Numero in formato solo testo


ISSN 1080-3521

EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY

and

CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -

Il giornale Italiano online di anestesia Vol 9 No 06 Giugno 2004


Pubblicato elettronicamente da

Vincenzo Lanza, MD

Servizio di Anestesia e Rianimazione

Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy

E-mail: lanza@mbox.unipa.it

Keith J Ruskin, MD

Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine

333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA

E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu

Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine

__________________________
In questo numero:

La redazione di Esia-Italia dedica alcuni suoi numeri alla pubblicazione dei lavori che hanno costituito parte del materiale didattico del Corso "Problemi Cardiologici in Anestesia e Terapia Intensiva" tenutosi nel Marzo 2003 presso il CEFPAS (Centro per la Formazione Permanente e l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario) sito in Caltanissetta (Sicilia). Questo è uno dei corsi organizzati in collaborazione con la FEEA (Fondazione Europea di Insegnamento in Anestesiologia) e rappresenta uno dei diversi momenti formativi di un vasto percorso didattico che spazia ampiamente tra le diverse aree di interesse nel campo dell'Anestesia e della Terapia Intensiva.
In futuro Esia-Italia ospiterà altri iter formativi monotematici nella certezza di incontrare la continua necessità di studio dei suoi Lettori che potranno così soddisfare in modo sempre gratuito e immediato le proprie esigenze di formazione anche non spostandosi dal proprio posto di lavoro.

dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS
 

1 NUOVI FARMACI TROMBOLITICI NELL'INFARTO MIOCARDICO ACUTO: CONSIDERAZIONI TEORICHE E PRATICHE

2 ANESTESIA PER LA CHIRURGIA DELL'AORTA ADDOMINALE

3 EMBOLIA POLMONARE

4 Il malato cardiopatico e i nuovi modelli respiratori


 


_______________________________________________________

NUOVI FARMACI TROMBOLITICI NELL'INFARTO MIOCARDICO ACUTO:
CONSIDERAZIONI TEORICHE E PRATICHE

_______________________________________________________

Marc Verstraete

La rapida dissoluzione di un trombo vascolare richiede la lisi dell'agglomerato di fibrina attraverso la produzione della plasmina, un'enzima che degrada i polimeri di fibrina in piccoli frammenti solubili. L'importanza di questa trombolisi specifica, mediata dalla generazione di plasmina, confinata essenzialmente alla superficie del trombo, è stata ripetutamente sottolineata [1, 2]. Gli agenti trombolitici attualmente disponibili, streptokinasi ed urokinasi, presentano una scarsa affinità specifica per la fibrina e quindi attivano indiscriminatamente sia il plasminogeno circolante che quello legato alla fibrina. Di conseguenza la plasmina formatasi in circolo verrà rapidamente neutralizzata dall'a2-antiplasmina e verrà perso l'effetto trombolitico. Quando le capacità dell'inibitore verranno esaurite, la plasmina residua degraderà varie proteine plasmatiche, come il fibrinogeno, il fattore V, VIII, con la possibilità di determinare emorragia. Sono stati effettuati vari tentativi per aumentare la specificità della streptokinasi e dell'urokinasi per il trombo con la somministrazione preventiva di Lys-plasminogeno, che possiede un'affinità per la fibrina superiore a quella del Glu-plasminogeno o rimuovendo l'a2-antiplasmina con l'infusione preventiva di plasmina, destrano o acido ortotimotico [4, 5, 6]. Recentemente è stato sintetizzato un derivato della streptokinasi con ridotto potere antigenico ed emivita prolungata, in grado di legarsi al plasminogeno. I ritrovati più promettenti per la trombolisi specifica della fibrina sono rappresentati da un acil-derivato di un complesso equimolare di Streptokinasi-plasminogeno, dall'attivatore del plasminogeno umano(t-PA), e da una forma a catena singola di urokinasi.

Complesso acil-derivato attivatore plasminogeno-streptokinasi

La streptokinasi è una proteina non enzimatica che forma un complesso stechiometrico con un rapporto 1:1 con il plasminogeno, legandone la metà della molecola col proprio sito attivo. Converte il plasminogeno del complesso attivo in plasmina attraverso la rottura dei legami interni. Inoltre può formare complessi simili con la plasmina libera per attivare ulteriori molecole di plasminogeno [10]. Il residuo serina (Ser 740) posizionato nel centro attivo della catena leggera beta del plasminogeno può temporaneamente essere bloccato da un gruppo p-aniso rendendo il complesso resistente alla neutralizzazione ad opera degli inibitori dell'alfa2-plasmina [11]. Anche se il legame della streptokinasi con il plasminogeno è un legame non covalente, la dissociazione della streptokinasi dal complesso è difficile perfino quando il centro attivo viene acetilato. L'attività del complesso dipende da un processo di deacetilazione idrolitica spontanea che ha luogo prontamente in ambiente acquoso, compreso il sangue, con una rapidità che dipende dall'agente acetilante. Adoperando un derivato p-aniso (BRL 26921), il tempo di deacilazione risulta di 40 minuti in condizioni fisiologiche; quando il sito attivo viene invece attaccato da un derivato p-aminobenzoico (BRL33575), l'emivita di deacilazione diventa 17 ore [12]. Poiché il sito catalitico del plasminogeno si trova nella catena leggera della molecola e la sua funzione di legame con la fibrina è dipendente invece dai legami disolfurei o da ponti della catena pesante, l'indipendenza dei due siti determina un'inattivazione temporanea del sito catalitico senza compromettere l'affinità per la fibrina del complesso streptokinasi-plasminogeno [13, 14]. Quindi quando il complesso si legherà al trombo la deacilazione avverrà nel sito previsto.

La potenza trombolitica del sito attivo acetilato del complesso Lys-plasminogeno-streptokinasi è stata studiata in varie preparazioni animali. La maggior parte degli studi è stata effettuata con un acil-attivatore a una velocità di deacilazione moderatamente rapida (BRL 26921, emivita 40 min). In un modello di embolia polmonare sperimentale indotta con coaguli radioattivi in maiali ed in ratti, il BRL 26921 mostrò un'attività trombolitica superiore ad una quantità equivalente di un complesso simile non-aniso; inoltre questo effetto non risultò associato a degradazione del fibrinogeno plasmatico. Gli effetti del BRL 26921 furono inoltre confrontati con altri agenti trombolitici in differenti condizioni sperimentali nei cani. Mentre a dosi equimolari la streptokinasi e il complesso plasminogeno-streptokinasi fornivano risposte transitorie senza miglioramento venografico, la trombolisi con BRL 26921, controllata con radionuclidi e con la venografia, era virtualmente completa anche se associata ad una modesta deplezione del fibrinogeno (50% del valore di base). La dose richiesta per lisare trombi formatisi 24 ore prima era due volte superiore a quella richiesta per lisare trombi più recenti. Una dose simile in bolo (280 mcg/Kg) di BRL 26921 risultò efficace per lisare trombi recenti o di 24 ore, indotti elettricamente nell'arteria carotide di cani [16].

In volontari umani 5 mg di BRL 26921 determinavano l'accorciamento del tempo di lisi dell'euglobulina senza produrre importanti effetti sul sistema fibrinolitico sistemico; questa dose era equivalente su base molare a 178000 unità di Streptokinasi, e risultò in grado di ridurre il fibrinogeno ed il plasminogeno [18]. Con un dosaggio superiore a 5 mg si osservò una progressiva riduzione dei livelli plasmatici di fibrinogeno, plasminogeno ed alfa2-antiplasmina [14]. In alcuni volontari furono osservati effetti collaterali transitori ed occasionali come arrossamento cutaneo, dolori muscolari e febbre 8 ore dopo il bolo ed incrementi di lieve entità delle transaminasi entro 24 ore dalla somministrazione; questi effetti non erano correlati alla dose ed erano simili per caratteristiche ed incidenza a quelli evidenziati con la Streptokinasi [19]. Le indicazioni cliniche per i complessi acetilati streptokinasi-Lys-plasminogeno sono stati meglio studiati nell'infarto acuto miocardico (IMA). Con un bolo intracoronarico di 10 mg di BRL 26921, si determinava angiograficamente la riapertura del 72% in 25 pazienti. Una dose più elevata in bolo di BRL 26921 (da 15 a 25 mg) permise di ottenere la pervietà nel 75% dei casi. Con 30 mg in bolo di BRL 26921 [20, 23] (equivalenti a 1 milione di unità di Streptokinasi), somministrati endovena in 4 minuti a pazienti con occlusione coronarica documentata, si evidenziò la ricanalizzazione entro 5-60 minuti in 20 su 28 pazienti. Il dato fu confermato angiograficamente nel 71% dei casi [24, 25]. La stessa dose fu adoperata ad Edimburgo in 50 pazienti in cui non era stata effettuata un'angiografia prima del trattamento trombolitico. La pervietà fu dimostrata angiograficamente nell'88% dei casi con una percentuale di riocclusione del 12% [26]. I livelli plasmatici di fibrinogeno si ridussero dopo un'ora ad un terzo dei valori basali, anche se pochi pazienti presentarono valori inferiori a 0.5g/l di fibrinogeno. L'emivita del BRL 26921 era di 87 ± 5 minuti, corrispondente ai 70 minuti riscontrati in volontari. Questo consente la somministrazione del farmaco a boli [19]. In conclusione, con una dose massima di 30 mg di BRL 26921 si ottiene una percentuale di riperfusione dell'85%, percentuale questa superiore a quella riscontrata in letteratura con la somministrazione endovenosa di 1.5 milioni di unità di Streptokinasi [27]. Inoltre lo spettro degli effetti collaterali del BRL 26921 sembra quantitativamente simile a quello descritto per la Streptokinasi.

t-PA

Già nel 1947 Astrup [28] studiò la presenza di attivatori del plasminogeno nei vari tessuti. Pochi anni dopo riportò i risultati adoperando una tecnica di estrazione più sofisticata [29]. La tecnica di estrazione dai tessuti umani più recente è stata sviluppata da Rijken et al. [30], che ottennero 1mg circa di sostanza da 5 Kg di tessuto uterino. Un ulteriore miglioramento della tecnica ha consentito di ottenere sufficienti quantità di t-PA tali da definirne le proprietà biochimiche, biologiche e fisiologiche [31, 32]. La bassa produzione di t-PA derivante dai tessuti umani non determinò ulteriori progressi finché non si scoprì che colture cellulari neoplastiche producevano urokinasi ed attivatore del plasminogeno e che una particolare linea cellulare di melanoma produce t-PA simile a quello estratto dal tessuto uterino umano [31, 34]. Il t-PA umano ottenuto per ricombinazione del DNA dalle cellule ovariche di criceti cinesi [35] sembra indistinguibile dall'attivatore naturale isolato dalle colture cellulari umane di melanoma dal punto di vista delle proprietà biochimiche, del turn-over in vivo e dell'effetto trombolitico specifico [36]. Il t-PA è una proteasi composta da una catena polipeptidica [35]; la molecola viene poi convertita in due catene collegate da un ponte disolfuro per limitarne l'azione plasmica [31, 37, 38]. La catena pesante contiene due regioni con tre strutture disolfuree ed una catena leggera contenente il sito catalitico. Le forme ad una e a due catene del t-PA possiedono differenti attività amidolitiche nei riguardi dei substrati a basso peso molecolare e degli inibitori [37,39], ma virtualmente la stessa attività fibrinolitica in un sistema purificato e simili proprietà attivanti il plasminogeno [37,40]. Un elemento abbastanza interessante da considerare è la scarsa attività enzimatica del t-PA in assenza di fibrina; in presenza di fibrina il t-PA presenta un'alta affinità di legame su siti specifici [41-44]. Durante la formazione del trombo, piccole quantità di plasminogeno vengono incorporate in questo polimero. Il plasminogeno intrappolato si lega alla fibrina. Il plasminogeno legato alla fibrina modifica la propria configurazione per poter costituire un legame catalitico con la fibrina legata al t-PA, con un conseguente clivaggio del legame di attivazione arginina-valina della molecola del plasminogeno [1]. Il plasminogeno si converte a plasmina molto più efficacemente su una superficie di fibrina che non in assenza di essa [31,35]. Quando la plasmina è attivata sulla superficie di fibrina non è in grado di reagire col suo naturale inibitore a2-antiplasmina Poiché il suo sito essenziale (siti di legame della lisina) nella plasmina è stericamente bloccato come conseguenza del legame con la fibrina [46]. La plasmina generata localmente quindi è poco disponibile per il suo inibitore, mentre quella prodotta nel plasma è rapidamente inattivata dall'alfa2-antiplasmina circolante che ne impedisce dunque l'azione sistemica.

Il t-PA è presente nel sangue a livelli nanomolari e sembra originare dalle cellule endoteliali [47]. Il concetto prevalente è che il t-PA venga conservato nell'endotelio vascolare e secreto al bisogno. Il t-PA è presente nel plasma come sostanza attiva libera e sotto forma di complessi con a2-antiplasmina e a1-antitripsina [48] e con un inibitore specifico ad azione rapida [49-51]. Questa rapida inibizione ed eliminazione ad opera del fegato spiega la breve emivita (5-10 min) [52].

L'effetto trombolitico del t-PA è stato comparato con quello della streptokinasi e della urokinasi in vitro [53-56] ed in diversi modelli animali [30,57,58,59,62,63]. Tutti gli studi in vivo su animali hanno evidenziato che il t-PA è un agente trombolitico specifico per la fibrina che induce trombolisi senza causare un'attivazione sistemica del sistema fibrinolitico. Non furono osservate così alterazioni del fibrinogeno e dell'a2-antiplasmina o sanguinamento dopo somministrazione endovenosa negli animali.
La farmacocinetica del t-PA ricombinante a due catene (rt-PA; Genentech G11021) nell'uomo è stata studiata da vari gruppi. C'è una correlazione lineare tra la velocità di infusione (4-8.3 mcg/Kg/min) e la concentrazione plasmatica allo "steady state" di rt-PA (0.52-1.4 mcg/ml); l'emivita iniziale nel sangue è di 5.3±1.7 min (SD) [64]. In un altro studio furono adoperati tre differenti regimi di infusione di rt-PA (5.6, 8.3 e 10 mcg/Kg/min), con concentrazione allo "steady state" di 0.9-1.6 mcg/ml [65,66]. Infusioni di rt-PA di 10 mcg/Kg/min per trenta minuti non comportarono alterazioni del fibrinogeno. L'infusione di 5.6 mcg/Kg/min per 90 minuti determinò una riduzione del fibrinogeno sino al 62% dei valori di base (4.5 g/l). L'infusione di 8.3 mcg/Kg/min per 90 minuti determinò una riduzione del fibrinogeno pari al 45% dei valori di base (2.5 g/l) e la formazione dell'8.5% di prodotti di degradazione di fibrinogeno-fibrina. Il dosaggio del fibrinogeno con metodo sodio solfato evidenziò una diminuzione meno importante del fibrinogeno rispetto a quanto osservato col metodo della quantificazione dei coaguli [67]. L'attivazione del sistema fibrinolitico si osserva anche nel tubo test a meno che il sangue non venga posto in aprotinina; questo artefatto può essere prevenuto con l'uso di anticorpi monoclonali che inibiscono il legame del t-PA con la fibrina [68].

Il primo studio clinico fu effettuato con l'uso di t-PA purificato ottenuto dalla linea cellulare Bowes, preparato presso il centro di ricerca di Leuven [34]. La somministrazione di t-PA induceva la lisi completa di una trombosi renale ed ileofemorale formatasi da 6 settimane in un paziente che aveva subito un trapianto renale e in un paziente di 73 anni con sindrome nefrotica, masse trombotiche nella vena cava ed un'occlusione della vena renale destra. La terapia trombolitica non si accompagnava a consumo del fibrinogeno o di altri fattori della coagulazione [69]. Il primo studio in pazienti con infarto miocardico acuto è stato condotto con lo stesso t-PA purificato. La trombolisi coronarica venne ottenuta in sei dei sette pazienti con infarto miocardico in evoluzione con la somministrazione endovenosa od intracoronarica di 10-15 mg (0.25 mg/Kg) di t-PA in 20-50 minuti. I risultati vennero confermati angiograficamente [70]. In un paziente che non rispose al t-PA, la streptokinasi non fu in grado di indurre la lisi.

Il primo studio con rt-PA fu effettuato su 45 pazienti con occlusione coronarica ed infarto transmurale [71]. Tra i 33 pazienti trattati con 0.5-0.75 mg/Kg di rt-PA per via endovenosa, fu ottenuta la ricanalizzazione al controllo arteriografico effettuato dopo 90 minuti in 25 pazienti (75%). Il tempo medio richiesto per la ricanalizzazione fu di 46 minuti. In un paziente dei 14 trattati con placebo si osservò ricanalizzazione spontanea. I rimanenti 13 pazienti di controllo vennero confrontati con i 9 pazienti trattati con t-PA somministrato per via intracoronarica; in 9 pazienti (69%) la trombolisi fu ottenuta in un tempo medio di 23 minuti. A queste dosi si osservò una riduzione del fibrinogeno plasmatico dell'8%, ma senza raggiungere mai livelli inferiori a 100mg/dl. Questi promettenti risultati iniziali hanno stimolato in Europa e negli Stati Uniti la promozione di studi controllati e randomizzati su un maggior numero di pazienti infartuati. In uno studio aperto effettuato negli Stati Uniti il 65% di 25 pazienti con occlusione coronarica completa ottennero la riperfusione dell'arteria coronarica interessata dopo la somministrazione di 50 mg di rt-PA [72]. Successivamente il "National Institutes of Health" ha organizzato uno grosso studio multicentrico doppio-cieco randomizzato. Pazienti con IMA vennero trattati con rt-PA per via endovenosa (80 mg per 3 ore) o con streptokinasi (1.5 milioni di unità in 60 minuti). Dei 214 pazienti in cui era stata dimostrata un'occlusione totale dell'arteria coronarica interessata, 59 dei 99 pazienti (60%) trattati con rt-PA ottennero una riperfusione, rispetto ai 40 su 115 pazienti (35%) trattati con streptokinasi [73].

La coronarografia di controllo venne effettuata dopo l'infusione di 50 mg di rt-PA. Con dosi di 60 mg o meno e durata d'infusione di meno di 2 ore solo una media fibrinogenolisi (28% di riduzione rispetto ai valori di base) fu osservata in un sottogruppo di pazienti in questo vasto trial [74]. In uno studio clinico multicentrico europeo rt-PA (0.75 mg/Kg in 90 min) in 64 pazienti fu confrontato con la streptokinasi (1.5 milioni di unità in 60 min) in 65 pazienti con infarto acuto del miocardio da meno di 6 ore [75]. La riperfusione coronarica fu evidente nel 70% di pazienti dopo 75-90 min dall'inizio dell'infusione di t-PA e nel 55% dei pazienti del gruppo streptokinasi. Alla fine dell'infusione di rt-PA, i livelli di fibrinogeno circolante furono del 61 ±35 % dei valori di base. Episodi di sanguinamento e altre complicazioni furono meno frequenti nei pazienti in cui fu somministrato l'rt-PA rispetto ai pazienti che ricevettero la streptokinasi (21 contro 39 eventi). E' ovvio che il t-PA non interferisce sul fibrinogeno circolante ma non distingue la fibrina del trombo rispetto alla fibrina del coagulo. Recidive di trombosi costituiscono uno dei maggiori problemi della riperfusione coronarica con farmaci trombolitici. Si stima un'incidenza di riocclusione, documentata angiograficamente, del 9-46% durante i primi 10 giorni dopo trattamento trombolitico [27, 77]. La possibilità di mantenere un'infusione di rt-PA, per la prevenzione delle recidive precoci di trombosi, dopo l'iniziale ricanalizzazione è stata recentemente studiata in due gruppi di pazienti. Nei pazienti con l'80% o più di stenosi residua ed un'incidenza del 45% di riocclusioni precoci, un'infusione di rt-PA di 10 mg/h per le prime 4 ore ridusse significativamente l'incidenza di riocclusioni [78]. In un altro trial la frequenza di riocclusione da 6 a 12 ore dopo l'infarto fu solo dell'8%, con nessuna differenza fra i pazienti che ricevettero un'infusione di 30mg di rt-PA per 6 ore ed i controlli [77].

Urokinasi a catena singola - tipo attivatore del plasminogeno (scu-PA) o pro-urokinasi.

La pro-urokinasi è l'unico precursore dell'urokinasi secreto dalle cellule embrionali renali umane [79], che è convertita ad urokinasi a doppia catena da una idrolisi plasmatica [80]. Questo precursore è stato isolato e purificato indipendentemente da diversi gruppi di ricercatori [81-91]. Il gene dell'urokinasi umana è stato clonato e l'urokinasi a doppia catena è stato ottenuto da colture di Escherichia [92]. L'urokinasi a singola catena è ottenuta sia attraverso tecniche di ricombinazione del DNA [94] o attraverso la purificazione dell'urina umana [90]. L'urokinasi a catena singola non ha un'affinità specifica per la fibrina ma possiede potenti proprietà di attivare il plasminogeno. Il suo profilo farmacocinetico rende inappropriata la definizione di proenzima; ugualmente sembra la definizione di urokinasi a singola catena per le differenti proprietà farmacocinetiche rispetto all'urokinasi. Tuttavia una definizione più accurata è stata proposta per quest'enzima: urokinasi a singola catena - tipo attivatore del plasminogeno (scu-PA) [95]. scu-PA ha una bassa reattività con i substrati sintetici a basso peso molecolare [82, 84, 86, 87], non attiva significativamente il plasminogeno circolante in assenza di fibrina [56, 96] ma in aggiunta alla fibrina determina un'efficiente fibrinolisi senza determinare fibrinogenolisi. I componenti plasmatici competono con il plasminogeno nel legare lo scu-PA; la fibrina neutralizza questa inibizione competitiva ma ciò non sembra verificarsi attraverso uno specifico legame dello scu-Pa alla fibrina [94, 97]. Recentemente è stato proposto che lo scu-PA attiva selettivamente il plasminogeno legante la fibrina per la conformazione simile al plasminogeno in forma Lys [98]. La resistenza del plasminogeno nel plasma all'attivazione può essere attribuita alla sua forma Glu e all'effetto stabilizzante degli inibitori plasmatici e dei Ca2+. Ovviamente, la precisa interazione molecolare che regola l'attivazione fibrino-specifica del sistema fibrinolitico attraverso lo scu-PA deve essere ancora meglio definita.

Il turnover e la clearance dello scu-Pa e delle diverse forme di urokinasi sono stati studiati nei conigli e negli scoiattoli; l'iniziale emivita è di circa 3 min, grazie alla clearance epatica come principale meccanismo di rimozione ematico [99, 100]. Le forme molecolari naturali glicosilate e ricombinanti non glicosilate hanno un simile turnover [99, 100] e la loro clearance non è influenzata dagli inibitori delle proteasi plasmatiche. Nell'uomo, è stata riscontrata un'eliminazione bifasica dello scu-PA naturale con un'emivita plasmatica iniziale di 6 min [101].

Le proprietà fibrinolitiche e fibrinogenolitiche dello scu-PA naturale e ricombinante sono state confrontate con quelle dell'urokinasi nel sistema coagulativo umano in vitro [56, 96, 102] e nelle preparazioni di trombosi venose o arteriose nei conigli [96, 103], nei cani [96, 104, 105] e nei babbuini [106]. Una correlazione è stata osservata tra la velocità d'infusione e i livelli plateau plasmatici dello scu-PA.

Un più alto dosaggio d'infusione (20 mcg/Kg/min), con una concentrazione plasmatica stabile superiore a 6 ±2 mcg/ml fu mantenuta e si dimostrò una trombolisi efficace non accompagnata da attivazione del sistema fibrinolitico, depauperamento del fibrinogeno plasmatico o sanguinamento.

L'utilizzazione di scu-PA è attualmente limitata a pazienti con IMA. Lo scu-PA, isolato dalla linea cellulare dell'adenocarcinoma renale umano, venne somministrato in 6 pazienti con infarto miocardico acuto e conferma angiografica di occlusione totale dell'arteria coronarica interessata. La somministrazione endovenosa di 40mg di scu-PA in 60 minuti (10 mcg/Kg/min) consentì di conseguire la pervietà coronarica in 4 dei 6 pazienti. Nel 5° paziente un ulteriore infusione intracoronarica di scu-PA (20 mg) in 30 minuti determinò una riperfusione coronarica. Il 6° paziente si dimostrò resistente all'ulteriore somministrazione endovenosa di scu-PA (20 mg) e streptokinasi (250.000 U). In 1 paziente l'infusione di scu-PA comportò una riduzione dei valori del fibrinogeno al 25% rispetto ai valori di base. Negli altri 3 pazienti si osservò una discreta attivazione sistemica del sistema fibrinolitico, caratterizzata da una riduzione dell'a2-antiplasmina plasmatica del 50%, ma senza coinvolgimento del fibrinogeno. In un secondo studio in pazienti con IMA, fu adoperato uno scu-PA ricombinante [107]. In un gruppo di 6 pazienti fu somministrato un bolo di 10 mg seguito da 30 mg di scu-PA in un'ora; in 5 pazienti si osservò la ricanalizzazione dell'arteria coronarica corrispondente entro 34 ±10 minuti anche se si riscontrò una stenosi residua in 3 pazienti. La mediana dei valori di antigene plasmatico scu-PA era di 3.4 mcg/ml. Alla fine della prima ora di infusione l'a2-antiplasmina si ridusse al 52% dei valori di pre-infusione (range 22%-82%), il fibrinogeno (mediana) si ridusse all'86% (26-101%) ed i prodotti di degradazione del fibrinogeno erano 24 mcg/ml (mediana, range 8-387). In altri 6 pazienti lo scu-Pa fu somministrato per via endovenosa come bolo di 10 mg seguito da 60 mg infusi in un'ora. In 4 pazienti fu ottenuta la ricanalizzazione in 30 ±7 minuti. In uno dei pazienti riperfusi fu osservato un trombo coronarico residuo. In questo secondo studio i livelli mediani di plateau di scu-PA erano 8.8 mcg/ml; i livelli di a2-antiplasmina si ridussero al 30% dei valori basali, i livelli di fibrinogeno al 62% e quelli dei prodotto di degradazione a 55 mcg/ml. Non furono notati sanguinamenti importanti o effetti collaterali a breve termine. E' ovvio che con livelli di plateau di scu-PA attorno a 8.8 mcg/ml, può verificarsi un'attivazione sistemica del sistema fibrinolitico.

Sinergismo tra le proprietà trombolitiche di t-PA e di scu-PA.

Il meccanismo d'azione di t-PA e di scu-PA è differente. t-PA si lega direttamente alla fibrina e l'attivazione del plasminogeno legato alla fibrina è marcata [45], mentre scu-PA è in grado di fornire una diretta attivazione del plasminogeno in presenza o meno di fibrina. Comunque, nel plasma questo processo di attivazione è fortemente inibito ed è revertito solamente in presenza di fibrina, processo che avviene senza un diretto legame di scu-PA alla fibrina [94]. E' stato dimostrato solo un effetto additivo e non sinergico nel plasma umano studiato in vitro sia con scu-PA che con t-PA ricombinanti [94] o naturali [91]. Dosi "subtrombolitiche" di scu-PA e dosi trombolitiche di t-PA apparentemente migliorano la trombolisi; questo dato però sembra dovuto alla curva dose-risposta non lineare di scu-PA. In una trombosi giugulare sperimentale nel coniglio fu osservato un sinergismo nella trombolisi tra t-PA e scu-PA e tra t-PA e Urokinasi [108]. Non vi era effetto sinergico tra scu-PA e urokinasi in una stessa preparazione trombotica ben caratterizzata. Risultati preliminari indicano che t-PA e scu-PA e t-PA e urokinasi hanno inoltre un'azione sinergica in pazienti con IMA [109]. Sono state usate dosi ridotte di t-PA (10 mg), scu-PA (3 mg) o urokinasi(300000 U) ottenendo una riperfusione coronarica entro 50 minuti. Queste dosi sono considerevolmente più basse di quelle comunemente adoperate per t-PA e scu-PA somministrati singolarmente. Questo sinergismo non è associato ad un interessamento del sistema fibrinolitico. L'uso combinato di agenti trombolitici sinergici consente una riduzione significativa delle dosi somministrate e un ulteriore riduzione del rischio di fibrinogenolisi.

 

_______________________________________________________

ANESTESIA PER LA CHIRURGIA DELL'AORTA ADDOMINALE
_______________________________________________________

J.F.Baron

PUNTI ESSENZIALI

  • L'operato di aorta addominale è per definizione un paziente coronaropatico che trae beneficio da una chirurgia maggiore.
  • La frequenza di insorgenza di episodi ischemici miocardici, con le loro conseguenze, giustificano l'utilizzazione di metodi di monitoraggio che consentono l'individuazione rapida dell'ischemia miocardica.
  • L'analisi del segmento ST ha dei presupposti tecnici importanti e suppone un'utilizzazione e un'interpretazione corretta.
  • Le variazioni di pressione arteriosa sistolica in corso di ventilazione artificiale sono indicatori sensibili delle variazioni di precarico ventricolare sinistro.
  • Le variazioni di pressione arteriosa sistolica in corso di ventilazione artificiale permettono di distinguere un'ipovolemia o un'emorragia da una ipotensione senza diminuzione della portata cardiaca (vasodilatazione arteriosa).
  • Nell'insufficienza cardiaca, o in caso di complicazioni cardiovascolari, l'ecocardiografia transesofagea può rivelarsi utile a completamento del cateterismo dell'arteria polmonare, soprattutto per ottimizzare il riempimento vascolare.
  • La somministrazione di dosi medie di fentanyl in associazione con etomidate o benzodiazepine altera poco la funzione ventricolare sinistra e permette di ridurre l'incidenza di episodi di ischemia miocardica peroperatoria.
  • Quando si somministra a piccole concentrazioni in associazione con morfinici e protossido d'azoto, l'isoflurane è l'agente ideale per mantenere l'anestesia e non deve fare temere il verificarsi di un "furto coronarico".
  • L'anestesia peridurale toracica associata all'anestesia generale non riduce la morbidità respiratoria e cardiaca. Tuttavia, l'analgesia peridurale postoperatoria potrebbe esercitare degli effetti benefici.
  • Il trattamento degli episodi di ischemia miocardica deve tenere conto delle modificazioni emodinamiche associate.

INTRODUZIONE

La scelta della tecnica di anestesia suppone la valutazione dei mezzi di monitoraggio da utilizzare e delle tecniche di anestesia propriamente dette. Di fatto, l'evoluzione di queste tecniche è stata dominata dai progressi tecnologici, dalla possibilità di individuazione precoce dell'ischemia miocardica, dal cateterismo arterioso polmonare, dall'ecocardiografia transesofagea, che hanno permesso di stabilire i mezzi più adatti a questo tipo di chirurgia.

La frequenza di insorgenza di episodi d'ischemia miocardica, con le loro conseguenze (turbe del ritmo, alterazione della funzione ventricolare sinistra, necrosi miocardica [10,7], giustifica l'utilizzazione di metodi di monitoraggio che ne permettano l'individuazione. Durante il periodo perioperatorio, le variazioni emodinamiche legate al clampaggio aortico e alle modificazioni della volemia costituiscono una preoccupazione essenziale nella sorveglianza del paziente. I mezzi di monitoraggio clinico sono la base di tale sorveglianza e saranno generalmente completati con mezzi di monitoraggio più o meno invasivi e sofisticati. Tuttavia, un'analisi critica di questi mezzi di monitoraggio e dei parametri misurati è indispensabile, poiché la probabilità delle complicazioni legate a una cattiva interpretazione dei dati non è trascurabile.

Riguardo la scelta della tecnica di anestesia, sempre attuale è il dibattito sui vantaggi delle tecniche di anestesia locoregionale, peridurale toracica associata all'anestesia generale leggera, rispetto all'anestesia generale bilanciata.


1. MONITORAGGIO CARDIOVASCOLARE DELL'OPERATO DI AORTA ADDOMINALE

1.1. INDIVIDUAZIONE DELL'ISCHEMIA MIOCARDICA

Numerosi lavori hanno insistito sull'incidenza delle necrosi o recidive di necrosi miocardica postoperatoria. Nei pazienti con un antecedente di infarto del miocardio, la frequenza di necrosi miocardica postoperatoria è più elevata che negli altri malati. Più recentemente, Rao e coll., utilizzando dei mezzi di monitoraggio invasivo, una sorveglianza prolungata del paziente in una unità di terapia intensiva e un trattamento rapido delle anomalie emodinamiche ed elettrocardiografiche, hanno osservato una diminuzione sostanziale delle recidive delle necrosi postoperatorie [42]. Studi più recenti sembrano suggerire che potrebbe eventualmente esistere un legame di causalità tra il verificarsi di episodi di ischemia miocardica postoperatoria e la frequenza di complicazioni cardiache come l'infarto o l'insufficienza del ventricolo sinistro. Questi dati epidemiologici sottolineano l'importanza dell'individuazione e del trattamento dell'ischemia miocardica [30].

La diffusione dei monitors che effettuano una analisi continua delle turbe di ripolarizzazione permette, alla maggior parte dei malati operati di aorta addominale, di beneficiare di questo tipo di monitoraggio. L'analisi automatizzata dell'ECG, al fine di individuare il sottoslivellamento del segmento ST, segno di ischemia miocardica, necessita di un'analisi informatizzata. Questa tecnica fa ricorso a una digitalizzazione dell'ECG [5]. La conversione analogica-digitale non deve deformare il segnale ECG e necessita di una frequenza rapida di campionamento e di possibilità estese di stoccaggio. Questa è la ragione per cui l'American Heart Association raccomanda per la digitalizzazione dell'ECG un convertitore a 8 bits e un campionamento ad una frequenza minima di 250 campioni/secondo. Infatti, gli apparecchi attualmente sul mercato hanno delle caratteristiche nettamente superiori a quelle descritte. Il trattamento del segnale acquisito ha per obiettivo il riconoscimento dei complessi ECG e l'analisi morfologica che permette di fissare dei punti di repere che facilitano l'effettuazione della "media" e l'eliminazione dei rumori di fondo [4]. Sui monitors generalmente utilizzati in sala operatoria, l'utilizzazione di filtri ad alta e bassa frequenza permette certo di ottenere un tracciato stabile, ma non permette l'analisi corretta del segmento ST, poiché essi modificano la ripolarizzazione [19]. Secondo i costruttori, questo problema è più o meno ben risolto con la digitalizzazione del segnale, eliminando gli artefatti e le turbe del ritmo dall'analisi del segmento ST, "facendo una media" del segnale ECG e procedendo a un filtraggio minimo.
Le caratteristiche elettrocardiografiche dell'ischemia miocardica sono state stabilite a partire dalle modificazioni del segmento ST osservate sotto sforzo e a riposo in soggetti normali e in malati portatori di stenosi coronariche documentate. L'ischemia miocardica è definita da un sottoslivellamento anormale del segmento ST, i cui criteri sono differenti a seconda che si tratti di un segmento ST orizzontale, ascendente o discendente. Il caso più tipico, il meno discutibile e il più frequente è il sottoslivellamento orizzontale del segmento ST, che è definito in rapporto alla linea isoelettrica da un sottoslivellamento di più di 1mm misurato dopo 0.06sec dopo il punto J [19]. Secondo gli autori, più criteri sono stati proposti per definire il sottoslivellamento ascendente: sottoslivellamento di più di 2mm misurato dopo 0.06sec dopo il punto J, sottoslivellamento di più di 1mm misurato dopo 0.08sec dopo il punto J, sottoslivellamento di più di 2mm misurato dopo 0.08sec dopo il punto J [19], sottoslivellamento di più di 1mm misurato 0.06sec dopo il punto J con una pendenza in rapporto all'orizzontale inferiore a 30°. I sottoslivellamenti discendenti pongono meno problemi e sono definiti sia come sottoslivellamenti orizzontali, sia come un sottoslivellamento di più di 1mm misurato al primo cambiamento di pendenza del segmento ST dopo il punto J. I sopraslivellamenti del segmento ST, traducendo una ischemia transmurale (spesso dovuta a spasmo), sono definiti come un sopraslivellamento di più di 1, 1.5 o 2mm del segmento ST [19]. L'ampiezza delle modificazioni osservate è proporzionale alla massa miocardica ischemica [15]. E' stata messa in evidenza una relazione tra il tipo di sottoslivellamento e l'importanza dell'ischemia: un sottoslivellamento ascendente tradurrebbe un'ischemia iniziale, un sottoslivellamento discendente sarebbe più grave di un sottoslivellamento orizzontale e testimonierebbe potenzialmente un'ischemia transmurale [15]. Diversi monitors realizzano un'analisi automatizzata, provvista di allarmi del segmento ST . Questa analisi necessita il repertamento del segmento ST e della linea isoelettrica. Tuttavia, differenze esistono fra le modalità di cui si serve il monitor per questi repertamenti: in alcuni monitors, dei cursori che materializzano la linea isoelettrica e il punto dove è misurato il sottoslivellamento, sono posizionati in rapporto alla sommità dell'onda R, altri repertano effettivamente il punto J. Si ritiene che quest'ultimo metodo sia preferibile. In più, l'esistenza di un'analisi delle turbe del ritmo accoppiata all'analisi del segmento ST faciliterebbe l'analisi del segmento ST, escludendo le extrasistoli ventricolari. Bisogna sottolineare che la specificità dei segni di ischemia è eccellente, ma non è assoluta. Così sono stati riporatati dei sottoslivellamenti del segmento ST indotti da cambiamenti di postura o dall'iperventilazione in soggetti normali. Queste modificazioni legate alla postura o all'iperventilazione sarebbero più frequenti nei pazienti che hanno di base delle anomalie aspecifiche dell'onda T. Una ipertrofia ventricolare sinistra, un blocco di branca sinistra o una sindrome di Wolff-Parkinson-White rendono impossibile l'analisi del segmento ST. Certi farmaci (digitalici) o certe turbe metaboliche possono indurre delle modificazioni della ripolarizzazione che perturbano l'analisi del segmento ST. Gli studi realizzati in corso di prove da sforzo hanno permesso di dimostrare che le derivazioni precordiali hanno una migliore sensibilità delle derivazioni periferiche. Di tutte le derivazioni la derivazione V5 è la più sensibile. Mason e coll. hanno confermato questi dati mostrando che le derivazioni V4-V5-V6 sono le più sensibili e che la derivazione D1 è la meno sensibile [31]. Se alcuni autori hanno insistito sulla buona correlazione che esiste tra il sito della stenosi coronarica e la derivazione dove è visualizzata l'anomalia [44], la diagnosi topografica a partire dai dati ECG resta limitata [16]. Su queste basi, Kaplan e King hanno raccomandato in pazienti coronarici un monitoraggio ECG che preveda due derivazioni: D2 per l'analisi delle turbe del ritmo e la sorveglianza del territorio posteriore, V5 per la diagnosi di ischemia nel territorio antero-laterale [24]. Il monitoraggio di queste due derivazioni necessita l'utilizzazione di un cavo a 5 elettrodi ed è divenuto il "Gold standard" del monitoraggio ECG nel paziente coronarico. Tuttavia, l'esistenza di numerosi cardioscopi di sala operatoria provvisti di un cavo a tre elettrodi ha portato alla utilizzazione di derivazioni bipolari equivalenti alla derivazione V5, di cui le più conosciute sono le derivazioni CS5, CM5 e CC5. Uno studio recente ha rivalutato, nel contesto del blocco operatorio, la sensibilità delle differenti derivazioni a fronte dell'individuazione dell'ischemia e ha mostrato che la derivazione V5 è proprio quella che ha la più forte sensibilità per l'individuazione dell'ischemia: il 75% di episodi di ischemia aventi una traduzione elettrica sono rilevati da questa derivazione [28]. Il monitoraggio delle derivazioni D2 e V5 aumenta di poco la sensibilità (80%). Il monitoraggio e l'analisi del segmento ST su 3 derivazioni (D2, V4 e V5), come è consentito dai moderni monitors, aumentano la sensibilità fino al 96%. L'attuale tecnologia, quindi, permette una individuazione affidabile e sensibile dell'ischemia miocardica. Questo tipo di monitoraggio ha dei canoni tecnici importanti e la sua utilizzazione suppone un posizionamento corretto degli elettrodi e la sorveglianza di più derivazioni.

1.2 MONITORAGGIO EMODINAMICO

L'ipovolemia è frequente durante il periodo perioperatorio ed essa è generalmente conseguenza delle perdite ematiche. Nel soggetto cosciente, l'ipovolemia è caratterizzata inizialmente da una vasocostrizione periferica predominante a livello del territorio splancnico. A uno stadio più grave, le pressioni di riempimento, la portata cardiaca e la diuresi si riducono. Con un'ipovolemia maggiore compare un'ipotensione arteriosa. L'anestesia altera considerevolmente la risposta dell'organismo all'ipovolemia. Sperimentalmente, è stato dimostrato che per una emorragia progressiva, la pressione arteriosa è a lungo mantenuta nell'animale cosciente, mentre nell'animale anestetizzato, la caduta della pressione arteriosa è proporzionale all'emorragia [52]. Questa risposta alterata all'ipovolemia è la conseguenza degli effetti dei farmaci anestetici sul sistema cardiovascolare: alterazione del sistema dei baroriflessi, diminuzione del tono simpatico per azione sui centri e sui recettori periferici. Il semplice controllo delle perdite ematiche è spesso sufficiente a stabilire la diagnosi di ipovolemia. Tuttavia, le perdite ematiche sono spesso sottostimate e/o insufficientemente compensate; la diagnosi di ipovolemia può essere allora più delicata. Alcuni dati clinici possono aiutare a fare diagnosi: il pallore delle mucose, la scomparsa del normale turgore delle giugulari esterne, la torpidità del polso capillare. L'ipotensione arteriosa e la tachicardia sono classicamente descritte come i segni essenziali dell'ipovolemia peroperatoria. Tuttavia, questi segni possono essere totalmente assenti, anche in caso di riduzione importante della massa ematica. Perel e coll. hanno anche mostrato che nel cane anestetizzato (tiopentone, alotano 1%), una riduzione del 30% della massa ematica realizzata progressivamente con salassi successivi si associa a delle variazioni molto piccole della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca [36]. In più, queste variazioni non sono correlate all'importanza del sanguinamento. In effetti, numerosi fattori influenzano la frequenza cardiaca durante il periodo peroperatorio: farmaci anestetici tachicardizzanti (enflurane, isoflurane, ketamina, pancuronio) o bradicardizzanti (alotano, morfinici, vecuronio), scarica catecolaminica conseguente ad una superficializzazione dell'anestesia od a stimoli nocicettivi. Possiamo anche dire che l'aumento della frequenza cardiaca, spesso osservata nei pazienti anestetizzati, traducono eccezionalmente un'ipovolemia. Le variazioni cicliche della pressione arteriosa con la ventilazione in pressione positiva intermittente sono un fenomeno conosciuto, reso di nuovo attuale da recenti studi. L'aumento di pressione intratoracica in corso di ventilazione a pressione positiva intermittente modifica diversi fattori determinanti la portata cardiaca e più particolarmente il precarico e il postcarico. L'aumento di pressione intratoracica in corso di ventilazione artificiale ha due effetti principali sul precarico: da una parte il precarico del ventricolo destro diminuisce in modo proporzionale all'aumento della pressione atriale destra, dall'altra il precarico del ventricolo sinistro aumenta per compressione dei vasi intrapolmonari. Quando la pressione intratoracica ritorna al suo valore telespiratorio, si osservano gli effetti inversi. La ventilazione artificiale induce ugualmente delle variazioni del postcarico, che possono riassumersi in una diminuzione del postcarico ventricolare sinistro che facilita la gittata. Queste variazioni di precarico determinano delle variazioni di portata dei ventricoli destro e sinistro, mostrati dalla curva di pressione arteriosa. All'inizio dell'insufflazione polmonare, la pressione arteriosa sistemica aumenta per afflusso di sangue venoso polmonare, poi diminuisce per caduta del ritorno venoso cavale. Le modificazioni della pressione arteriosa durante il ciclo respiratorio sono quantificate dalla "variazione di pressione sistolica", che è la differenza tra la pressione arteriosa sistolica massima e minima durante il ciclo respiratorio. Coyle e coll. poi Perel e coll. hanno precisato questo segno mostrando che la differenza tra i valori massimi e minimi della pressione arteriosa durante il ciclo respiratorio aumenta in corso di ipovolemia, poi diminuisce dopo riempimento vascolare [11, 36].

In corso di ipovolemia, il precarico ventricolare sinistro è estremamente dipendente dalle variazioni del ritorno venoso e ogni insufflazione polmonare determina delle variazioni molto significative della portata cardiaca e della pressione arteriosa. La correlazione tra le variazioni di pressione capillare polmonare e della massa ematica è significativa ma modesta. Invece, non è stata riscontrata alcuna correlazione con le variazioni della pressione arteriosa media, della frequenza cardiaca e della pressione venosa centrale. Nei pazienti sottoposti a chirurgia del rachide in ipotensione controllata, è stato mostrato che la comparsa di una variazione di pressione sistolica superiore a 15mmHg durante l'intervento, era associata a una caduta della portata cardiaca [38]. Rimane aperta una questione: le variazioni di pressione arteriosa permettono di distinguere le ipotensioni con caduta della portata cardiaca legate ad ipovolemia, da quelle dovute ad insufficienza cardiaca? Bisogna segnalare che certe situazioni con una pressione intrapleurica inspiratoria elevata favoriscono o maggiorano le variazioni di pressione arteriosa sistolica. Dei volumi correnti anormalmente elevati, una compliance toracica ridotta, una compliance polmonare aumentata, una PEEP o un auto-PEEP possono essere associati a una variazione di pressione sistolica anormalmente elevata. Queste situazioni implicano, infatti, un'ipovolemia relativa, in rapporto alle condizioni di ventilazione artificiale. E in modo più generale, si può dire che le variazioni di pressione sistolica non permetterebbero di distinguere una ipovolemia assoluta da una ipovolemia relativa con caduta della portata cardiaca consecutiva alla somministrazione di un farmaco vasodilatatore. Certo, la variazione di pressione arteriosa sistolica e le sue componenti non sono direttamente misurate dai monitors. Alcuni monitors provvisti di cursori nel programma di misura di pressione permettono di misurare sullo schermo la variazione di pressione sistolica e delle sue componenti. Al di fuori dei monitors provvisti di questo programma con cursori, è necessaria una registrazione su carta a piccola velocità per la misura di questi parametri. La misura delle componenti della variazione di pressione sistolica è realizzata in rapporto alla PAS in apnea (senza deconnettere il malato dal respiratore) o determinando la PAS telespiratoria con una frequenza respiratoria molto bassa (2-3 cicli/min) in modo da eliminare le variazioni legate all'esistenza di una PEEP o di un auto-PEEP
La misura della pressione venosa centrale per lungo tempo è stata raccomandata per guidare il riempimento vascolare. Nel soggetto a cuore sano, esiste una correlazione tra la pressione atriale sinistra e la pressione venosa centrale. In pratica, una buona correlazione, ma non un'identità, è stata osservata fino a che la pressione venosa centrale resta inferiore a 7mmHg. Quando la pressione venosa centrale è superiore a 7mmHg, la pressione di riempimento del ventricolo sinistro è imprevedibile e non si può dedurre alcuna interpretazione pertinente. Questa difformità tra la pressione destra e sinistra è aumentata dall'esistenza di una cardiopatia [29]. Pertanto la misura della pressione venosa centrale non è raccomandata per il monitoraggio dei malati operati sull'aorta addominale.

Il catetere arterioso polmonare nei modelli più recenti permette di misurare le pressioni arteriose polmonari, la pressione capillare polmonare, la portata cardiaca e la saturazione del sangue venoso misto. Una cattiva interpretazione od una cattiva qualità delle informazioni fornite da questi cateteri può condurre a degli atteggiamenti terapeutici inappropiati e non privi di complicazioni. Conviene anche ricordare i limiti di questo tipo di monitoraggio. Il fondamento del cateterismo destro è basato sulla sua capacità di valutare le variazioni della funzione ventricolare sinistra. E' generalmente ammesso, nel soggetto normale, che la pressione diastolica dell'arteria polmonare (PDAP), la pressione incuneata media (PCP), la pressione media atriale sinistra (PAtrS) e la pressione telediastolica del ventricolo sinistro (PTDVS) sono uguali [53]. La misura esatta di queste pressioni a livello del piccolo circolo è di una difficoltà estrema. Così, la definizione di uno zero idrostatico di riferimento è un problema delicato, in particolare durante il periodo peroperatorio. Infatti, esso è correttamente definito in decubito dorsale stretto in corrispondenza del punto di mezzo del diametro antero-posteriore del torace al quarto spazio intercostale. Durante il periodo operatorio, le modificazioni dell'inclinazione del piano chirurgico o il posizionamento di divaricatori possono modificare il ritorno venoso e la posizione di questo zero di riferimento. Soprattutto i reperi anatomici abituali non hanno probabilmente più senso, considerato che i cambiamenti di postura come il decubito laterale destro possono alterare la misura delle pressioni polmonari modificando lo zero di riferimento. I cambiamenti di postura modificano la posizione del catetere in rapporto alle differenti zone di West [54]. In zona di III di West, la pressione arteriolare è superiore alla pressione venosa, la quale è superiore alla pressione alveolare. Quando il catetere è situato in questa zona, la misura della PCP è corretta e la pressione arteriosa polmonare risulta moderatamente sovrastimata. In zona I di West, la pressione alveolare è superiore alla pressione arteriolare e alla pressione venosa. Quando la punta del catetere è situata in questa zona è la pressione alveolare che viene misurata. In zona II di West, la pressione arteriolare è superiore alla pressione alveolare, la quale è superiore alla pressione venosa. Le misure di pressione capillare e arteriosa polmonare sono soggette alle stesse difficoltà che in zona I. Il punto importante è che un catetere, correttamente posizionato in decubito dorsale, può essere situato in zona I o II dopo posizionamento del paziente in decubito laterale. L'ipovolemia e le variazioni delle pressioni arteriolari e venulari che l'accompagnano possono ugualmente provocare il passaggio del catetere dalla zona III verso le zone I o II. Le variazioni delle pressioni vascolari intratoraciche durante il ciclo respiratorio aggiungono una difficoltà supplementare [33, 51]. Le pressioni misurate in rapporto alla pressione atmosferica sono le pressioni intracavitarie. Durante la ventilazione a pressione positiva, le pressioni intracavitarie aumentano durante l'inspirazione, mentre i volumi ventricolari diminuiscono. In ventilazione spontanea si osservano gli effetti inversi. Di conseguenza, le pressioni intracavitarie sono dei mediocri indicatori della pressione transmurale. Alla fine dell'espirazione, la pressione intratoracica e la pressione atmosferica sono poco differenti in assenza di PEEP; le pressioni intracavitarie misurate sono allora vicine alla pressione transmurale. Alcuni monitors identificano automaticamente il punto teleespiratorio, semplicemente sulla differenza di durata delle fasi inspiratoria ed espiratoria. Al di fuori di queste difficoltà tecniche, certe patologie e in particolare la patologia mitralica e le turbe di compliance ventricolare sinistra possono ostacolare la misurazione della pressione capillare polmonare. Difatti, la PCP apprezza indirettamente il precarico ventricolare sinistro rappresentato dal volume telediastolico ventricolare sinistro. Ora, la relazione pressione-volume diastolica non è lineare ma curvilinea. La conseguenza della non linearità della relazione pressione-volume del ventricolo sinistro è che, nel soggetto normale, una diminuzione importante del precarico del ventricolo sinistro può essere associata a una piccola diminuzione della PTDVS o della PCP. Invece, nell'insufficiente cardiaco, in cui la compliance ventricolare sinistra è alterata, un piccolo aumento o diminuzione della PTDVS o della PCP è associato a piccolissime variazioni del volume telediastolico. Ciò permette di insistere sulla necessità, nell'insufficiente cardiaco, al fine di valutare il precarico del ventricolo sinistro, di misurare la PCP e la portata cardiaca. Infatti, a postcarico e frequenza cardiaca costanti, una diminuzione importante della PCP con mantenimento della portata cardiaca traduce generalmente una ipovolemia moderata. La riduzione della PCP limita il rischio congestizio. Per contro, una diminuzione di PCP associata a una riduzione della portata cardiaca traduce una ipovolemia più grave e spesso mal tollerata da questi pazienti. In altre parole, nell'insufficiente cardiaco il margine è spesso stretto tra l'ipovolemia ben tollerata che diminuisce il rischio congestizio e l'ipovolemia con bassa portata e quindi mal tollerata; da qui la necessità in questi pazienti di misure ripetute della portata cardiaca.

La misurazione della portata cardiaca è anch'essa non priva di errori, generalmente legati a imprecisioni nell'applicazione della metodica [23]: inomogenea mescolanza tra il sangue e l'indicatore ghiacciato, perdita di indicatore tra il sito di iniezione e il sito di rilevamento, portata cardiaca incostante. Quest'ultima causa di errore è frequente in corso di ventilazione artificiale, di aritmie, di insufficienze valvolari e di shunts intracardiaci. Le variazioni di portata cardiaca durante il ciclo respiratorio, già precedentemente discusse, sono largamente documentate dalle misurazioni continue della portata aortica. Differenti accorgimenti sono stati proposti per superare questo problema. Una prima modalità è quella di raccomandare l'iniezione in un determinato momento del ciclo respiratorio e in particolare durante la fase teleespiratoria. Ciò necessita una precisa sincronizzazione e non permette una misura della portata cardiaca media durante un ciclo respiratorio. Un altro metodo consiste nel "fare la media" di differenti misure ottenute in momenti variabili del ciclo respiratorio. La precisione della misurazione aumenta con il numero delle misure comprese nella "media" ma i migliori risultati sono ottenuti con quattro misure scaglionate a intervalli regolari nel ciclo respiratorio con un iniettore automatico [23].

Il ruolo dell'ecocardiografia transesofagea nel monitoraggio degli operati sull'aorta addominale resta discusso. Nella nostra esperienza, ad eccezione dei pazienti con insufficienza cardiaca, non è utilizzata come monitoraggio né della funzione ventricolare sinistra, né della cinetica segmentaria; invece, è utilizzata puntualmente se vi è una complicazione cardiovascolare con lo scopo di chiarire un'anomalia emodinamica. L'incidenza più spesso usata è la sezione piccolo asse del ventricolo sinistro passante per i pilastri della valvola mitrale. Le superfici telesistoliche (STS) e telediastoliche (STD) vengono delimitate e calcolate su più cicli cardiaci, permettendo il calcolo di una frazione di accorciamento di superficie (FEs) perfettamente correlata alla frazione di eiezione misurata con angioscintigrafia [8]. Più lavori hanno confermato l'eccellente riproducibilità e affidabilità delle misurazioni [1,26]. Il precarico del ventricolo sinistro può essere valutato sia direttamente dalla superficie telediastolica sia attraverso il calcolo del volume telediastolico. Durante chirurgia dell'aorta addominale, il confronto dei dati ecocardiografici ed emodinamici è utile nei pazienti con insufficienza cardiaca, poiché permette una migliore valutazione del precarico ventricolare sinistro e l'ottimizzazione del riempimento vascolare. Le misure delle velocità con il doppler esofageo permettono teoricamente di disporre di informazioni complementari. Si tratta essenzialmente della misurazione del flusso transmitrale o del flusso polmonare. La misura del flusso transmitrale è difficile in corso di ventilazione a pressione positiva intermittente a causa dello spostamento delle strutture cardiache con la ventilazione. La misura del flusso venoso polmonare è generalmente realizzata a livello della vena polmonare inferiore sinistra, subito prima del suo sbocco nell'atrio sinistro. Questa misurazione ha gli stessi limiti per quanto riguarda le interferenze con la ventilazione, cui conviene aggiungere il problema dell'eterogeneità del ritorno venoso polmonare. In pratica, la misura di questi parametri sembra difficile e di scarso aiuto nel contesto peroperatorio.
In conclusione, il monitoraggio cardiovascolare degli operati di aorta addominale comporta idealmente un monitoraggio ECG con analisi del segmento ST, una pressione arteriosa cruenta e un catetere arterioso polmonare. Nell'insufficiente cardiaco o in caso di complicazioni cardiovascolari, l'ecocardiografia esofagea, può rivelarsi utile, in particolare per ottimizzare il riempimento vascolare.

2. SCELTA DELLA TECNICA DI ANESTESIA

2.1. ANESTESIA GENERALE

La tecnica di induzione ideale deve avere un effetto limitato sulle condizioni di carico e sulla contrattilità ventricolare sinistra e non deve interferire sul consumo miocardico di ossigeno. In più, essa deve attenuare la risposta catecolaminergica all'intubazione tracheale. Benché la maggior parte degli agenti di induzione diminuiscono il consumo miocardico di ossigeno, essi diminuiscono ugualmente l'inotropismo, il precarico e il postcarico del ventricolo sinistro. Il tiopentale, quando è somministrato in bolo per l'induzione, provoca una caduta significativa della frazione di eiezione del ventricolo sinistro, malgrado una caduta concomitante del postcarico [4]. Inoltre, esso non limita la risposta emodinamica all'intubazione [6]. Ciò spiega l'incidenza elevata di episodi di ischemia correlati all'intubazione dopo questo tipo di induzione [9]. Perciò, il tiopentale non dove essere somministrato come unico agente di induzione nel paziente coronarico. Il propofol ha l'inconveniente teorico di indurre ipotensione arteriosa per vasodilatazione arteriolare.
La somministrazione di alte dosi di fentanyl, largamente utilizzato in chirurgia cardiaca, preserva la funzione ventricolare sinistra, evitando le perturbazioni emodinamiche legate all'induzione e all'intubazione [10]. Tuttavia, questa tecnica d'induzione non può essere proposta in chirurgia dell'aorta addominale, per la durata prolungata dell'assistenza respiratoria che essa comporta.
La somministrazione di dosi medie di fentanyl, 6-8mcg.Kg-1 è stata proposta in associazione con una dose ridotta di un agente ipnotico, come il tiopentale, l'etomidate o le benzodiazepine. Questo tipo di induzione altera poco la funzione ventricolare sinistra e limita lo stimolo nocicettivo dell'intubazione [13]. Tuttavia, la caduta delle resistenze vascolari sistemiche, essa può essere responsabile di una caduta notevole della pressione arteriosa sistolica, da temere nei pazienti che hanno di base un tono simpatico elevato.
Nei pazienti coronarici, sottoposti a chirurgia dell'aorta addominale, la somministrazione di 8mcg.Kg-1 di fentanyl permette di ridurre l'incidenza di episodi di ischemia all'intubazione, senza comunque eliminarla totalmente [14]. Quando si somministra una dose inferiore di fentanyl (<5mcg.Kg-1), i vantaggi di questa procedura scompaiono. Così, una dose di fentanyl di 3mcg.Kg-1 all'induzione dell'anestesia è insufficiente per assicurare una buona stabilità emodinamica al momento dell'intubazione. Nello studio di Fusciardi e coll.[17], quattro dei sei pazienti affetti da angor sottoposti ad un intervento di chirurgia vascolare, hanno presentato al momento dell'intubazione un sottoslivellamento del segmento ST dopo un'induzione con tiopentale e 3mcg.Kg-1 di fentanyl.

Stone e coll. hanno proposto la somministrazione di betabloccanti per via orale durante la premedicazione e hanno osservato una riduzione dell'incidenza degli episodi di ischemia al momento dell'intubazione [49]. In effetti, essendo brevi le perturbazioni emodinamiche indotte dall'intubazione, sembra preferibile somministrare un betabloccante cardio-selettivo ad azione ultrabreve per via endovenosa, come l'esmololo. Nei pazienti sottoposti a endoarteriectomia carotidea, Cucchiara e coll. hanno mostrato che la perfusione di esmololo [500mcg.Kg-1 per 4 min. poi 300mcg.Kg-1 per 8 min.) prima di un'induzione con tiopentale era efficace per assicurare una buona stabilità emodinamica durante l'intubazione [13]. I possibili effetti collaterali dei betabloccanti hanno condotto Fusciardi e coll. a preferire la somministrazione di trinitrina nei pazienti coronarici non sottoposti a terapia con betabloccanti da molto tempo [17]. La perfusione di trinitrina era iniziata a un'infusione di 0.9mcg.Kg-1.min-1 prima dell'induzione dell'anestesia con tiopentale, fentanyl (3mcg.Kg-1) e pancuronio. Parallelamente era effettuata un'espansione volemica in modo da evitare la comparsa di una tachicardia riflessa. Questo accorgimento è stato molto efficace nel limitare il numero di episodi di ischemia al momento dell'intubazione.
I curari hanno scarsi effetti emodinamici. Episodi di ischemia miocardica consecutivi a un aumento della frequenza cardiaca (fc) sono stati riportati dopo induzione dell'anestesia con alte dosi di fentanyl in associazione con pancuronio in pazienti sottoposti a confezionamento di by-pass aortocoronarico [20]. Tuttavia, la somministrazione di pancuronio dopo un'induzione con una benzodiazepina e del fentanyl provoca un aumento moderato della fc. Alcuni autori preferiscono utilizzare il bromuro di vecuronio, che non modifica la frequenza cardiaca.

I morfinici e gli agenti anestetici volatili alogenati sono stati proposti come farmaci di mantenimento dell'anestesia [21]. Il fentanyl possiede delle proprietà interessanti nel paziente coronarico. Esso mantiene una buona stabilità emodinamica e non altera la funzione ventricolare sinistra. Comunque, la sua utilizzazione nel coronaropatico come unico agente di mantenimento dell'anestesia non è scevra di inconvenienti:

L'anestesia bilanciata, con associazione di morfinici e alogenati, sembra preferibile per il mantenimento dell'anestesia nei pazienti coronarici [22, 25]. Gli anestetici alogenati presentano il vantaggio di limitare l'aumento della fc e della pressione arteriosa, e del rilascio di ormoni vasoattivi a seguito di stimolazioni nocicettive chirurgiche. L'alotano e l'enflurane riducono la fc e normalizzano la pressione arteriosa riducendo la portata cardiaca [27]. L'aumento della frazione inspirata di alotano o di enflurane durante un episodio d'ischemia consecutivo a una stimolazione nocicettiva chirurgica permette una normalizzazione rapida della pressione arteriosa, della PCP, del tasso plasmatico di noradrenalina e la scomparsa di anomalie elettrocardiografiche. L'isoflurane è anche largamente usato per approfondire l'anestesia per stimoli chirurgici [32]. La sua azione è più facilmente modulabile di quella dell'alotano e il suo effetto sulla funzione ventricolare sinistra è più favorevole. Esso diminuisce le resistenze vascolari sistemiche e migliora lo svuotamento sistolico del ventricolo sinistro. Parallelamente, la PCP diminuisce, e ciò riduce la tensione parietale ventricolare sinistra migliorando così la perfusione degli strati sottoendocardici. Quando l'isoflurane è utilizzato per il controllo degli aumenti tensivi o per il clampaggio dell'aorta addominale, il suo effetto vasodilatatore arterioso predomina largamente sul suo effetto inotropo negativo, giustificando il miglioramento dello svuotamento sistolico ventricolare. Il bilancio energetico del miocardio è così nettamente migliorato [34]. Tuttavia, l'isoflurane può, se diminuisce la pressione arteriosa, compromettere l'apporto di ossigeno a livello dei territori miocardici situati a valle delle stenosi coronariche. D'altra parte, esso è un vasodilatatore arterioso e provoca una vasodilatazione coronarica. Potrebbe così, anche se la pressione di perfusione coronarica è mantenuta, essere all'origine di un furto coronarico, dilatando le arterie coronariche non stenosate e stornando il flusso a valle di una stenosi ateromatosa. Però, l'effetto vasodilatatore arteriolare dell'isoflurane è dose-dipendente e non si deve dunque temere che, con somministrazioni di elevate frazioni inspirate nei pazienti con una localizzazione di lesioni coronariche, li si espone all'insorgenza di una ridistribuzione del flusso miocardico [35]. Nella pratica clinica, non si deve temere un eventuale effetto deleterio dell'isoflurane sul circolo coronarico, quando questo anestetico volatile alogenato è somministrato per approfondire l'anestesia di fronte a stimoli chirurgici. In questa indicazione la manegevolezza, l'efficacia e gli effetti favorevoli dell'isoflurane sulla funzione globale ventricolare sinistra e sul bilancio energetico del miocardio sono stati chiaramente dimostrati.

Alcuni lavori sperimentali hanno suggerito che il protossido d'azoto potrebbe alterare la bilancia energetica del miocardio [37]. In effetti, in pazienti sottoposti a un by-pass aortocoronarico, il monitoraggio della cinetica segmentaria ventricolare sinistra con ecocardiografia transesofagea e l'analisi del segmento ST non hanno rilevato l'insorgenza di episodi di ischemia miocardica, quando il protossido d'azoto è stato somministrato con fentanyl [41]. Quando il protossido d'azoto è somministrato unitamente a un anestetico volatile alogenato, si riscontrano scarse modificazioni emodinamiche. Talvolta, nei coronaropatici affetti da angina spastica o da alterazione della funzione ventricolare sinistra, il protossido d'azoto può ridurre in modo più marcato la portata cardiaca e aumentare la PCP. E' logico, quindi, non raccomandarne l'uso in queste condizioni.

2.2. ANESTESIA PERIDURALE TORACICA ASSOCIATA ALL'ANESTESIA GENERALE

Gli effetti dell'anestesia peridurale toracica sull'emodinamica e l'equilibrio energetico del miocardio sono rappresentati dal blocco del simpatico cardiaco e dalla riduzione del postcarico ventricolare sinistro [43]. La frequenza cardiaca, la contrattilità miocardica, le resistenza vascolari sistemiche e il consumo di ossigeno del miocardio sono ridotti. L'anestesia peridurale toracica potrebbe anche migliorare l'apporto di ossigeno a livello dei territori miocardici minacciati, aumentando il diametro delle stenosi coronariche. Diversi lavori sperimentali hanno studiato gli effetti dell'anestesia peridurale toracica sull'equilibrio energetico del miocardio [6, 25].
Negli studi di Klassen e coll. [25], l'anestesia peridurale toracica migliora il flusso sottoendocardico, particolarmente nei territori miocardici ischemici. Davis e coll. [14] hanno dimostrato che l'anestesia peridurale toracica, in parte attraverso l'aumento del tempo di riempimento coronarico diastolico conseguente alla riduzione della fc, diminuisce l'estensione dell'infarto sperimentale. Reiz e coll. [43] hanno confrontato due protocolli di anestesia, neuroleptoanestesia e anestesia peridurale toracica associata a una anestesia generale, in due gruppi di pazienti che avevano sviluppato un infarto del miocardio meno di 3 mesi prima di un intervento di chirurgia vascolare. L'incidenza degli episodi di ipertensione arteriosa, di tachicardia e di ischemia miocardica è inferiore nel gruppo dei pazienti sottoposti ad un'anestesia peridurale associata ad anestesia generale. Fatto importante è che, una recidiva di necrosi miocardica acuta postoperatoria è stata notata in cinque pazienti, ai quali era stata praticata una neuroleptoanestesia, e solo in un paziente che aveva beneficiato di un'anestesia peridurale associata a un'anestesia generale leggera. Così, l'anestesia peridurale toracica associata all'anestesia generale potrebbe essere un metodo interessante da considerare nel paziente a rischio, per ridurre l'incidenza delle complicanze postoperatorie [56]. E' incontestabile che questa tecnica diminuisce i dispendi emodinamici e metabolici del periodo postoperatorio e ciò è vantaggioso nei pazienti con riserve cardiache e coronariche limitate. Per contro, la sua ripercussione emodinamica è lungi dall'essere trascurabile. In effetti, questa tecnica di anestesia diminuisce le condizioni di carico ventricolare sinistro (blocco simpatico pregangliare esteso, effetto dell'anestesia generale e della ventilazione artificiale) e riduce anche l'inotropismo (effetto della simpaticolisi cardiaca, caduta del precarico ventricolare sinistro, diminuzione del tasso di catecolamine plasmatiche). Da ciò, per mantenere un ritorno venoso adeguato, la somministrazione di farmaci simpaticomimetici è necessaria nella stragrande maggioranza dei casi. Tre di questi agenti sono stati proposti nel quadro dell'anestesia peridurale toracica associata a un'anestesia generale: la fenilefrina, l'efedrina e la dopamina. Nella pratica clinica, è l'efedrina, agonista indiretto alfa e beta, che sembra il più adatto per mantenere la pressione arteriosa sotto anestesia peridurale toracica, associata ad un'anestesia generale. Questo farmaco sarà somministrato al momento dell'instaurazione dell'anestesia peridurale in bolo di 3 - 6mg. Durante il postoperatorio si può provvedere a una somministrazione con perfusione continua.

Noi abbiamo condotto uno studio prospettico controllato e randomizzato nei pazienti sottoposti a chirurgia dell'aorta addominale nell'unità di chirurgia vascolare dell'Ospedale della Pitié-Salpetrière [3], al fine di determinare se l'anestesia peridurale toracica, associata a un'anestesia generale leggera di complemento (PERIAG) modificava la morbidità postoperatoria, a confronto di un'anestesia generale standard cosiddetta "bilanciata" (AG). I pazienti dovevano soddisfare tutti i criteri seguenti per essere inclusi nello studio: chirurgia elettiva dell'aorta addominale, assenza di controindicazioni all'anestesia peridurale (coagulopatia, infezione locale, infezione grave sistemica o setticemia), FEVS > 35% e accesso chirurgico con incisione mediana xifopubica (lombotomia esclusa). L'AG era indotta con fentanyl, flunitrazepam e bromuro di pancuronio e mantenuta con ventilazione controllata a mezzo di boli di fentanyl e bromuro di pancuronio. Per mantenere l'anestesia sono state utilizzate piccole concentrazioni inspirate d'isoflurane. Nel gruppo PERIAG, si provvedeva a posizionare un catetere nello spazio peridurale T8-T9 per somministrare una miscela in parti uguali di bupivacaina 0.5% e xylocaina 2%. L'anestesia generale di complemento era indotta con flunitrazepam, fentanyl e bromuro di pancuronio. Dopo l'intubazione, l'anestesia era mantenuta sotto ventilazione controllata con somministrazione continua, nel catetere peridurale, della miscela bupivacaina 0.5%/xylocaina 2%. Non si somministrava nessun'altro bolo di fentanyl. Al bisogno, piccole concentrazioni inspirate di isoflurane erano somministrate per mantenere l'anestesia.

173 pazienti sono stati inclusi in questo studio randomizzato (AG=86; PERIAG=87). La morbidità cardiovascolare non è stata differente tra i due gruppi, poiché 22 paz. in ogni gruppo hanno presentato una complicanza cardiaca maggiore in fase postoperatoria. Un infarto del miocardio è stato diagnosticato in 5 paz. per ciascun gruppo, un'insufficienza cardiaca in 7 paz. del gruppo AG e in 5 del gruppo PERIAG e una ischemia miocardica prolungata in rispettivamente 16 e 19 paz. La morbidità respiratoria è stata estremamente elevata (61% nel gruppo AG e 56% nel gruppo PERIAG) ma senza differenze significative tra i due gruppi. La maggior parte di questa morbidità respiratoria era costituita da atelettasie minori. Non sono state notate differenze significative tra i due gruppi per quel che concerne le altre situazioni di morbidità respiratoria. 4 paz. del gruppo AG e 3 del gruppo PERIAG sono deceduti. 5 di questi paz. hanno sviluppato una complicanza cardiaca maggiore e 6 una complicazione chirurgica grave. La principale conclusione di questo studio è che l'anestesia peridurale toracica associata all'anestesia generale leggera non riduce la morbidità respiratoria e cardiaca nei pazienti chirurgici ad alto rischio. Comunque, l'analgesia peridurale postoperatoria potrebbe esercitare effetti favorevoli, indipendentemente dalla tecnica di anestesia peroperatoria.

2.3. PREVENZIONE E TRATTAMENTO DEGLI EPISODI DI ISCHEMIA MIOCARDICA

La prevenzione degli episodi di ischemia miocardica perioperatoria si fonda essenzialmente su una buona preparazione del paziente all'intervento e sul mantenimento di una perfetta stabilità emodinamica per tutta la durata del periodo operatorio. La possibilità di individuare l'ischemia miocardica con un monitoraggio ECG adeguato rende precario il ricorso a una prevenzione dell'ischemia attraverso perfusione continua di nitroderivati per assicurare la prevenzione degli episodi di insufficienza coronarica. Il trattamento degli episodi di ischemia miocardica che possono insorgere durante il periodo operatorio deve considerare le modificazioni emodinamiche che ne hanno favorito l'insorgenza, gli agenti anestetici che il paziente ha ricevuto prima del verificarsi del sottoslivellamento, e le modificazioni emodinamiche provocate dall'episodio ischemico. Quando l'aumento delle condizioni di carico ventricolare sinistro o della frequenza cardiaca, in concomitanza a uno stimolo nocicettivo peroperatorio, ha favorito l'insorgenza di un episodio ischemico, l'approfondimento dell'anestesia con anestetici volatili alogenati (alotano o isoflurane) costituisce il trattamento più logico e più efficace per correggere l'episodio di ischemia. Il trattamento degli episodi d'ischemia miocardica peroperatoria, consecutivi a un aumento della frequenza cardiaca, senza aumento della pressione arteriosa, conduce ad approfondire l'anestesia con alotano se la pressione arteriosa media è superiore alla fc poi alla somministrazione endovenosa lenta di betabloccanti a dosi titrate [49]. I betabloccanti di breve durata d'azione, come l'esmololo, somministrati in bolo, potrebbero trovare una buona indicazione in queste situazioni. L'insorgenza di un calo di pressione arteriosa all'origine di una ischemia miocardica impone la sospensione di ogni anestetico volatile alogenato e del protossido d'azoto, e un'espansione volemica. Se, malgrado questi provvedimenti, la pressione arteriosa resta bassa, bisogna somministrare una amina simpaticomimetica, con effetto agonista alfa predominante per elevare la pressione arteriosa senza aumentare la fc. La fenilefrina è frequentemente utilizzata con questa indicazione. Potendo essere brutale la reazione ipertensiva alla somministrazione di fenilefrina negli operati affetti da una cardiopatia ipertrofica, conviene utilizzare questo agonista alfa a dosi piccole e frazionate. Se il sottoslivellamento del segmento ST persiste, allorché la pressione arteriosa è stata ricondotta al valore presentato prima dell'induzione, si deciderà per la somministrazione di trinitrina in perfusione continua alla dose di 0.5mcg.Kg-1.min-1.

La comparsa di episodi di ischemia miocardica in assenza di modificazioni emodinamiche è generalmente in rapporto con anomalie di distribuzione intramiocardica del flusso coronarico. Perciò il loro trattamento fa appello a farmaci come i calcio-antagonisti [55] o la trinitrina che aumentano la soglia di comparsa di un dolore anginoso e ridistribuiscono il flusso sanguigno coronarico a favore delle zone miocardiche minacciate. In questa indicazione, la trinitrina ha il vantaggio di essere particolarmente maneggevole, ma presenta l'inconveniente di ridurre maggiormente il ritorno venoso.

CONCLUSIONE

La presa in carico dell'operato di aorta addominale implica una buona preparazione del paziente all'intervento, l'utilizzazione perioperatoria di un monitoraggio efficace, una tecnica di anestesia adatta, e il mantenimento stretto di un equilibrio emodinamico perioperatorio che deve essere perseguito durante il periodo postoperatorio. L'individuazione di episodi d'ischemia miocardica è attualmente possibile con l'utilizzazione nel blocco operatorio di nuovi apparecchi di monitoraggio ECG che permettono un'analisi informatizzata della posizione del segmento ST in rapporto allo stato basale. E' anche possibile assicurare un trattamento precoce degli episodi ischemici perioperatori che potrebbero sopravvenire malgrado una condotta adeguata dell'anestesia. Degli studi sono in corso per confermare se queste misure, che limitano l'incidenza e il coinvolgimento miocardico degli episodi ischemici perioperatori, diminuiscono in modo sistematico il rischio operatorio in questi pazienti. Il monitoraggio emodinamico resta centrato sulla misura della pressione arteriosa cruenta, che fornisce informazioni molto utili nel riconoscimento dell'ipovolemia e nella sorveglianza della sua correzione. Il cateterismo arterioso polmonare è ugualmente utile nel monitoraggio di questi pazienti, soprattutto se si sanno evitare gli errori tecnici e i tranelli della sua interpretazione. Nell'insufficiente cardiaco, o in caso di complicazioni cardiovascolari, l'ecocardiografia transesofagea può rivelarsi utile, particolarmente per ottimizzare il riempimento vascolare. L'anestesia generale con associazione di morfinici, benzodiazepine e curaro, mantenuta con boli di fentanyl e somministrazione di protossido d'azoto e piccole dosi di isoflurane, si rivela la tecnica più maneggevole per assicurare una stabilità emodinamica peroperatoria. Da un punto di vista epidemiologico, la tecnica di associazione anestesia peridurale + anestesia generale non sembra apportare vantaggi determinanti, e la sua realizzazione pratica è più complessa. Le tecniche di analgesia peridurale postoperatoria sono da un punto di vista teorico interessanti. Tuttavia la loro efficacia nel ridurre il tasso di complicazioni postoperatorie non è al momento dimostrata. Il trattamento degli episodi di ischemia miocardica peroperatoria deve tenere conto del loro meccanismo di insorgenza.

BIBLIOGRAFIA