numero in formato solo testo


ISSN 1080-3521

EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY

and

CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -

Il giornale Italiano online di anestesia Vol 4 No 2 Febbraio 1999


Pubblicato elettronicamente da

Vincenzo Lanza, MD

Servizio di Anestesia e Rianimazione

Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy

E-mail: lanza@mbox.unipa.it

Keith J Ruskin, MD

Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine

333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA

E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu

Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine

________________________________________________________________

In questo numero:

1 CRITERI DI INTERVENTO NEL SOCCORSO AL POLITRAUMATIZZATO (2^parte)

2 CRITERI DI INTERVENTO NEL SOCCORSO AL POLITRAUMATIZZATO (3^parte)

 

_______________________________________________________

1 CRITERI DI INTERVENTO NEL SOCCORSO AL POLITRAUMATIZZATO (2^parte)

_______________________________________________________

Corrado Cancellotti
Aiuto Anestesia-Rianimazione - S. Agostino 8/h - 06024 Gubbio
Cancellotti@infoservice.it

CRITERI DI INTERVENTO NEL SOCCORSO AL POLITRAUMATIZZATO (1^parte)

CRITERI DI INTERVENTO NEL SOCCORSO AL POLITRAUMATIZZATO (2^parte)

Controllo dell'emorragia

Va inizialmente attuato il controllo delle emorragie esterne attraverso misure semplici ed efficaci, quali il posizionamento di fasciatura compressiva o tourniquet a livello degli arti e il mantenimento in posizione sopraelevata della parte.
Misura tempestiva ed essenziale nel soccorso extraospedaliero (altrimenti poi puo' non risultare di alcuna utilita') e' quella di incannulare due vene periferiche con aghi non inferiori a 14 gauge. Il ricorso in emergenza a una vena centrale e' giustificato solo in caso di impossibilita' a reperire vene periferiche. La scelta e' in relazione all'esperienza dell'operatore. Puo' essere conveniente il ricorso alla vena femorale, essendo relativamente accessibile e in un'area in cui, in caso di insuccesso o di errori tecnici nella procedura di reperimento, non possono verificarsi gravi danni iatrogeni.

Il sospetto clinico di emorragia interna toracica o addominale consecutiva al trauma, e' avvalorato dall'ingravescenza del quadro emodinamico nonostante tentativi corretti di rimpiazzo volemico, che impongono la rapida risoluzione del problema diagnostico attraverso tecniche ecografiche, TAC e l'eventuale intervento chirurgico d'urgenza.

Prima del raggiungimento dell'ospedale, nel sospetto di lesioni traumatiche interne si pone l'indicazione all'uso di MAST (Military Anti Shock Trousers). Vengono definiti anche pantaloni anti-G a causa della loro derivazione dagli indumenti analoghi indossati dai piloti militari per contrastare le brusche variazioni dell'accelerazioni di gravita' imposte dalle manovre di combattimento aereo. Il dispositivo e' altrettanto utile in caso di frattura degli arti inferiori, fratture di bacino, emoperitoneo, shock spinale, insomma in tutte le situazioni ipovolemiche a genesi non cardiogena. Il posizionamento dell'apparecchiatura e' facilmente eseguibile e non deve impegnare un tempo superiore ai 3 - 4 minuti. Sui pantaloni antishock srotolati viene adagiato il paziente, non necessariamente svestito, avvolgendo prima gli arti inferiori poi il compartimento addominale.

Si inizia con l'insufflazione del comparto di pertinenza degli arti inferiori, poi, in caso di necessita', si passa ad insufflare la porzione addominale. In ogni caso il bordo superiore del compartimento addominale non deve superare il margine costale inferiore, l'accesso al perineo deve rimanere libero, i polsi periferici devono poter essere palpabili. Le deboli pressioni di gonfiamento (30-40 mmHg) possono essere inefficaci nell'ipovolemia profonda, conviene percio' utilizzare pressioni maggiori e diverse a seconda dei comparti : per gli arti 60-80 mmHg, per l'addome 40-50 mmHg. Cosi' facendo si ottiene prevalentemente un effetto di "spremitura" con immissione in circolo di circa 0.5-1 litri di sangue e l'incremento del ritorno venoso; in caso di utilizzo di pressioni superiori si ottiene un effetto di centralizzazione del circolo con l'esclusione temporanea degli arti che puo' essere mantenuto per un massimo di 2 ore circa in maniera ininterrotta. Il pantalone anti shock puo' essere utilizzato anche nella gravida relativamente agli arti. Controindicazione all'uso di MAST e' la grave insufficienza respiratoria. Nelle zone urbane, quando il luogo dell'incidente e' vicino al dipartimento d'emergenza, l'applicazione dei calzoni pneumatici costituisce una inutile perdita di tempo. Spesso si riesce a sostenere meglio il circolo con un'infusione rapida di soluzioni saline o colloidi.

Manovre d'emergenza

 

Drenaggio di pneumotorace e/o emotorace

Nelle situazioni di estrema urgenza e in ambiente preospedaliero le indicazioni di questa procedura dovranno essere attentamente valutate per evitarne gli abusi. Il drenaggio pleurico permette di evacuare un versamento aereo o liquido che si formi nello spazio pleurico.
In condizioni di emergenza e' utilizzato per decomprimere uno pneumotorace ipertensivo. Il paziente viene posto in posizione semiseduta o in decubito dorsale; la sede di puntura e' sul II-III spazio intercostale a livello della linea emiclaveare.
A questo livello nei casi dubbi, puo' esssere effettuata una puntura esporativa. Dopo disinfezione si inserisce un ago 21 G in maniera da posizionarlo a livello del corpo della III costa. Si collega una siringa priva di pistone e si riempie con 2-3 ml di soluzione fisiologica sterile. Si reperta il margine superiore della costa e si avanza. In caso di pneumotorace iperteso si osserva la produzione di bolle. L'assenza delle stesse indica l'assenza di raccolta aerea sotto pressione o al limite la presenza di pneumotorace di piccole dimensioni senza importanti compromissioni emodinamiche. In caso di conferma invece di pnx iprteso, puo' essere effettuato il drenaggio in urgenza tramite un kit apposito del tipo catetere in ago (piu' utilizzato).
In questo caso dopo disinfezione cutanea, si reperta il punto di inserimento e si inserisce un agocannula o un drenaggio di piccole dimensioni (10 Ch) PLEUROCATH, rasentando il bordo superiore della costa, perpendicolarmente al piano cutaneo. Si avanza in aspirazione nello spazio intercostale fino a quando l'aria non penetra nella siringa facendo avanzare il pistone. Si trasforma cosi' uno pneumotorace iperteso in uno semplice ben piu' tollerato e meno importante dal punto di vista emodinamico. E' possibile comunque collegare il tubo a una doppia valvola di Heimlich per impedire il reflusso dell'aria o del liquido drenato nel torace. Data la sua struttura, permette anche l'aspirazione manuale dei liquidi. La decompressione d'urgenza, comunque non costituisce il trattamento definitivo del pneumotorace; dovra' infatti essere inserito quanto prima possibile un drenaggio toracico vero e proprio.
Per il posizionamento di un drenaggio toracico di dimensione adeguata si fa uso di un tubo con mandrino a punta smussa. La scelta di questo si fa in funzione del tipo di versamento che si sospetta: per uno pneumotorace o per un emotorace traumatico si fara' ricorso a un 28, 30 Ch; per uno pneumotorace iatrogeno a un 10 Ch.
La procedura prevede ugualmente la disinfezione della cute, la realizzazione di un campo sterile, l'anestesia dei piani cutanei e muscolari nel punto prescelto per l'inserimento. In caso di sospetto pneumotorace si ricorre alla puntura del II-III spazio intercostale sulla linea emiclaveare; in caso di sospetto emotorace o emopneumotorace sulla linea ascellare media a livello del IV-V spazio. Con la medesima siringa e' possibile accertarsi della presenza di raccolta liquida o aerea nel cavo pleurico.
Con il bisturi si pratica una piccola breccia a livello del tessuto cutaneo e sottocutaneo fino al piano pleurico, si divaricano con le dita i piani muscolari e si introduce il tubo con mandrino. Il tubo va tenuto con una mano a circa 3 cm dalla punta per impedire un eccessivo affondamento dello stesso mentre l'altra mano spinge per permettere la penetrazione. Si deve sempre seguire il margine superiore della costa per impedire la lesione dei vasi intercostali. Alcuni effettuano il posizionamento del tubo senza mandrino facendosi strada con il dito indice.
L'estremita' distale del drenaggio va posizionata in alto e in avanti e si fa procedere per circa 20 cm il tubo, mantenendo fermo il mandrino appena dopo la penetrazione in cavo pleurico. A questo punto si sfila il mandrino avendo cura di non far penetrare ulteriore aria in cavo pleurico. Il tubo di drenaggio deve venire raccordato a un circuito di aspirazione e di raccolta e viene ancorato saldamente con fili di sutura alla cute.
L'evacuazione del versamento va fatta con lentezza per evitare lo sbandieramento del mediastino troppo rapido, capace di generare alterazioni emodinamiche. Il tubo va collegato con un sistema di raccolta e con una valvola ad acqua. Il controllo della fuoriuscita pressoche' immediata di aria o di liquido e' segno del corretto posizionamento, come anche la mobilita' della colonna d'acqua nella porzione distale del tubo sincrona con gli atti respiratori.
Ogni volta che si deve mobilizzare il paziente e' bene ricorrere al clampaggio del tubo. In caso di emorragia da lesione di un vaso intercostale, l'inserimento del tubo puo' essere sufficiente ad effettuare l'emostasi, altrimenti si puo' rendersi necessario il posizionamento di un punto di sutura. In caso di ostruzione del drenaggio questo va sostituito e riposizionato. I sistemi di raccolta possono essere di tre tipi :

Tamponameno cardiaco

In situazioni di emergenza extraospedaliera tale manovra e' riservata a pazienti chiaramente con tamponamento cardiaco e non trasportabili in ospedale. E bene infatti effettuare la manovra in ambiente attrezzato con un minimo di diagnostica per immagini (ecografo, amplificatore di brillanza).
Si pone il paziente semiseduto, si disinfetta la cute e si effettua un ponfo di anestesia sotto l'appendice xifoidea, reperita con l'indice della mano sinistra. Si punge dirigendo l'ago a 30° sulla linea mediana, proprio sotto l'estremita' caudale dell'appendice xifoidea dello sterno; si procede in aspirazione, rasentando la faccia posteriore dello sterno, dirigendosi verso l'alto, fino a ottenere un reflusso franco del versamento. Il prelievo di una decina di ml decomprime il tamponamento e migliora l'emodinamica. E' possibile collegare l'ago da pericardiocentesi con il cavo di una derivazione elettrocardiogarfica sinistra, cosi' da monitorare l'avanzamento del medesimo. Quando entra in contatto con il pericardio si potra' notare un innalzamento del tratto ST. Se si dispone di un kit per cateterismo venoso centrale e' possibile utilizzare la tecnica di Seldinger per posizionare un catetere. E' possibile l'insorgenza di aritmie maggiori fino all'arresto cardiaco durante la procedura, la lesione dell'arteria mammaria o della pleura con la formazione di pneumotorace.

Defibrillazione cardiaca esterna

L'indicazione ad intervenire con la defibrillazione elettrica esterna si pone in caso di fibrillazione ventricolare o tachicardia ventricolari e sopraventricolari emodinamicamente instabili. Il defibrillatore e' un apparecchio esterno costituito da un convertitore di tensione che, a partire da una corrente a basso voltaggio di una batteria eroga una corrente ad elevato voltaggio. L'altro elemento e' un condensatore che puo' essere caricato a un livello regolabile da 50 a 360 J mediante appositi comandi collocati in genere sul pannello frontale. I cavi collegano il defibrillatore alle piastre da applicare sul torace per la defibrillazione. Queste sono collegate all'ingresso del monitor ECG associato al defibrillatore, in modo da consentire il rilevamento immediato di un tracciato elettrocardiografico per evidenziare eventuali arit mie.
Durante la manovra di defibrillazione, il posizionamento delle piastre e la rilevazione dell'aritmia deve costituire il primo atto medico ; la conferma di un quadro di fibrillazione ventricolare consente di effettuare il trattamento.
Le piastre metalliche devono essere cosparse di gel conducente per ridurre la resistenza cutanea e permettere che un maggior quantitativo di corrente attraversi il cuore. Quella identificata come "sterno" va posizionata a destra dello sterno, al di sotto della clavicola ; quella identificata come "apice", viene posizionata a sinistra del torace sulla linea ascellare media, in corrispondenza della punta cardiaca.
Se si utilizzano le piastre adesive, queste sono da posizionare una anteriormente, sul precordio sinistro, l'altra sul dorso, in modo che si trovino una di fronte all'altra con l'interposizione del torace del paziente.
L'intensita' di corrente, nel trattamento della fibrillazione ventricolare, prevede un valore di circa 200 J alla prima scarica, per poi passare a 300 J e 360 J alle scariche successive in caso di insuccesso. Nel bambino si utilizza un livello di 2J/Kg alla prima scarica e 4J/Kg alle successive.
In caso di trattamento di tachicardia ventricolare e/o sopraventricolare si utilizza la defibrillazione sincronizzata per evitare di liberare la scarica defibrillante durante il "periodo vulnerabile". In questo caso, oltre alla sedazione del paziente, si ricorre a livello di intensita' piu' bassi, intorno a 100-200 J.
E' altresi' essenziale ricorrere, prima di liberare la scarica ad avvertire i soccorritori presenti ed a controllare che nessuno sia in contatto con il paziente o con i supporti su cui e' posizionato il medesimo.
Oggi il ricorso alla defibrillazione precoce e' reso possibile grazie alla disponibilita' di defibrillatori semiautomatici, capaci di identificare una fibrillazione ventricolare e tachicardia ventricolare, aritmie suscettibili di trattamento elettrico. La rapidita' del medesimo costituisce la discriminante per l'outcome del paziente. Per questo i defibrillatori semiautomatici sono stati dati in dotazione alle equipe di primo soccorso in assenza di personale medico.
Gli elettrodi per la defibrillazione semiautomatica si posizionano uno in parasternale destra, l'altro in corrispondenza dell'apice del cuore. Il defibrillatore automatico analizza il ritmo e, in caso di indicazione al trattamento elettrico, una voce sintetizzata richiama le procedure di sicurezza ed attua la defibrillazione iniziando con una scarica di intensita' pari a 200 J, per poi passare a intensita' superiori analizzando di volta in volta il tracciato elettrocardiografico prima di ogni erogazione. Nella defibrillazione semiautomatica, l'invio della scarica e' sottoposto comunque all'analisi del soccorritore che deve premere simultaneamente i due pulsanti dell'apparecchio.

Elettrostimolazione esterna d'urgenza

La stimolazione esterna d'urgenza e' una vecchia tecnica, ripristinata grazie all'apporto delle nuove tecnologie. Gli apparecchi attuali grazie alla riduzione dell'intensita' di corrente erogata, all'aumento di durata dei singoli impulsi e soprattutto all'aumento delle dimensioni degli elettrodi cutanei, hanno reso praticamente maginali gli effetti indesiderati della tecnica.
Le indicazioni all'utilizzo della elettrostimolazione esterna sono rappresentate dai blocchi senoatriali, dai blocchi atriventricolari completi, dai ritmi idioventricolari con ripercussioni emodinamiche, dall'asistolia in altre parole dalle aritmie ipocinetiche emodinamicamente significative.
Gli stimolatori possono avere una intensita' regolabile da 0 a 150 mA e una frequenza di stimolazione regolabile fino a un massimo di 180 impulsi al minuto. Gli elettrodi sono costituiti da materiale autoadesivo del diametro di 8 cm, gia' cosparso di pasta conduttrice e recanti in modo ben visibile la polarita'.
L'elettrodo corrispondente al polo negativo viene posizionato anteriormente sul torace, a livello di V3 ; quello corrispondente al polo positivo a livello della schiena, tra colonna vertebrale e apice della scapola sinistra. Si collegano i due elettrodi allo stimolatore, rispettando le polarita'.
In casi di asistolia si eroga l'intensita' massimale (150-200 mA) mentre, nei pazienti coscienti si utilizza una intensita' di corrente crescente fino a trovare la soglia di stimolazione. Si passa a regolare poi la frequenza e la modalita' di stimolazione, che in genere e' non sincronizzata.
La soglia di stimolazione viene raggiunta quando si evidenziano clinicamente pulsazioni arteriose sincrone con gli impulsi dello stimolatore e all'ECG appaiono "spikes" seguiti da QRS di durata superiore ai 0.14 sec. e da un'onda T, in assenza di altri ritmi. In genere il monitoraggio elettrocardiografico e' posto sulla fronte e sulle caviglie.
In genere si associa una contrazione del muscolo pettorale sincrona con gli impulsi elettrici tanto da richiedere talvolta sedazione antalgica.
In ogni caso la valutazione dell'efficacia della stimolazione si basa principalmente sul criterio emodinamico; sono possibili casi in cui si riesce ad ottenere una cattura, senza pero' un soddisfacente compenso emodinamico.

Reperimento giugulare esterna e vena femorale

Talvolta il reperimento di un accesso venoso in situazioni di emergenza puo' essere veramente difficoltoso, in particolare quando il paziente va incontro a situazioni di ipovolemia e/o ipotermia, ovvero in quelle situazioni in cui questo serve maggiormente. In queste situazioni una via sicura e adeguata puo' essere ricercata a livello della vena giugulare esterna, facilmente accessibile e relativamente superficiale.
E' consigliabile in genere porre il paziente in posizione declive, con il capo girato dal lato opposto a quello che si punge. Si ottiene l'inturgidimento della vena con una compressione del dito indice della mano libera sul tratto di vena piu' vicino al torace. Il dito che esercita la compressione puo' effettuare anche la trazione della pelle del collo in basso cosi' da fissare meglio la vena sui piani sottostanti. Contemporaneamente, sempre per lo stesso scopo, puo' essere effettuata una controtrazione col pollice della stessa mano al di sopra del punto prescelto per l'incannulamento. In genere e' possibile aggiustare la testa o mobilizzare il catetere per permettere un buon flusso.
L'accesso femorale permette l'uso di cateteri di grandi dimensioni, molto utili in caso di riempimento rapido del circolo. Ben si presta all'incannulamento preospedaliero dato la bassa incidenza di danno iatrogeno in relazione alla posizione relativamente superficiale, lontana da organi vitali. In caso di sospetta lesione emorragica addominale, tale via e' da escludere in quanto aggraverebbe la patologia emorragica endoaddominale.
La metodica prevede il paziente in decubito supino in leggero anti-trendelenburg con l'arto inferiore leggermente abdotto ed extraruotato.
La vena femorale si reperta a circa 1 cm medialmente alle pulsazioni dell'arteria omonima. L'ago montato su siringa tenuta in aspirazione viene infisso 1-1.5 cm medialmente all'arteria femorale e 2 cm circa al di sotto dell'arcata inguinale. Viene diretto cranialmente al piano cutaneo, in direzione dell'ombelico. La vena viene raggiunta dopo circa 0.5-3 cm a seconda della corporatura del paziente.
Una volta ottenuto un reflusso di sangue a pieno lume si introduce attraverso l'ago la guida metallica e si estrae successivamente l'ago. Su questa poi si fa scorrere o il catetere o un introduttore, avendo l'accortezza, in questo ultimo caso, di praticare una piccola incisione cutanea per favorire l'inserimento del medesimo. Si toglie poi il mandrino metallico e si fa avanzare, attraverso il dilatatore il catetere vero e proprio. E' possibile, come complicanza, la puntura della arteria femorale che pero' puo' venire facilmente compressa.

Cricotiroidotomia

E' una valida alternativa all'intubazione tracheale, quando quest'ultima non e' possibile o non si vuole effettuare. Diversi sono i Kit in uso. Uno dei piu' diffusi, il MINITRAC, e' costituito da : una cannula di 4 mm di diametro interno provvista di un collaretto, un mandrino introduttore, un bisturi con dispositivo di sicurezza per evitare l'affondamento nei piani cutanei; un raccordo standard di 15 mm di diametro, una lunghetta per fissare il collaretto.

La tecnica prevede il paziente in decubito dorsale con la testa estesa all'indietro. Si procede alla disinfezione della zona e si pratica una anestesia locale. Tenendo la lama del bisturi orientata perpendicolarmente alla cute si pratica una incisione mediana a livello della membrana cricotiroidea. Si inserisce tubo e mandrino. Successivamente si fa avanzare il tubo, tenendo ferma l'estremita' del mandrino, fino a che il collaretto non arriva a contatto con la cute. La manovra di avanzamento deve essere fatta con le dovute cautele, facendo ben attenzione a non incontrare ostacoli di sorta. Successivamente viene ritirato il mandrino e si fissa la cannula.
Si puo' verificare emorragia nella sede di incisione, che peraltro puo' ridursi o cessare con il posizionamento della cannula. False strade, enfisema sottocutaneo, sono dovuti ad errori tecnici durante le diverse fasi della procedura.
E' bene accennare che la puntura della membrana cricotiroidea e' possibile effettuarla in condizioni di estrema urgenza, anche senza avere a disposizione un kit specifico, ma soltanto un agocannula di calibro adeguato (superiore a 16 gauge e un raccordo standard per tubo tracheale 3.5 che si adatta bene al cono dell'ago e permette il collegamento con un sistema di erogazione di ossigeno. Questa costituisce una pratica di emergenza ed alternativa, capace di mantenere la sopravvivenza del paziente, senza ristabilire una ventilazione efficace.

 

Mancata stabilizzazione

La persistenza dell'eventuale quadro clinico di shock dopo controllo delle eventuali perdite e reinfusione appropriata deve fare presupporre altre patologie d'urgenza : contusione cardiaca, tamponamento cardiaco, pneumotorace iperteso, shock spinale.

I decessi per contusione cardiaca fortunatamente sono rari, anche perche' la contusione cardiaca e' una patologia la cui diagnosi si precisa prevalentemente in sede ospedaliera con controlli elettrocardiografici ed enzimatici seriati. Come primo trattamento deve essere tenuto presente quello delle aritmie che possono insorgere precocemente. L'osservazione delle vene del collo e' molto importante, se si presentano dilatate e congeste, polso piccolo, toni cardiaci lontani, effetto paradosso della pressione arteriosa (differenza sisto-diastolica superiore a 15 mmHg) si puo' sospettare una defaillance cardiogena primitiva e piu' precisamente un tamponamento cardiaco.
Questo puo' essere sospettato anche in caso di frattura dello sterno o di piu' coste; il turgore giugulare dovrebbe far sospettare la diagnosi anche se in alcune situazioni puo' mancare specie in casi in cui coesiste una marcata ipovolemia. In caso di tamponamento cardiaco la pericardiocentesi puo' permettere l'evacuazione di 10-20 ml di sangue che possono migliorare in modo drammatico la funzione cardiaca. Ripetute pericardiocentesi o l'intervento chirurgico possono dominare un quadro di tamponamento cardiaco. L'aspirazione di un importante quantita' di sangue puo' significare l'entrata dell'ago in ventricolo.
Instabilita' emodinamica associata a gravi difficolta' respiratorie deve far sorgere il sospetto di uno pneumotorace iperteso. Forse bene precisare che la totale scomparsa del murmure vescicolare non e' elemento sine qua non di pneumotorace poiche' vi puo' essere una falsa trasmissione del murmure attraverso la parete toracica. Esigere poi, in situazione di emergenza una conferma radiologica di pneumotorace, costituisce un errore gravissimo. In pratica e' la valutazione semeologica e clinica che deve guidare il trattamento in urgenza.
Lo shock spinale e' evenienza che segue una lesione midollare e dipende dall'abolizione del tono simpatico con vasodilatazione periferica. Oltre che il riconoscimento tempestivo, non sempre facile specie nel paziente in stato comatoso , e' necessario instaurare un rimpiazzo volemico rapido per stabilizzare la condizione clinica talvolta in associazione all'uso di vasocostrittori.

CRITERI DI INTERVENTO NEL SOCCORSO AL POLITRAUMATIZZATO (3^parte)