Numero in formato solo testo


ISSN 1080-3521

EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY

and

CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -

Il giornale Italiano online di anestesia Vol 9 No 01 Gennaio 2004


Pubblicato elettronicamente da

Vincenzo Lanza, MD

Servizio di Anestesia e Rianimazione

Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy

E-mail: lanza@mbox.unipa.it

Keith J Ruskin, MD

Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine

333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA

E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu

Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine

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In questo numero:

La redazione di Esia-Italia dedica alcuni suoi numeri alla pubblicazione dei lavori che hanno costituito parte del materiale didattico del Corso "Problemi Cardiologici in Anestesia e Terapia Intensiva" tenutosi nel Marzo 2003 presso il CEFPAS (Centro per la Formazione Permanente e l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario) sito in Caltanissetta (Sicilia). Questo è uno dei corsi organizzati in collaborazione con la FEEA (Fondazione Europea di Insegnamento in Anestesiologia) e rappresenta uno dei diversi momenti formativi di un vasto percorso didattico che spazia ampiamente tra le diverse aree di interesse nel campo dell'Anestesia e della Terapia Intensiva.
In futuro Esia-Italia ospiterà altri iter formativi monotematici nella certezza di incontrare la continua necessità di studio dei suoi Lettori che potranno così soddisfare in modo sempre gratuito e immediato le proprie esigenze di formazione anche non spostandosi dal proprio posto di lavoro.

dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS
 

1 Trasporto ematico dell'Ossigeno

2 Monitoraggio dell'Ossigeno: SaO2 - SvO2 - rapporto DO2 / VO2

3 Pressione Arteriosa: Fisiologia, Tecniche di misura, Effetti dell'Anestesia

4 Elettrofisiologia della Fibra Miocardica: Fisiopatologia delle Turbe del Ritmo
 


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Trasporto ematico dell'Ossigeno
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R. Krisovic - Hober
dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS

Introduzione

Indispensabile al funzionamento delle cellule animali, l'ossigeno viene trasportato, attraverso il sangue, dallo scambiatore polmonare ai diversi tessuti dell'organismo. Quantitativamente, il trasporto dell'ossigeno è la risultante di due elementi: 
il flusso (volume di sangue trasportato nell'unità di tempo) e la concentrazione di ossigeno nel sangue (TO2 = Q x CaO2)
A partire dal luogo di approvvigionamento, l'aria ambiente, fino alla sede di utilizzazione, i mitocondri, l'ossigeno si sposta in cascata seguendo i gradienti di pressione (fig.1).

 

Figura 1 
Sulla sinistra è indicata la cascata dell'ossigeno con PO2 che scende dal livello presente nell'aria ambiente fino al livello esistente nei mitocondri, sede di utilizzazione dell'ossigeno. Sulla destra sono illustrati i fattori che influenzano l'ossigenazione a differenti livelli della cascata.


1. LE FORME DI TRASPORTO EMATICO DELL'OSSIGENO

1.1 O2 disciolto

Legge di Henry: O2 disciolto = aPO2

a = coefficiente di solubilità di Bunsen; esprime il volume di gas disciolto per unità di volume di solvente alla pressione di 1 atmosfera (760mmHg) ed alla temperatura di 38°C.

Per l'O2: a = 0.023 ml di O2 / ml di plasma
Pertanto l'O2 disciolto in 100 ml di sangue arterioso (PaO2 = 98mmHg):

0.023 x 98 / 760 x 100 = 0.3 ml / 100 ml di sangue.

Tale quantità è insufficiente a garantire i bisogni dell'organismo (VO2)

Applicazioni:

  • Perfluorocarboni (coefficiente di solubilità 20 volte più grande)

  • Ossigenoterapia iperbarica a 3 ATA

L'ossigeno disciolto si approssima a 6 ml ed è sufficiente a garantire da solo il consumo di O2 (VO2).

1.2 O2 combinato con l'emoglobina

1.2.1 Struttura dell'emoglobina

La molecola dell'emoglobina è formata da due parti: una parte proteica, la globina, ed un gruppo prostetico o pigmento, l'eme. Tutti i tipi di emoglobina umana possiedono la stessa frazione eme. Le differenze esistenti sono dovute a variazioni della globina. L'emoglobina (Hb) è un enzima allosterico provvisto di molteplici siti recettoriali, capaci di legare degli effettori (O2, CO2, H+, ATP, 2-3 DPG), in grado di modificare la conformazione della proteina e di cambiarne l'affinità per gli altri legandi, in particolare O2 e CO2.

L'eme
L'anello porfirinico è costituito da quattro anelli pirrolici legati tra loro da ponti metilici. Il ferro è legato all'azoto di ciascun anello pirrolico ed all'azoto in posizione E dell'istidina della globina. Una sesta valenza resta libera per legare l'ossigeno, l'anidride carbonica o l'ossido di carbonio. Quando l'atomo di ferro si trova sotto forma non legata, pentavalente, il diametro dell'atomo aumenta e non può più penetrare tra gli atomi di azoto. Quando l'ossigeno si lega al ferro, il diametro dell'atomo di ferro si riduce e questo può penetrare tra gli anelli pirrolici. Durante tale processo, il legame tra il ferro e l'istidina del segmento "F" della globina è molto stretto. E' questo il legame che sarebbe alla base del meccanismo che determina le modificazioni strutturali delle catene polipeptidiche della globina.

La globina
E' una proteina costituita da due paia di catene polipeptidiche simmetriche ciascuna delle quali contiene un gruppo prostetico eme. A seconda delle sequenze degli aminoacidi che compongono le catene, si possono individuare diversi tipi di emoglobina. In ciascuna molecola si trovano associate due catene di 141 aminoacidi con una coppia di catene, specifiche per il tipo di emoglobina: ß per l'HbA (adulto normale), delta per l'HbA2, Y per l'HbF (fetale).

Quattro livelli strutturali vengono descritti:

  1. primario: sequenza aminoacidica

  2. secondario: segmenti di aminoacidi

  3. terziario: organizzazione di elementi elicoidali

  4. quaternario: organizzazione spaziale delle quattro catene a seconda del legame con l'ossigeno, forma deossigenata o tesa (T), e forma ossigenata o rilasciata (R).

1.2.2 Legame Hb-O2
La desossiemoglobina, o Hb ridotta, fissa l'ossigeno trasformandosi in ossiemoglobina (HbO2).
Si tratta di un legame reversibile con l'atomo di ferro ferroso della molecola dell'Hb. La reazione è molto rapida: velocità <1/100 di sec. L'HbO2 è più acida dell'Hb ridotta. E' possibile conoscere la quantità di O2 fissata all'HbO2 calcolando o misurando la capacità in ossigeno del sangue attraverso il metodo di Van Slyke.

 

Calcolo: ciascun atomo di ferro può fissare 1 molecola di ossigeno; 
4 atomi di ferro fissano 22.400 x 4 = 89.600 ml. di O2.

Poiché il peso molecolare dell'Hb é 66.800, 
1 gr. di Hb può fissare:
89.600 / 66.800 = 1.34 ml di O2.
E' questo il potere ossiforico (P.O.) dell'emoglobina.

La capacità massimale dell'HbO2 (Cmax-HbO2) è pari a:
Cmax-HbO2: 1.34 X 15 = 20.1 ml per 100 ml di sangue, 
allorché la saturazione dell'Hb (SaO2)
è del 100%, considerando il sangue di un adulto normale, che contiene 15 gr. di Hb/100 ml di sangue. Il trasporto totale massimale dell'O2, è dunque:
HbO2 + O2 disciolto, ovvero 20.1 + 0.3 = 20.4 ml di O2 per 100 ml di sangue

1.2.3 Variazioni del legame Hb-O2
La curva di Barcroft (fig. 2)

Figura 2 Punti salienti della curva di dissociazione per l'O2. La curva è spostata a destra da un aumento della temperatura, della PCO2 e dal 2,3 DPG, e dalla diminuzione del pH. il contenuto in O2 è calcolato su di una concentrazione di Hb di 14.5 g/100 ml


Questa viene costruita a partire dai valori di SaO2, in funzione della PO2 all'equilibrio. L'aspetto sigmoide è legato alla diversa affinità delle quattro subunità della molecola verso l'ossigeno. 
Essa consta di tre parti :

  1. captazione polmonare : lieve pendenza della curva per valori di PO2 compresi tra 100 e 70 mmHg; la SaO2 si avvicina al 100% solo per valori di PO2 = 200 mmHg.

Anche in caso di bassa PaO2 (fino a 80 mmHg) è possibile che si abbia una buona saturazione. La PaO2 rappresenta un elemento diagnostico dell'ipossia, più sensibile rispetto alla SaO2.

  1. liberazione tissutale: per valori di PO2 bassi, tra 40 e 10 mmHg, la pendenza della curva diviene molto ripida poiché la saturazione cade rapidamente e l'affinità dell'Hb per l'O2 è in effetti bassa.
    La SaO2 riflette meglio la disponibilità dell'ossigeno ai tessuti, in condizioni di ipossia, rispetto alla PaO2.

  2. Spostamenti della curva di dissociazione dell'emoglobina (fig.3)

Fig. 3 La curva centrale rappresenta la curva normale in condizioni standard; le altre due curve rappresentano lo spostamento determinato dalle variazioni indicate di pH, quando rimangono costanti gli altri fattori. I punti venosi sono stati determinati sulla base di una pre-fissata differenza di saturazione di ossigeno artero-venosa, pari in ogni caso al 25%. Essi si trovano così ad una saturazione del 25% inferiore della corrispondente saturazione arteriosa, equivalente ad una PO2 di 100 mmHg in ogni caso. Nelle condizioni illustrate, l'alcalosi abbassa la PO2 venosa e l'acidosi aumenta la PO2 venosa. Tale effetto è invertito nella grave ipossiemia arteriosa. La PO2 tissutale è riferita alla PO2 venosa. Temperatura di 37°; BE = 0


Applicazioni pratiche

2. ADATTAMENTO DEL TRASPORTO DI OSSIGENO

Quattro fattori essenzialmente condizionano l'apporto di ossigeno ai tessuti:

Differenza artero-venosa in O2:
per un organo singolo, DAV è la differenza di concentrazione di O2 tra sangue arterioso e venoso; per l'intero organismo bisogna valutare la differenza tra CaO2 e CvO2 del sangue prelevato nell'arteria polmonare.

Se PaO2 = 95 mmHg: SaO2 = 97%, PvO2 = 40mmHg, SvO2 = 75%
CaO2 = (O2 disciolto) + (P.O. x Hb x SO2)
CaO2 = 0.3 + 19.5 = 19.8ml O2/100ml di sangue
CvO2=(0.023 x 40 x 760-1 x 100)+(1.34 x 15 x 75 : 100)=0.12 + 15=15.1ml O2/100ml di sangue

La DAV a riposo è di 4-5 ml/100 ml di sangue; dipende dal metabolismo e dalla gittata cardiaca e può raggiungere i 15-16 ml durante esercizio. Il coefficiente di estrazione tissutale è il rapporto tra DAV e CaO2. Esso esprime la percentuale di O2 estratta dai tessuti che, a riposo, per l'intero organismo, è del 20-25 %. Il flusso arterioso in O2 è la quantità di O2 apportata ai tessuti nell'unità di tempo:

VaO2 = Q (l/min) x CaO2 (ml/l)
ovvero, a riposo: 6 x 200 = 1.200 ml/min.

Il consumo di Ossigeno tissutale (VO2) è:

VO2 = Q(l/min) x DAV (ml/l) = 5 x 50 = 250 ml/min.

Per un determinato livello metabolico, Q e DAV variano in senso inverso. L'attività metabolica (VO2) dei diversi visceri è variabile, ed è massima per il cuore. I fabbisogni sono garantiti o attraverso un'elevata perfusione (rene), o attraverso un'estrazione pressoché massimale di O2 (miocardio). Quando uno o più dei fattori che determinano la VaO2 sono ridotti, compare un'ipossia tissutale: caduta della gittata cardiaca, anemia, riduzione del potere ossiforico (per es. da CO) e desaturazione arteriosa dovuta ad una riduzione sia della PaO2 che di P.O. La caduta di VaO2 è seguita da un abbassamento di VvO2, che tende a provocare, per compenso, una variazione di altri fattori: aumento della gittata cardiaca, poliglobulia, iperventilazione, alcalosi.

BIBLIOGRAFIA

 

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Monitoraggio dell'Ossigeno: SaO2 - SvO2 - rapporto DO2 / VO2
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R. Neviere (Lille)
dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS

Introduzione

Uno degli obiettivi fondamentali del trattamento di un paziente in una unità di terapia intensiva è quello di ristabilire o di migliorare l'apporto tissutale di ossigeno. Ciò consente il mantenimento in vita dell'organismo e di minimizzare o di prevenire le lesioni dei diversi tessuti. In particolare, nello shock settico come in tutte le altre forme di shock, il primo evento fisiopatologico che si manifesta è rappresentato dalla riduzione del consumo di ossigeno (VO2), prima ancora delle stesse modificazioni emodinamiche. In questi pazienti, in stato di shock settico, la VO2 è normale ma, se si tiene conto dello stato emodinamico ipercinetico, è ridotta. Questa risposta è inappropriata (febbre, ipercatabolismo, aumento delle catecolamine circolanti). Numerosi sono gli studi che sottolineano il ruolo prognostico di questa riduzione della VO2. Questo deficit di ossigeno è responsabile, secondo alcuni autori, dell'evoluzione verso una sindrome di insufficienza multiviscerale. L'attuale monitoraggio in condizioni di shock è volto ad analizzare quanto più esattamente possibile la catena di trasporto dell'ossigeno. La cessione di ossigeno ai tessuti dipende dall'integrità di 3 sistemi:

Ciò significa che bisogna mantenere efficienti:

I valori attualmente accessibili ad un monitoraggio sono:

E' pertanto possibile calcolare, a partire da tali parametri:

La pressione arteriosa non mostra alcuna correlazione con la cessione di O2 (DO2). Ora, poiché nei pazienti in terapia intensiva è auspicabile evidenziare il più rapidamente possibile una discrepanza tra la cessione di O2 e la domanda in O2, la misura della SvO2 viene attualmente proposta come espressione di tale disadattamento. In effetti, possiamo scrivere che:

SvO2 = SaO2 - DO2/VO2

1. MISURA DELLA SvO2

1.1 DEFINIZIONI

L'emoglobina (Hb) ha la proprietà di combinarsi con l'O2 per formare l'ossiemoglobina (HbO2). Essendo la SvO2 la saturazione in ossigeno del sangue dell'arteria polmonare, si ha:

SvO2 = HbO2 / (Hb + HbO2) x 100

La SvO2 dipende dalla PvO2 (pressione parziale in O2 del sangue venoso misto) secondo la curva di dissociazione dell'emoglobina. Poiché la PvO2 é prossima a 40 mmHg, variazioni minime di PvO2 comportano importanti modificazioni della SvO2, poiché ci si trova nella parte ripida della curva di dissociazione dell'emoglobina. Inoltre, agli stessi valori di PvO2, qualunque spostamento della curva di dissociazione dell'emoglobina verso destra o verso sinistra modifica la SvO2. In altre parole, fenomeni fisiologici che nulla hanno a che vedere con l'ossigenazione tissutale, come le variazioni del pH, della pCO2 o della temperatura, possono far variare la SvO2. In effetti la PvO2 è il fattore principale che determina il contenuto in O2 del sangue venoso misto (CvO2), poiché la quantità di ossigeno disciolto è trascurabile:

CvO2 = Hb x 1.34 x SvO2 + 0.003 x PvO2

Hb (g/100) = emoglobina plasmatica

0.003 = coefficiente di solubilità dell'ossigeno nel sangue

1.34 = massima quantità di ossigeno legato ad 1g di Hb.

Allo stesso modo si definisce il contenuto arterioso di ossigeno nel sangue (CaO2):

CaO2 = Hb x 1.34 x SaO2 + 0.003 x PaO2

La misura dei contenuti si effettua a partire da campioni di sangue prelevati simultaneamente a livello dell'arteria polmonare (dove si mescola tutto il sangue proveniente dai diversi tessuti) e a livello di una arteria periferica. Quindi, si misurano indipendentemente la PaO2 e la PvO2, l'emoglobina plasmatica, la SvO2 e la SaO2 sugli apparecchi di riferimento: co-ossimetro IL 282 od emossimetro OSM3. Con tali valori vengono calcolati i contenuti in ossigeno. La principale fonte di errore deriva dal fattore 1.34: in caso di trasfusioni massive od in presenza di emoglobine anomale (HbCO e metHb), l'emoglobina non è più capace di fissare 1.34 ml di ossigeno per grammo e quindi i contenuti in ossigeno risultano sovrastimati. Occorre tuttavia sottolineare che nella maggior parte dei pazienti di rianimazione, al di fuori delle intossicazioni con monossido di carbonio e di alcune intossicazioni medicamentose, la quota di emoglobina anomala resta sempre inferiore al 5%. La metodica che bisogna definitivamente proscrivere per la misura del CvO2 è il calcolo della SvO2 a partire dalla PvO2, dal pH venoso e dalla PvCO2: infatti un errore di 1 mmHg sul valore del PvO2 comporta un errore del 10% sulla SvO2 e, quindi, sul CvO2, essendo trascurabile l'ossigeno disciolto. Una volta misurati i contenuti, si definiscono le seguenti grandezze:

1. Differenza artero-venosa in ossigeno (DAV)

DAV = CaO2 - CvO2 (vol/100 ml)

2. Trasporto dell'ossigeno (TaO2)

TaO2 = CaO2 x IC x 10 (ml/min)

IC = indice cardiaco (l/min)

3. consumo di ossigeno (VO2)

VO2 = DAV x IC x 10

4. Estrazione dell'ossigeno (EaO2)

EaO2 = VO2/TaO2 = 1 - CvO2/CaO2

Finalmente riarrangiando l'equazione si ottiene :

5. CvO2 = CaO2 - VO2/IC

L'equazione 5 definisce i 4 fattori da cui dipende la SvO2, quando la curva di dissociazione dell'emoglobina non varia: la SvO2 (che dipende dalla funzione polmonare), l'emoglobina plasmatica, il consumo di ossigeno tissutale e l'indice cardiaco.

1.2 FATTORI CHE POSSONO SPIEGARE UNA RIDUZIONE DELLA SvO2

Tenuto conto dell'equazione 5, è evidente che una riduzione della SvO2 può essere in rapporto con un'anemia (emodiluizione, emorragia), un'ipossia che causi una desaturazione arteriosa, una riduzione dell'indice cardiaco (ipovolemia, insufficienza cardiaca) o un brusco aumento del consumo di ossigeno (brivido, risveglio, declampaggio aortico alto in corso di chirurgia epatica e vascolare). In rianimazione, queste sono le cause più frequentemente interessate. Per esempio, nei pazienti di rianimazione trattati per insufficienza respiratoria acuta e stato di shock si trova una correlazione mediocre tra le variazioni della SvO2 e dell'indice cardiaco; non esistono correlazioni tra le variazioni della SvO2 ed il consumo di O2. Di contro vi è una eccellente relazione tra le variazioni della SvO2 e le variazioni dell'estrazione tissutale di ossigeno. In altre parole nei pazienti di rianimazione, ogni riduzione della SvO2 significa un aumento dell'estrazione tissutale di ossigeno ed una modificazione del rapporto tra l'ossigeno trasportato e l'ossigeno consumato. Sarà il contesto clinico e la misurazione degli altri parametri emodinamici e respiratori a consentire di trovare l'origine di tale riduzione della SvO2. Il monitoraggio continuo della SvO2 consente precocemente di evidenziare tutte le variazioni di estrazione tissutale d'ossigeno, senza tuttavia indicare il fattore che ne è responsabile. Il medico deve analizzare i fattori implicati, stabilire una diagnosi ed eventualmente trattare la causa della modificazione della SvO2.

Una riduzione della SvO2 è sempre patologica? 

Se si, qual è il valore "normale" della SvO2?

In un soggetto normale a riposo, in condizioni stabili, la SvO2 è intorno al 75%. Durante l'esercizio muscolare, il soggetto normale aumenta considerevolmente il suo consumo di ossigeno. In condizioni di riposo, quest'ultimo è pari a 120-140 ml/min/m2 e può raggiungere dopo sforzo 3500 ml/min/m2, cioè 30 volte il valore a riposo. Tale incremento del consumo di O2 è ottenuto mediante un duplice meccanismo: aumento della gittata cardiaca, che passa da 5 l/min a 30 l/min, ed aumento della differenza artero-venosa, che da 4 raggiunge 18 vol/%. Quando il consumo di ossigeno è massimo, la SvO2 raggiunge il 20%. Esiste, dunque, una riduzione fisiologica della SvO2. In clinica, una situazione analoga si verifica dopo il brivido, sia che si osservi in uno stato infettivo che al momento del risveglio dall'anestesia: ciò che è patologico è il brivido e non il basso valore della SvO2! Solo le riduzioni della SvO2 in rapporto ad un ridotto trasporto arterioso dell'ossigeno devono essere considerate "anomale", poiché si tratta di una riduzione della gittata cardiaca, di un'alterazione dell'ematosi o di una diminuzione dell'emoglobina circolante.

1.3 SITUAZIONI PRIVILEGIATE (in cui la SvO2 dipende da un solo parametro)

Sanguinamento peri-operatorio
Al contrario delle situazioni complesse del paziente di rianimazione in cui 2 o 3 parametri da cui dipende la SvO2 variano simultaneamente, il momento dell'anestesia rappresenta una situazione più semplice. Poiché spesso la funzione polmonare ed il consumo di O2 rimangono costanti, la SvO2 dipende essenzialmente dalla gittata cardiaca e dall'ematocrito. Il monitoraggio continuo della SvO2 consente di evidenziare precocemente la fase emorragica della chirurgia e soprattutto di apprezzare le ripercussioni emodinamiche.

Recentemente, è stato dimostrato in un lavoro sperimentale che durante anestesia generale le variazioni della SvO2 costituiscono un riflesso precoce e sensibile del volume della massa sanguigna perduta, come d'altronde le variazioni dell'indice cardiaco. Al contrario, le variazioni della frequenza cardiaca durante anestesia sono tardive e poco sensibili a causa dell'alterazione dell'arco baroriflesso in corso di anestesia generale. Contrariamente al momento del risveglio, in cui un'emorragia provoca una tachicardia precoce e crescente, durante anestesia si osserva una tendenza ritardata alla riduzione della frequenza cardiaca. In effetti, la grande sensibilità della SvO2 alle perdite emorragiche si esplica mediante un simultaneo calo dell'ematocrito e dell'indice cardiaco. Essendo molto più semplice monitorare in modo continuo la SvO2, piuttosto che effettuare un monitoraggio iterativo delle gittate cardiache, si comprende l'interesse di disporre di un catetere di Swan Ganz a fibre ottiche in corso di una chirurgia emorragica.

Certamente, la correlazione SvO2-gittata cardiaca in anestesia esiste solo se l'ossigenazione arteriosa ed il consumo di ossigeno restano costanti. Quest'ultimo può variare in 2 circostanze: può aumentare durante un accidentale risveglio o ridursi durante un clampaggio vascolare (clampaggio dell'aorta sopraceliaca o clampaggio epatico). Tali variazioni peri-operatorie possono allora potenziarsi o mascherare le ripercussioni dell'emorragia sulla SvO2. Allo stesso modo nel declampaggio vascolare, il brusco aumento del consumo di ossigeno si accompagna ad un decremento rapido della SvO2, che non è più necessariamente espressione di una fase emorragica.

Il risveglio dall'anestesia

La fase di risveglio, specie se accompagnata dal brivido, è caratterizzata da un importante aumento del consumo di ossigeno, che è compensato da un aumento della gittata cardiaca e da un incremento moderato della differenza artero-venosa. Nei pazienti cardiopatici con ridotte riserve cardiache, l'aumento del fabbisogno di ossigeno è soddisfatto quasi esclusivamente da un aumento della differenza artero-venosa in ossigeno. Ne deriva un calo importante della SvO2, per lo più al di sotto del 60%. La ventilazione spontanea può aggravare tale fenomeno a causa dell'ipossiemia che essa comporta. Tuttavia, davanti ad una brusca riduzione della SvO2, al momento del passaggio in ventilazione spontanea, si può soprassedere all'estubazione del paziente per correggere l'ipotermia e le poussées ipertensive della fase di risveglio.

I clampaggi vascolari

Durante la chirurgia dell'aorta toracica discendente e dell'aorta addominale alta, il clampaggio aortico viene effettuato e viene somministrato contemporaneamente un vasodilatatore. Tale clampaggio si accompagna ad una riduzione del consumo di ossigeno, mentre la gittata cardiaca è poco modificata. Ne risulta un'elevazione della SvO2, che per tutta la durata del clampaggio registra valori al di sopra del 90%. Al contrario, al momento del declampaggio aortico, si osserva una brusca caduta SvO2 determinata da un incremento del consumo di ossigeno, che può quadruplicare in qualche minuto. Una situazione analoga si osserva durante il clampaggio del peduncolo epatico (senza clampaggio associato della vena cava) nella chirurgia del fegato. Di contro, nei clampaggi aortici bassi, effettuati durante la chirurgia dell'aorta addominale sottorenale, il consumo di ossigeno non varia sensibilmente e le variazioni della SvO2 sono minime. I clampaggi vascolari alti, con le variazioni metaboliche da essi indotte, sono dunque responsabili delle variazioni peri-operatorie della SvO2 che nulla hanno a che vedere con le variazioni della gittata cardiaca.

Le variazioni brusche dell'ossigenazione arteriosa

Qualunque brusca riduzione della PaO2 si accompagna ad una riduzione concomitante della SvO2. Una situazione di questo tipo si verifica in rianimazione nei pazienti con insufficienza respiratoria acuta, in occasione di aspirazioni tracheali, deconnessione del respiratore, o modificazioni della PEEP. La SvO2 è in effetti molto sensibile alle variazioni dell'ossigenazione arteriosa, comprese quelle in cui la PaO2 varia tra 100 e 400 mmHg. Occorre rilevare che le variazioni della FiO2, della PEEP e, più genericamente, le variazioni della PaO2 comportano immediatamente un cambiamento di SvO2. Questi sono i fattori principali che causano variazioni della SvO2 in rianimazione. Per esempio, quando il paziente viene ventilato in O2 puro per misurare lo shunt vero, si verifica un aumento della SvO2.

Le condizioni di bassa gittata cardiaca

Quando la funzione cardiaca è molto compromessa, non esistono più riserve cardiache. L'unica possibilità che l'organismo possiede per soddisfare un aumento del consumo di ossigeno è l'aumento della differenza artero-venosa, il che si traduce in una riduzione della SvO2. A riposo, i soggetti cardiopatici in condizioni di bassa gittata, hanno una SvO2 bassa, inferiore al 70%. Quando un trattamento con cardiotonici ripristina parzialmente la funzione cardiaca, l'aumento della gittata si traduce in un aumento della SvO2. Si può valutare l'efficacia di un trattamento con cardiotonici sulla base delle variazioni indotte della SvO2. Per esempio le interruzioni accidentali di una perfusione continua di dobutamina comportano un calo rapido della SvO2 nei cardiopatici. In caso di tamponamento cardiaco, il drenaggio pericardico si accompagna ad una elevazione immediata delle SvO2. La tolleranza emodinamica di una turba del ritmo si apprezza in base al livello di SvO2. Una tachiaritmia per fibrillazione atriale a 200 b/min, che non comporti una significativa riduzione della gittata cardiaca, si accompagna ad una SvO2 al di sotto del 60%. Una bradicardia o il ritorno ad un ritmo sinusale sotto l'effetto del trattamento, portano ad un miglioramento immediato della SvO2. Il sopraggiungere di turbe di conduzione acute intermittenti, come un blocco atrio-ventricolare di III grado è responsabile di un decremento della gittata cardiaca a causa della bradicardia e comporta un marcato calo della SvO2. Il miglioramento delle turbe di conduzione e l'aumento della frequenza cardiaca normalizzano la gittata cardiaca e la SvO2. La misura continua della SvO2 è, quindi, un metodo di monitoraggio globale ed attraente. Il suo interesse prognostico durante gli stati di shock è già stato sottolineato. Consente di guidare il riempimento vascolare e la scelta dei farmaci, verificandone l'efficacia. Inoltre facilita la regolazione, durante ventilazione meccanica, della FiO2 e della PEEP. Tuttavia occorre conoscerne i limiti. La diminuzione della SvO2 è espressione di una ipossia cellulare globale potenziale o in atto. Un valore normale, tuttavia, non consente di escludere o, viceversa, apprezzare la sofferenza di un organo o dell'altro. Inoltre, la SvO2 può portare a sottostimare o a misconoscere l'ipossia cellulare nelle situazioni in cui esiste una turba dell'estrazione sistemica dell'O2. A tale riguardo, lo shock settico potrebbe essere un limite all'utilizzazione della SvO2, quale indice di ipossia cellulare. In effetti, in corso di shock settico, esistono delle profonde perturbazioni della relazione che unisce la DO2 e la VO2. In particolare CAIN e DANEC hanno sottolineato, per primi, la possibilità che il consumo di O2 (VO2) dipenda dall'ossigeno trasportato (DO2). Fisiologicamente, al di là di un certo livello di trasporto in O2 (300 ml/min/m2) esiste una totale indipendenza tra il VO2 e la DO2. Al di sotto di tale livello critico, si evidenzia una totale dipendenza tra VO2 e DO2; tale dipendenza dipende dall'impossibilità, per l'organismo, di aumentare la sua estrazione di O2, quindi di aumentare il gradiente artero-venoso in O2. In alcune circostanze, in particolare in corso di stati di shock settico, il livello critico è più elevato (500-600 ml/min/m2). Appare allora un'anomala dipendenza tra il VO2 e la DO2. Questa dipendenza può essere indicativa di un'anossia tissutale nei pazienti i cui valori emogasanalitici sono normali o al di sotto della norma e che non mostrano segni di sofferenza cellulare, in particolare segni di acidosi lattica. Su di una serie di 6 pazienti, affetti da shock settico, abbiamo monitorato la SvO2 (Swan Ganz con ossimetria, tipo Oximetrix Opticath). Abbiamo fatto variare l'indice cardiaco (riempimento e/o dobutamina) dal 20 al 25%. Le variazioni della SvO2 con l'IC hanno seguito l'evoluzione dello stato di shock settico. Nella fase iniziale, la SvO2 non varia con l'indice cardiaco. Successivamente, nei pazienti che avranno un'evoluzione favorevole, la SvO2 varia con l'IC, riflettendo il miglioramento delle possibilità di estrazione periferica dell'O2. Per meglio interpretare tali risultati, occorre preliminarmente riscrivere l'equazione di Fick:

VO2 = (CaO2 - CvO2) GC x10 se SaO2 = 1 SvO2 = 1 - VO2/DO2
GC = gittata cardiaca

L'assenza di variazioni della SvO2 in funzione della cessione di O2 è indice di un'anormale dipendenza tra il VO2 e la DO2. In effetti, se la SvO2 è costante, il rapporto VO2-DO2 è costante. Durante questa fase di dipendenza VO2-DO2, il monitoraggio della SvO2 è di scarso interesse, poiché non segue le variazioni dello stato emodinamico dei nostri pazienti. Invece, sembra che la comparsa di variazioni di SvO2 con l'IC, costituisca un segno precoce dell'evoluzione favorevole dello stato di shock settico, poiché compaiono quando pochi segni clinici, emodinamici e biologici mostrano tale evoluzione.

2. LE TECNICHE DI MONITORAGGIO CONTINUO DELLA SaO2

I pulsossimetri, largamente utilizzati in anestesia sono attualmente proposti in rianimazione. Un pulsossimetro è costituito da una sorgente di luce ed un fotorivelatore. La sorgente di luce, composta da due diodi, emette una luce rossa (lunghezza d'onda 660 nm) ed infrarossa (lunghezza d'onda 940 nm). La luce attraversa i tessuti ed il fotorivelatore analizza le variazioni di assorbimento luminoso pulsatile, eliminando l'assorbimento da parte dei tessuti e delle vene. La luce emessa è caratterizzata da due lunghezze d'onda e le variazioni d'assorbimento luminoso sono legate alle variazioni dell'emoglobina ossigenata, della carbossiemoglobina e della metemoglobina. Per differenziare queste due forme di emoglobina dall'ossiemoglobina, bisognerà emettere una luce caratterizzata da quattro lunghezze d'onda.

Due ostacoli limitano l'utilizzazione dei pulsossimetri in unità di terapia intensiva: la difficoltà di mantenere in sede per un lungo periodo il trasduttore e la mediocre affidabilità di tali apparecchi. Tutti, in effetti, qualunque sia il tipo di trasduttore utilizzato, tendono a sovrastimare la SaO2.

In uno studio recente effettuato in rianimazione, si è visto che i valori derivati da trasduttori posizionati su fronte, dita ed orecchio, sovrastimano la SaO2 in media del 6%. Inoltre i movimenti del paziente, le manipolazioni effettuate durante la terapia degli infermieri, il sudore spostano frequentemente il trasduttore con la perdita del segnale misurato e l'attivazione degli allarmi.

Anche lo stato di shock, attraverso la vasocostrizione, l'ipotermia, l'ipotensione arteriosa provocano anche una perdita del segnale. I disfunzionamenti frequenti portano ad un calo dell'attenzione da parte dell'equipe e una non corretta considerazione degli allarmi. Per il momento, quindi, il monitoraggio continuo della SaO2 per via non invasiva resta da mettere a punto in rianimazione. Di contro, esistono dei cateteri a fibre ottiche, che una volta posizionati in un'arteria consentono un monitoraggio fedele e continuo della SaO2.

3. LE TECNICHE DI MONITORAGGIO CONTINUO DELLA PaO2

Nell'adulto non esiste attualmente alcun mezzo affidabile e non invasivo di monitoraggio continuo della PaO2. Mentre la misura transcutanea è affidabile in pediatria, per le caratteristiche fisiologiche del bambino, tale tecnica è inapplicabile nell'adulto. La messa a punto dell'elettrodo di Clark, che può essere inserito in un catetere arterioso radiale, consente il monitoraggio continuo della PaO2 in rianimazione. Esiste già una commercializzazione del prodotto (Continucath, Biomedical sensor Shiley). In uno studio recente, effettuato in rianimazione, è stata trovata una relazione molto stretta tra i valori di PaO2 determinati con il Continucath e quelli determinati in laboratorio per valori di PaO2 compresi tra 30 e 150 mmHg. Al di là di tali valori, il Continucath tende a sovrastimare la PaO2. E' possibile introdurre, sterilmente, l'elettrodo di Clark in una cannula arteriosa già posizionata. Gli inconvenienti della tecnica sono duplici: difficoltà di prelievi e smorzamento rapido della curva della pressione arteriosa se il diametro interno della cannula arteriosa è inferiore a 2mm, poiché l'elettrodo di Clark ha un diametro esterno di 0.55 mm. Se si vuole utilizzare tale elettrodo occorre, quindi, posizionare una cannula arteriosa il cui diametro interno sia di 2 o 2.2 mm. Si ha allora una doppia possibilità di monitoraggio, PaO2 e pressione arteriosa, sempre conservando la possibilità di effettuare prelievi ematici al bisogno. A condizione di rispettare queste raccomandazioni, tale tecnica consente un monitoraggio fedele e continuo della PaO2 in rianimazione.

CONCLUSIONI

L'ossigenazione tissutale dipende:

BIBLIOGRAFIA

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