco C. Continous versus intermittent renal replacement theory in the critically ill. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1225-1237 Tetta C., Mariano F., Ronco C., Bellomo R. Removal and generation of infiammatory mediators during continous renal replacement therapies. In: Critical Care Nephrology – Ed: Ronco C. and Bellomo R. Kluwer Academic Publishers – Dordrecht 1998 pag. 1239-1248 _______________________________________________________ L'Emopurificazione in Terapia Intensiva _______________________________________________________ L’EMOPURIFICAZIONE IN TERAPIA INTENSIVA G. Berlot, M. Viviani, A. Gullo Istituto Polidisciplinare di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica. Cattedra di Terapia Intensiva, Università degli Studi di Trieste   1. Introduzione Fin dall’inizio della storia della medicina, la comparsa di determinati disturbi e sintomi è stata attribuita alla presenza di sostanze tossiche di origine esterna od interna all’organismo, da cui quindi dovevano essere rimosse allo scopo di favorire la guarigione. Anche se in epoche recenti tale visione è stata modificata, vi sono tuttavia dei quadri patologici determinati sia dall’introduzione di sostanze esogene (es. intossicazioni di varia natura) che dalla mancata eliminazione di sostanze endogene biologicamente attive il cui accumulo può essere considerato da una parte come semplice espressione dell'insufficienza di un organo (esempio la creatinina o l’urea nel caso di insufficienza renale) e dall’altra come agente di per sè in grado di esercitare un’azione patogena (es. ammoniaca nel caso di insufficienza epatica). Le ultime decadi si sono caratterizzate, tra l’altro, per lo sviluppo di una serie di metodiche volte alla depurazione del sangue da sostanze appartenenti all’una o all’altra categoria; tale processo può considerarsi tuttora in corso. Ad esempio, nell’ambito della Terapia Intensiva (TI), i cui pazienti si caratterizzano per la particolare instabilità emodinamica, nuove procedure intrinsecamente meglio tollerate hanno sostituito l’emodialisi (ED), che rimane tuttora il cardine del trattamento nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica (IRC). Tali procedure vengono denominate ultrafiltrazione ed emofiltrazione e va precisato che, anche se nella letteratura corrente tali termini sono spesso utilizzati come sinonimi, vi è tra loro una profonda differenza concettuale ed operativa. Più precisamente, mentre il primo termine indica la rimozione di acqua e di soluti dal compartimento intravascolare ed interstiziale senza che abbia luogo una sostituzione totale dei fluidi rimossi, che, al limite può essere del tutto assente portando alla disidratazione guidata del paziente (in tale modalità la procedura viene anche denominata SCUF, da Slow Continuous UltraFiltration, il secondo indica che il volume rimosso viene interamente sostituito con dei liquidi aventi le caratteristiche indicate dalla situazione clinica. Indipendentemente dalle rispettive indicazioni e limiti, tali metodiche non consentono l’eliminazione di macromolecole (quali le proteine od immunocomplessi) o sostanze (es. farmaci o tossici) ad esse legate. Tale risultato è conseguibile appunto con la plasmaferesi (PF) che, utilizzando filtri permeabili a sostanze di elevato molecolare (PM), ne consente l’eliminazione dall’organismo. Lo scopo della presente trattazione è di illustrare i principi di funzionamento ed i campi di applicazione delle citate tecniche di emopurificazione nell’ambito della TI.   2. Principi di funzionamento 2.1 Emofiltrazione ed Ultrafiltrazione Il trattamento dialitico convenzionale può rivelarsi assolutamente deleterio nel paziente instabile dal punto di vista emodinamico e/o respiratorio, determinando l’insorgenza di ipotensione, riduzione della portata cardiaca ed ipossiemia. Le cause di tali disturbi sono da ricercarsi fondamentalmente da una parte nell’interazione tra il sangue e la membrana del filtro, che determina l’attivazione dei leucociti e la conseguente produzione di sostanze ad attività cardiodepressiva e vasodilatatrice, e dall’altra dalla rapida sottrazione di fluidi dal compartimento intravascolare, che si rifornisce più lentamente da quello extravascolare. L’introduzione di membrane filtranti dotate di maggiore biocompatibilità e di nuove procedure dialitiche (es. dialisi con bicarbonato) ha sicuramente comportato una maggiore tollerabilità emodinamica, che però può non dimostrarsi sufficiente nel paziente severamente compromesso. Per tale motivo, a partire dai primi anni 80 sono state sviluppate una serie di tecniche di depurazione extracorporea che, malgrado un’apparente somiglianza esterna delle apparecchiature impiegate, differiscono fondamentalmente dall’ED. Durante quest’ultima, il sangue passa lungo una membrana semipermeabile sul cui versante opposto scorre un liquido (soluzione di dialisi) la cui composizione chimica determina quantitativamente e qualitativamente il processo depurativo, che avviene per diffusione, cioè attraverso l’eliminazione di soluti lungo un gradiente favorevole (figura 1). Quindi, anche se numerose formulazioni sono disponibili, la soluzione di dialisi contiene quantità fisiologiche di Na+ ma è povero o privo di K+, urea, creatinina e fosfati, che vengono quindi rimossi, sia pure in proporzioni tra loro differenti. Le membrane impiegate in ED non sono particolarmente permeabili all’acqua, la cui rimozione avviene determinando un gradiente di pressione tra le due superfici della membrana del filtro, creando quindi o una maggiore pressione nel lato in cui scorre il sangue o una depressione (ottenuta con aspirazione) nel lato in cui scorre la soluzione di dialisi. Il fenomeno della diffusione influenza notevolmente l’efficacia del trattamento: infatti, con questo meccanismo il passaggio di una molecola attraverso una membrana semipermeabile è influenzato (tra l’altro) dal suo PM: di conseguenza sostanze a basso PM (es. urea, 60 D) sono rimosse più efficacemente di quelle con un PM più elevato (es. creatinina, 113 D). Queste caratteristiche spiegano, tra l’altro, l’accumulo di fosfati che avviene nel paziente con IRC in trattamento dialitico e la presenza di alcuni disturbi caratteristici di questa patologia, che vengono attribuiti alla ritenzione di tossine endogene a PM intermedio (c.d. medio molecole) non sufficientemente eliminate con l’ED. Allo scopo di prevenire da una parte le alterazioni emodinamiche e respiratorie associate con l’ED e dall’altra di migliorare l’eliminazione di liquidi, a partire dai primi anni 80 sono entrati nella pratica clinica dei nuovi metodi di depurazione extracorporea, che si basano sul principio della convezione. Con tale meccanismo, reso possibile dalla disponibilità di nuovi materiali filtranti dotati di una maggiore permeabilità rispetto a quelli impiegati nell’ED la rimozione di acqua risulta molto maggiore rispetto a quello ottenibile con la diffusione, ed i soluti rimossi sono in effetti trasportati nell’ultrafiltrato all’interno di microvolumi d’acqua (figura 2). Inizialmente il trattamento era basato sul passaggio del sangue attraverso un filtro interposto tra il settore arterioso e quello venoso utilizzando la pressione arteriosa del paziente stesso quale pressione di filtrazione (Continuous Arterovenous Hemofiltration, CAVH). Di conseguenza, l’efficacia della metodica era pesantemente condizionata (a) dal mantenimento di un gradiente di pressione adeguato tra il letto arterioso e quello venoso e (b) dalle caratteristiche del flusso ematico all’interno del filtro, a loro volta influenzate dalle sue caratteristiche costruttive. In effetti, considerando la legge di Frank-Starling, l’aumento relativo della concentrazione di proteine determinata dalla perdita di liquidi determina il crearsi all’interno del filtro di un punto di equilibrio tra pressione idrostatica e pressione oncotica, oltre il quale cessa la produzione di ultrafiltrato ed aumentano le resistenze al flusso (legge di Hagen-Poiseuille).Allo scopo di ovviare a tali limitazioni e di evitare l’incannulamento di grossi tronchi arteriosi, tale metodica è stata modificata interponendo una pompa peristaltica in un circuito extracorporeo veno-venoso (Continuous Venovenous Hemofiltration, CVVH), che ha in pratica soppiantato la CAVH. Successivi sviluppi hanno portato all’associazione del meccanismo della convezione con quello della diffusione (Continuous Veno-Venous HemoDiafiltration (CVVHD). Tale procedura viene ottenuta facendo passare nella zona esterna del filtro una soluzione di dialisi peritoneale in direzione controcorrente rispetto al flusso ematico. In tale modo al processo convettivo si associa una componente diffusiva che aumenta la rimozione dei soluti, peraltro riducendo la sottrazione dei fluidi. Nonostante l’ED possieda una maggiore capacità depurativa per unità di tempo, le metodiche continue consentendo un trattamento ininterrotto con elevati scambi di fluidi permettono un efficace trattamento dell' IRA. In termini operativi, l’ultrafiltrazione è indicata quando occorra rimuovere un eccesso di fluidi che il rene non riesce ad eliminare mentre l’emofiltrazione deve essere considerato un trattamento emopurificativo propriamente detto, e come tale utilizzabile sia nel trattamento dell'IRA che di altre forme patologiche in cui un ruolo patogenetico fondamentale venga rivestito da sostanze eliminabili attraverso tale metodica. I principali vantaggi che le metodiche convettive presentano nei confronti dell’ED sono: · la possibilità di un trattamento continuo nell’arco delle 24 ore, e protratto per un periodo di tempo indefinito. Anche se la CVVH risulta meno efficaci nell’unità di tempo nell’eliminazione di elettroliti e di prodotti del catabolismo (es. K+, creatinina ed azoto) rispetto all’ED, quest’ultima si associa a rilevanti squilibri idroelettrolitici che possono risultare estremamente pericolosi nei pazienti critici. Durante la CVVH, invece, non so osservano rilevanti modificazioni del compartimento intravascolare in quanto questo viene continuamente rifornito dal liquido in eccesso presente in quello interstiziale; · la rimozione continua di liquidi consente la somministrazione di quantità praticamente illimitata di fluidi, sotto forma di nutrizione enterale o parenterale, sangue ed emoderivati etc. Va a questo proposito ricordato come la gestione dei liquidi nel paziente critico rappresenti un impegno talora estremamente gravoso, che talora si risolve in un continuo alternarsi di stati di sovra e sotto idratazione; · in base a quanto esposto nei punti precedenti, il fluido rimosso può essere rimpiazzato in tutto od in parte con soluzioni di composizione di volta in volta adattata alla situazione clinica, consentendo quindi una vera e propria manipolazione della composizione chimica del compartimento extracellulare. La descrizione delle metodologie convettive sarebbe tuttavia oltremodo incompleta se si tacessero le limitazioni di tali metodiche, che possono essere così riassunte: · la (relativa) ridotta capacità depurativa/ unità di tempo rispetto ad altre metodiche depurative (es. emoperfusione, plasmaferesi, ED) ne controindica l’utilizzo per il trattamento di intossicazioni acute, nonostante siano comparse in letteratura delle descrizioni di singoli casi trattati con successo; · le procedure descritte rendono necessario l’incannulamento di vasi di calibro adeguato; di conseguenza aumenta il rischio di emorragie (v. punto successivo), di infezioni, di embolie gassose ed in generale di quelle complicanze derivanti dalla permanenza in situ per tempi prolungati di un catetere venoso centrale; · analogamente a tutti i trattamenti che si avvalgono del passaggio del sangue su una superficie estranea, si rende necessario l’impiego di farmaci ad attività anticoagulante (eparina). Appare quindi chiaro che circostanze associate ad un elevato rischio emorragico (es. trauma cranico, recente intervento chirurgico etc.) rappresentino una controindicazione assoluta al loro utilizzo. Esistono tuttavia delle possibilità di ovviare a tale rilevante limitazione. Primo, l’eparinizzazione può essere circoscritta al settore extracorporeo, immettendo protamina (antagonista specifico dell’eparina) nel segmento terminale del circuito extracorporeo; in tale modo la quantità di eparina che ha accesso alla circolazione del paziente dovrebbe essere estremamente ridotta od addirittura assente. Secondo, possono essere utilizzate sostanze anticoagulanti non epariniche (es prostaciclina, eparinoidi). Terzo, l’eparina può essere inserita e fissata nel materiale costitutivo del filtro già in sede di fabbricazione.   2.2 Plasmaferesi e Plasma Exchange Concettualmente, il principio di funzionamento della PF è più semplice degli altri sopra illustrati, in quanto si basa sulla semplice eliminazione del plasma e delle sostanze in esso contenute; risulta evidente che il volume rimosso richiede una almeno parziale sostituzione con plasma allo scopo di reintegrare le perdite di fattori della coagulazione, di albumina etc. I progressi tecnologici e le necessità applicative hanno comportato successivi raffinamenti della metodica, che, allo stato attuale, ha acquisito una maggiore selettività, consentendo l’eliminazione mirata di particolari sostanze. Anche in questo caso è opportuno distinguere tra i tipi di trattamento possibili: con il termine inglese plasma exchange (PE) si indica un procedimento volto alla rimozione ed alla successiva eliminazione dell'intero volume plasmatico, mentre con il termine Plasmaferesi si intende la rimozione selettiva dal plasma di una sua componente patologica, mentre il rimanente viene successivamente reinfuso. Tale processo, tecnologicamente più avanzato, si svolge fondamentalmente in due fasi: durante la prima il plasma viene separato dal sangue attraverso il passaggio su un filtro analogo a quelli utilizzati con il PE; il plasma così ottenuto, anziché essere eliminato, viene fatto scorrere attraverso un altro filtro costituito da un materiale in grado di legare irreversibilmente la sostanza da eliminare (es. lipoproteine) e successivamente reinfuso nel corso dello stesso trattamento. Anche nel caso della PF e del PE vanno tenute presenti alcune limitazioni, che possono essere così riassunte: · tali metodiche sono efficaci nella rimozione di sostanze presenti nel compartimento intravascolare; la (ri)comparsa in questo compartimento di sostanze ad azione patogena presenti nello spazio interstiziale e/o aderente a degli specifici recettori cellulari può dare luogo a fenomeni di rebound ad intervalli di tempo variabili dalla fine della procedura; · la rapida rimozione di liquidi dal compartimento intravascolare può determinare gravi alterazioni emodinamiche, particolarmente pericolose nei pazienti in TI; · non è sempre chiaro se la sostanza da eliminare sia il reale agente patogenetico di un particolare quadro patologico o ne rappresenti unicamente un marker biologico; · poiché alcune delle patologie in cui la PE ed la PF sono impiegate sono di fatto rare, per molte di esse non esistono delle casistiche tali da validarne o da controindicarne l’utilizzo, e l’esperienza clinica si base su piccole serie di pazienti o addirittura su singole descrizioni di casi clinici. Tale incertezza operativa ha comportato all’inizio un sovrautilizzo della PE/PF sia in ambito generale che in TI, ed il progredire delle conoscenze ha limitato il suo impiego solo ad alcuni quadri patologici (tabella 1); · analogamente a quanto descritto a proposito dell'emofiltrazione, l’incannulamento di vasi di grosso calibro e la necessità di eparinizzazione del circuito extracorporeo può accompagnarsi ad una serie rilevante di complicazioni iatrogene.  3. Applicazioni cliniche Da quanto esposto possono quindi essere individuati tre principali campi di applicazione per l’ultrafiltrazione-emofiltrazione e la PF: - il supporto della funzione renale; - il trattamento dello scompenso cardiaco e degli stati di iperidratazione non od ipo rispondenti alla terapia diuretica e/o alla restrizione di fluidi; - il trattamento di situazioni cliniche determinate dall’azione di sostanze (potenzialmente) eliminabili con tali metodiche, tra cui i mediatori della sepsi.   3.1 Supporto della funzione renale L’insorgenza di IRA nel paziente critico rappresenta una eventualità particolarmente temibile per molteplici motivi: Primo, in tali circostanze l’IRA spesso si associa all’insufficienza di altri organi o sistemi, nell’ambito di una Disfunzione Multipla d’Organo (MODS: Multiple Organ Dysfunction Syndrome); in questo caso la mortalità riportata in varie casistiche arriva all’80-100%, il che contrasta nettamente con quella dell'IRA che insorga isolatamente, che è gravata da una mortalità variabile a seconda delle cause e dei pazienti considerati, ma che di norma non oltrepassa il 20%. Secondo, il paziente in TI è esposto a molteplici fattori di rischio, tra i quali le infezioni, gli stati di bassa portata cardiaca, l’impiego di farmaci nefrotossici ect. Terzo, come già accennato, l’ED può determinare la comparsa di gravi alterazioni cardiorespiratorie. La CVVH rappresenta attualmente il trattamento di scelta per i pazienti critici con IRA, sia che essa coòpaia in forma isolata che nell’ambito di una MODS. Numerosi studi hanno infatti dimostrato una migliore tollerabilità emodinamica e respiratoria rispetto all’ED, che tuttavia può rendersi ancora necessaria in caso di iperkalemia severa o di inizio del trattamento depurativo in una fase talmente avanzata che la CVVH non è in grado di contrastare l’iperazotemia. Stante il principio di funzionamento, basato sulla rimozione di soluti disciolti nel liquido rimosso, il trattamento dell'IRA con le citate metodiche richiede lo scambio di elevate quantità di fluidi, che nel paziente critico altamente catabolico può raggiungere i 18-24 litri/24 ore, per più giorni di seguito. La rilevanza volumi comportano alcune necessità operative. Primo, è necessario valutare con estrema attenzione il bilancio entrate/uscite allo scopo di evitare la comparsa di disidratazione; a tale fine l’impiego di bilance collegate con un sistema computerizzato di reinfusione risulta di estrema utilità. Secondo, va tenuta presente la possibilità di perdite di farmaci, sostanze nutrizionali, vitamine ed oligoelementi; per ovviare a tali inconvenienti sono state pubblicate della tabelle che, in analogia a quanto normalmente avviene durante un trattamento ED, consentono l’adeguamento del dosaggio dei farmaci somministrati in ragione della loro filtrabilità e flusso ematico nel filtro. Da ultimo, il passaggio del sangue sulla membrana del filtro si associa al depositarsi di un film proteico sulla sua superficie, che alla lunga ne riducono la permeabilità. Anche se tale fenomeno risente di alcune caratteristiche individuali (es. concentrazione proteica, flusso ematico etc.), allo scopo di mantenere inalterata l’efficacia del trattamento è indicata la sostituzione del filtro ogni 24-36 ore.   3.2 Trattamento dello scompenso cardiaco e degli stati di sovraidratazione L’insufficienza cardiaca acuta e cronica richiede la somministrazione di una serie di farmaci volti da una parte a migliorare la funzione della pompa cardiaca e dall’altra, se necessario a ridurre l’accumulo di liquido accumulato nello spazio interstiziale. Quest’ultimo aspetto appare di particolare rilievo in quanto: · la comparsa di edema polmonare acuto (EPA) rappresenta un evento potenzialmente letale determinando l’insorgenza di ipossiemia che talora richiede la ventilazione meccanica; · la formazione di edema tissutale determina un aumento della distanza tra capillari e cellule, che vengono quindi esposte al rischio di ipossia e di conseguente anaerobiosi. Il trattamento dell' insufficienza cardiaca si basa innanzitutto sul miglioramento della funzione di pompa e quindi sul venir meno della risposta neuroendocrina (sistema nervoso simpatico, sistema renina-angiotensina-aldosterone) che causa un aumento del riassorbimento renale del Na+. In questo contesto, l’impiego di diuretici è indicato dall’accumulo di liquidi nel compartimento extravascolare, la cui gravità può variare da un modesto edema gravitazionale, all’edema polmonare acuto (EPA) ed allo stato anasarcatico conclamato. Anche se in genere tale trattamento si rivela efficace, esistono delle situazioni in cui l’eliminazione del liquido in eccesso risulta insufficiente sia a causa di concomitanti patologie croniche (es. IRC non ancora in fase anurica) sia per situazioni contingenti, in cui il paziente comunque necessita di un rilevante apporto di fluidi malgrado una ridotta riserva funzionale cardiaca o renale che ne rallenta sostanzialmente (es. pazienti politraumatizzati con ridotta riserva cardiaca o renale in cui sia somministrare elevate quantità di liquidi sotto varia forme). In queste circostanze l’impiego delle metodiche convettive facilita la gestione dei fluidi, in quanto una quota del liquido in eccesso può venire eliminata con le metodiche convettive. Il continuo refilling da parte del compartimento extravascolare previene la comparsa di ipovolemia e garantisce la tollerabilità emodinamica. Dal momento che tali situazioni sono per lo più temporalmente limitate, l’impiego della CVVH può limitarsi al periodo di tempo in cui è prevedibile la necessità dell'infusione di elevati volumi di fluidi. Un campo particolare di applicazione della CVVH è la fase finale di un intervento chirurgico eseguito in circolazione extracorporea (CEC). Tali procedure chirurgiche infatti spesso necessitano la somministrazione di notevoli quantità di liquidi che possono essere smaltiti tardivamente nella fase post CEC. L’applicazione di un filtro da CVVH nel circuito extracorporeo consente l’eliminazione del liquido in eccesso alla fine dell'intervento riducendo quindi la possibilità di EPA postoperatorio.   3.3 Eliminazione dei mediatori della sepsi Numerose ricerche sperimentali e cliniche hanno dimostrato che le rilevanti alterazioni emodinamiche, metaboliche e respiratorie caratteristiche dello sepsi e dello shock settico derivano dalla produzione di una eterogenea serie di sostanze prodotte nel corso dell’interazione tra ospite e germe infettante, che, nel loro insieme, danno luogo ad una reazione infiammatoria generalizzata. In molti casi la produzione di tali sostanze si accompagna a quella di loro inibitori specifici (es. recettori solubili con attività chelante o agenti bloccanti il recettore delle cellule bersaglio), con lo scopo teleologico di limitare il danno d’organo. La situazione viene ulteriormente complicata dalla presenza di numerose interazioni con altri sistemi biologici, quali la cascata emocoagulativa, la produzione di ossido nitrico (NO), la sintesi di proteine della fase acuta etc. E’ stato inoltre ipotizzato che nel corso dello stesso episodio settico possano susseguirsi o alternarsi due fasi ben distinte e tra loro antitetiche, caratterizzate l’una dalla produzione di sostanze ad azione infiammatoria ed dei relativi inibitori (Mixed inflammatory and Antinflammatory Response Syndrome, MARS) e l’altra dalla prevalenza di agenti con spiccate caratteristiche antiinfiammatorie (Compensatory Anti-Inflammatory Response Syndrome, CARS). Allo scopo di inibire tale risposta, sono state impiegate sostanze prodotte mediante tecniche di ingegneria genetica, agenti come anticorpi specifici, come recettori solubili atti ad intercettare la molecola bersaglio prima che possa legarsi al recettore cellulare ed infine come bloccanti del recettore cellulare stesso. Sfortunatamente, i numerosi trials clinici finora attuati hanno portato a dei risultati nel complesso scoraggianti, o comunque largamente al di sotto di quanto era lecito aspettarsi in base agli studi sperimentali. Un’alternativa a tale approccio è costituita dalla possibile eliminazione dall’organismo attraverso alcune la CVVH, che impiega membrane con un cut-off (vale dire il PM limite al di sopra del quale una sostanza non viene più filtrata) di ~ 50-60 KD. In effetti, vi sono risultati di carattere sia sperimentale che clinico che confermano tale ruolo sia in termini di miglioramento di alcune variabili fisiologiche alterate in corso di sepsi che di riduzione della mortalità dei pazienti trattati. In un modello sperimentale di sepsi, la CVVH si è associata ad un significativo miglioramento dei parametri emodinamici considerati, in assenza di alterazioni del volume ematico. In uno studio policentrico, una miglior sopravvivenza in un gruppo di pazienti settici é stata osservata nel gruppo trattato con CVVH rispetto a quelli trattati con CAVH e tale risultato é stato attribuito ad una maggior capacità di rimozione di mediatori della sepsi posseduto dalla prima metodica. Non è chiaro tuttavia quale sia il ruolo svolto dall’ipotizzata azione sui mediatori della sepsi, in quanto il loro dosaggio in soggetti trattati con tali metodiche ha portato a risultati contrastanti: una loro diminuzione é stata osservata in uno studio, mentre in un altro i valori delle citochine considerate rimanevano invariate o tendevano addirittura ad aumentare leggermente. E' possibile che il legame dei mediatori con le proteine plasmatiche possa influenzare la quantità rimossa. Recentemente, per ottenere una più rapida ed efficiente rimozione di mediatori, la plasmaferesi (PF) da sola od in associazione con la CAVHD é stata utilizzata con successo nel trattamento di pazienti con sepsi o shock settico; in un altro studio la PE fu in grado di migliorare temporaneamente le condizioni di pazienti con MODS. Valutando il decorso clinico di quattro gruppi di pazienti settici con MODS, alcuni autori osservarono una significativa diminuzione della mortalità nei pazienti trattati con PE associata a CAVHD rispetto a quelli trattati con CAVH, CAVHD o senza alcuna metodica di depurazione extracorporea. Anche in questo studio il miglioramento della sopravvivenza nel gruppo trattato con PF venne attribuito ad una maggiore eliminazione di mediatori. Più recentemente, la PF eseguita in un gruppo di pazienti settici ha consentito il significativo miglioramento di tutti i parametri emodinamici considerati, senza un parallelo miglioramento della mortalità; anche in questo caso si è ipotizzato che l’effetto migliorativo sulla funzione emodinamica fosse dovuto all’eliminazione di mediatori e di sostanze ad azione miocardiodepressiva. Un'alternativa a tali metodiche, é costituta dalla perfusione del sangue di soggetti settici su filtri contenenti polimixina B od altre sostanze in grado di adsorbire l'endotossina od altri mediatori. Allo stato attuale delle ricerche, i trattamenti di depurazione extracorporea nel trattamento della sepsi appaiono quindi promettenti, anche se non é ancora possibile identificare con precisione le categorie di pazienti che ne potrebbero trarre maggiore giovamento.   4. Conclusioni Le metodiche emodepurative si sono rivelate estremamente efficaci nel trattamento dell'IRA e dello scompenso cardiaco nei pazienti critici, in cui le alterazioni emodinamiche e respiratorie determinate dall’emodialisi possono rivelarsi catastrofiche. Per quanto riguarda invece la loro applicazione quali mezzi per rimuovere i mediatori della sepsi, il loro preciso ruolo, che viene suggerito da esperienze sia sperimentali che cliniche, deve essere ancora validato mediante uno studio policentrico che arruoli un numero di paziente tale da poter trarre delle conclusioni definitive.   spazio interstiziale spazio vascolare dialisato Na+  Cl K+  Cl- Creat  N Na+ Cl  K+ Cl-  Creat N  PO4 -- K+  Cl Creat  N Figura 1 : schema del trasporto diffusivo; il passaggio di sostanze nel e dal dialisato avviene lungo un gradiente di concentrazione spazio  interstiziale spazio vascolare ultrafiltrato Figura 2 : schema del trasporto convettivo; ogni casella rappresenta un volume di acqua tavola 1: attuali indicazioni certe e potenziali della PE e PF nel paziente critico attuali ematologia-immunologia: porpora trombotica trombocitopenica sindrome uremico-emolitica sindrome di Goodpasture patologie neuromuscolari sindrome di Guillan-Barrè miastenia gravis varie insufficienza epatica (supporto temporaneo) arteriti Potenziali sepsi e quadri clinici correlati Tossicologia sostanze legate alle proteine   Letture consigliate Moldawer LL: Biology of proinflammatory cytokines and their antagonist. Crit Care Med 1994; 22: S3-S7 Bone RC: Sir Isaac Newton, Sepsis, SIRS and CARS. Crit Care Med 1996: 24: 1125-1136 Forni IG, Hilton PJ: Current concepts: continuous hemofiltration in the treatment of acute renal failure. New Engl J Med 1997; 336: 1303-1309. Berlot G, Barzilay E, Gullo A: Tecniche di supporto extracorporeo nel trattamento dello scompenso multisistemico Min Med 1989; 80:1309-1313. Van Bommel EFH: Should continuous renal replacement therapy be used for “non renal” indications in critically ill patients with shock? Resuscitation 1997; 33: 257-270.  Stein B, Pfenninger E, Grunert A, Shmitz JE, Hudde M: Influence of continuous arteriovenous haemofiltration on haemodynamics and central blood volume in experimental endotoxic shock. Int Care Med 1990; 6:494-499.  Storck M, Hartl WH, Zimmerer E, Inthorn D: Comparison of pump-driven and spontaneous continuous hemofiltration in postoperative acute renal failure. 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Informazioni sulla rivista ESIA-Italia EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia costituisce la parte Italiana della versione Americana, pubblicata su Internet da Keith J Ruskin, Professore di Anestesia alla Università di Yale. I lavori saranno accettati sia in lingua Italiana che Inglese. In quelli di lingua Italiana un corposo riassunto in Inglese verrà preparato dalla redazione, qualora l'autore non fosse in grado di fornirlo. A cura della redazione sarà inoltre la traduzione in Italiano dei manoscritti inviati in lingua Inglese. La rivista sarà inviata gratuitamente a tutti quelli che ne faranno richiesta, inviando il seguente messaggio "Desidero ricevere ESIA versione italiana" indirizzato a LANZA@UNIPA.IT La rivista pubblica rewiews e lavori originali compiuti nei campi dell'anestesia e della medicina critica. I lavori originali riguardano ricerche cliniche, di laboratorio e la presentazione di casi clinici. 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Matteo - IRCCS Pavia Anestesia Cardiovascolare Riccardo Campodonico Responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiochirurgica - Azienda Ospedaliera di Parma ricrob@mbox.vol.it Anestesia e malattie epatiche Andrea De Gasperi Gruppo trapianti epatici / CCM - Ospedale Niguarda - Milano Medicina critica e dell'emergenza Antonio Gullo Professore di Terapia Intensiva - Direttore del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva -Università di Trieste Anestesia ed informatica Vincenzo Lanza Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo Tossicologia Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia Terapia Antalgica e Cure Palliative Sebastiano Mercadante Responsabile dell' Unità d'Anestesia e di Terapia del Dolore e Cure Palliative - Dipartimento Oncologico La Maddalena - Palermo terapiadeldolore@la-maddalena.it