__________________________________________________________________ __________________________________________________________________ ISSN 1080-3521 EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia - Il giornale italiano on line di anestesia Vol 9 No 01 Gennaio 2004 __________________________________________________________________ __________________________________________________________________ Pubblicato elettronicamente da: Vincenzo Lanza, MD Servizio di Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy E-mail: (lanza@mbox.unipa.it) Keith J Ruskin, MD Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine 333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA Office: 203-785-2802 E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu Copyright (C) 1996 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente, curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine. __________________________ In questo numero: La redazione di Esia-Italia dedica alcuni suoi numeri alla pubblicazione dei lavori che hanno costituito parte del materiale didattico del Corso "Problemi Cardiologici in Anestesia e Terapia Intensiva" tenutosi nel Marzo 2003 presso il CEFPAS (Centro per la Formazione Permanente e l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario) sito in Caltanissetta (Sicilia). Questo è uno dei corsi organizzati in collaborazione con la FEEA (Fondazione Europea di Insegnamento in Anestesiologia) e rappresenta uno dei diversi momenti formativi di un vasto percorso didattico che spazia ampiamente tra le diverse aree di interesse nel campo dell'Anestesia e della Terapia Intensiva. In futuro Esia-Italia ospiterà altri iter formativi monotematici nella certezza di incontrare la continua necessità di studio dei suoi Lettori che potranno così soddisfare in modo sempre gratuito e immediato le proprie esigenze di formazione anche non spostandosi dal proprio posto di lavoro. dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS 1 Trasporto ematico dell'Ossigeno 2 Monitoraggio dell'Ossigeno: SaO2 - SvO2 - rapporto DO2 / VO2 3 Pressione Arteriosa: Fisiologia, Tecniche di misura, Effetti dell'Anestesia 4 Elettrofisiologia della Fibra Miocardica: Fisiopatologia delle Turbe del Ritmo _______________________________________________________ Trasporto ematico dell'Ossigeno _______________________________________________________ R. Krisovic - Hober dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS Introduzione Indispensabile al funzionamento delle cellule animali, l'ossigeno viene trasportato, attraverso il sangue, dallo scambiatore polmonare ai diversi tessuti dell'organismo. Quantitativamente, il trasporto dell'ossigeno è la risultante di due elementi:  il flusso (volume di sangue trasportato nell'unità di tempo) e la concentrazione di ossigeno nel sangue (TO2 = Q x CaO2) A partire dal luogo di approvvigionamento, l'aria ambiente, fino alla sede di utilizzazione, i mitocondri, l'ossigeno si sposta in cascata seguendo i gradienti di pressione (fig.1). Figura 1  Sulla sinistra è indicata la cascata dell'ossigeno con PO2 che scende dal livello presente nell'aria ambiente fino al livello esistente nei mitocondri, sede di utilizzazione dell'ossigeno. Sulla destra sono illustrati i fattori che influenzano l'ossigenazione a differenti livelli della cascata. 1. LE FORME DI TRASPORTO EMATICO DELL'OSSIGENO 1.1 O2 disciolto Legge di Henry: O2 disciolto = aPO2 a = coefficiente di solubilità di Bunsen; esprime il volume di gas disciolto per unità di volume di solvente alla pressione di 1 atmosfera (760mmHg) ed alla temperatura di 38°C. Per l'O2: a = 0.023 ml di O2 / ml di plasma Pertanto l'O2 disciolto in 100 ml di sangue arterioso (PaO2 = 98mmHg): 0.023 x 98 / 760 x 100 = 0.3 ml / 100 ml di sangue. Tale quantità è insufficiente a garantire i bisogni dell'organismo (VO2) Applicazioni: Perfluorocarboni (coefficiente di solubilità 20 volte più grande) Ossigenoterapia iperbarica a 3 ATA L'ossigeno disciolto si approssima a 6 ml ed è sufficiente a garantire da solo il consumo di O2 (VO2). 1.2 O2 combinato con l'emoglobina 1.2.1 Struttura dell'emoglobina La molecola dell'emoglobina è formata da due parti: una parte proteica, la globina, ed un gruppo prostetico o pigmento, l'eme. Tutti i tipi di emoglobina umana possiedono la stessa frazione eme. Le differenze esistenti sono dovute a variazioni della globina. L'emoglobina (Hb) è un enzima allosterico provvisto di molteplici siti recettoriali, capaci di legare degli effettori (O2, CO2, H+, ATP, 2-3 DPG), in grado di modificare la conformazione della proteina e di cambiarne l'affinità per gli altri legandi, in particolare O2 e CO2. L'eme L'anello porfirinico è costituito da quattro anelli pirrolici legati tra loro da ponti metilici. Il ferro è legato all'azoto di ciascun anello pirrolico ed all'azoto in posizione E dell'istidina della globina. Una sesta valenza resta libera per legare l'ossigeno, l'anidride carbonica o l'ossido di carbonio. Quando l'atomo di ferro si trova sotto forma non legata, pentavalente, il diametro dell'atomo aumenta e non può più penetrare tra gli atomi di azoto. Quando l'ossigeno si lega al ferro, il diametro dell'atomo di ferro si riduce e questo può penetrare tra gli anelli pirrolici. Durante tale processo, il legame tra il ferro e l'istidina del segmento "F" della globina è molto stretto. E' questo il legame che sarebbe alla base del meccanismo che determina le modificazioni strutturali delle catene polipeptidiche della globina. La globina E' una proteina costituita da due paia di catene polipeptidiche simmetriche ciascuna delle quali contiene un gruppo prostetico eme. A seconda delle sequenze degli aminoacidi che compongono le catene, si possono individuare diversi tipi di emoglobina. In ciascuna molecola si trovano associate due catene di 141 aminoacidi con una coppia di catene, specifiche per il tipo di emoglobina: ß per l'HbA (adulto normale), delta per l'HbA2, Y per l'HbF (fetale). Quattro livelli strutturali vengono descritti: primario: sequenza aminoacidica secondario: segmenti di aminoacidi terziario: organizzazione di elementi elicoidali quaternario: organizzazione spaziale delle quattro catene a seconda del legame con l'ossigeno, forma deossigenata o tesa (T), e forma ossigenata o rilasciata (R). 1.2.2 Legame Hb-O2 La desossiemoglobina, o Hb ridotta, fissa l'ossigeno trasformandosi in ossiemoglobina (HbO2). Si tratta di un legame reversibile con l'atomo di ferro ferroso della molecola dell'Hb. La reazione è molto rapida: velocità <1/100 di sec. L'HbO2 è più acida dell'Hb ridotta. E' possibile conoscere la quantità di O2 fissata all'HbO2 calcolando o misurando la capacità in ossigeno del sangue attraverso il metodo di Van Slyke. Calcolo: ciascun atomo di ferro può fissare 1 molecola di ossigeno;  4 atomi di ferro fissano 22.400 x 4 = 89.600 ml. di O2. Poiché il peso molecolare dell'Hb é 66.800,  1 gr. di Hb può fissare: 89.600 / 66.800 = 1.34 ml di O2. E' questo il potere ossiforico (P.O.) dell'emoglobina. La capacità massimale dell'HbO2 (Cmax-HbO2) è pari a: Cmax-HbO2: 1.34 X 15 = 20.1 ml per 100 ml di sangue,  allorché la saturazione dell'Hb (SaO2) è del 100%, considerando il sangue di un adulto normale, che contiene 15 gr. di Hb/100 ml di sangue. Il trasporto totale massimale dell'O2, è dunque: HbO2 + O2 disciolto, ovvero 20.1 + 0.3 = 20.4 ml di O2 per 100 ml di sangue 1.2.3 Variazioni del legame Hb-O2 La curva di Barcroft (fig. 2) Figura 2 Punti salienti della curva di dissociazione per l'O2. La curva è spostata a destra da un aumento della temperatura, della PCO2 e dal 2,3 DPG, e dalla diminuzione del pH. il contenuto in O2 è calcolato su di una concentrazione di Hb di 14.5 g/100 ml Questa viene costruita a partire dai valori di SaO2, in funzione della PO2 all'equilibrio. L'aspetto sigmoide è legato alla diversa affinità delle quattro subunità della molecola verso l'ossigeno.  Essa consta di tre parti : captazione polmonare : lieve pendenza della curva per valori di PO2 compresi tra 100 e 70 mmHg; la SaO2 si avvicina al 100% solo per valori di PO2 = 200 mmHg. Anche in caso di bassa PaO2 (fino a 80 mmHg) è possibile che si abbia una buona saturazione. La PaO2 rappresenta un elemento diagnostico dell'ipossia, più sensibile rispetto alla SaO2. liberazione tissutale: per valori di PO2 bassi, tra 40 e 10 mmHg, la pendenza della curva diviene molto ripida poiché la saturazione cade rapidamente e l'affinità dell'Hb per l'O2 è in effetti bassa. La SaO2 riflette meglio la disponibilità dell'ossigeno ai tessuti, in condizioni di ipossia, rispetto alla PaO2. Spostamenti della curva di dissociazione dell'emoglobina (fig.3) Fig. 3 La curva centrale rappresenta la curva normale in condizioni standard; le altre due curve rappresentano lo spostamento determinato dalle variazioni indicate di pH, quando rimangono costanti gli altri fattori. I punti venosi sono stati determinati sulla base di una pre-fissata differenza di saturazione di ossigeno artero-venosa, pari in ogni caso al 25%. Essi si trovano così ad una saturazione del 25% inferiore della corrispondente saturazione arteriosa, equivalente ad una PO2 di 100 mmHg in ogni caso. Nelle condizioni illustrate, l'alcalosi abbassa la PO2 venosa e l'acidosi aumenta la PO2 venosa. Tale effetto è invertito nella grave ipossiemia arteriosa. La PO2 tissutale è riferita alla PO2 venosa. Temperatura di 37°; BE = 0 Applicazioni pratiche Misura dell'ossigeno ematico in normossia ed iperossia Emoglobine anomale e trasporto dell'ossigeno Modificazioni del trasporto di ossigeno nel sangue conservato Ossigenoterapia normobarica 2. ADATTAMENTO DEL TRASPORTO DI OSSIGENO Quattro fattori essenzialmente condizionano l'apporto di ossigeno ai tessuti: la forma della curva di dissociazione dell'emoglobina la capacità ossiforica del sangue e la saturazione in O2 del sangue arterioso le componenti convettive della microcircolazione nei diversi capillari il fabbisogno cellulare in ossigeno ed il flusso delle molecole di O2 dagli eritrociti dei capillari all'interno dei mitocondri. Differenza artero-venosa in O2: per un organo singolo, DAV è la differenza di concentrazione di O2 tra sangue arterioso e venoso; per l'intero organismo bisogna valutare la differenza tra CaO2 e CvO2 del sangue prelevato nell'arteria polmonare. Se PaO2 = 95 mmHg: SaO2 = 97%, PvO2 = 40mmHg, SvO2 = 75% CaO2 = (O2 disciolto) + (P.O. x Hb x SO2) CaO2 = 0.3 + 19.5 = 19.8ml O2/100ml di sangue CvO2=(0.023 x 40 x 760-1 x 100)+(1.34 x 15 x 75 : 100)=0.12 + 15=15.1ml O2/100ml di sangue La DAV a riposo è di 4-5 ml/100 ml di sangue; dipende dal metabolismo e dalla gittata cardiaca e può raggiungere i 15-16 ml durante esercizio. Il coefficiente di estrazione tissutale è il rapporto tra DAV e CaO2. Esso esprime la percentuale di O2 estratta dai tessuti che, a riposo, per l'intero organismo, è del 20-25 %. Il flusso arterioso in O2 è la quantità di O2 apportata ai tessuti nell'unità di tempo: VaO2 = Q (l/min) x CaO2 (ml/l) ovvero, a riposo: 6 x 200 = 1.200 ml/min. Il consumo di Ossigeno tissutale (VO2) è: VO2 = Q(l/min) x DAV (ml/l) = 5 x 50 = 250 ml/min. Per un determinato livello metabolico, Q e DAV variano in senso inverso. L'attività metabolica (VO2) dei diversi visceri è variabile, ed è massima per il cuore. I fabbisogni sono garantiti o attraverso un'elevata perfusione (rene), o attraverso un'estrazione pressoché massimale di O2 (miocardio). Quando uno o più dei fattori che determinano la VaO2 sono ridotti, compare un'ipossia tissutale: caduta della gittata cardiaca, anemia, riduzione del potere ossiforico (per es. da CO) e desaturazione arteriosa dovuta ad una riduzione sia della PaO2 che di P.O. La caduta di VaO2 è seguita da un abbassamento di VvO2, che tende a provocare, per compenso, una variazione di altri fattori: aumento della gittata cardiaca, poliglobulia, iperventilazione, alcalosi. BIBLIOGRAFIA EVEN Ph. "La respiration" Physìologìe humaine, Philippe Meyer, Edition Flammarìon, 1977, 979-998. NUNN J.F. "Applied Respiratory Physiology" 1977, Ed. Butterworths "Le trasport de l'oxygène". Monographie de la Société de Réanìmation de Langue Françaìse 1976, Expansìon Scìentìfìque _______________________________________________________ Monitoraggio dell'Ossigeno: SaO2 - SvO2 - rapporto DO2 / VO2 _______________________________________________________ R. Neviere (Lille) dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS Introduzione Uno degli obiettivi fondamentali del trattamento di un paziente in una unità di terapia intensiva è quello di ristabilire o di migliorare l'apporto tissutale di ossigeno. Ciò consente il mantenimento in vita dell'organismo e di minimizzare o di prevenire le lesioni dei diversi tessuti. In particolare, nello shock settico come in tutte le altre forme di shock, il primo evento fisiopatologico che si manifesta è rappresentato dalla riduzione del consumo di ossigeno (VO2), prima ancora delle stesse modificazioni emodinamiche. In questi pazienti, in stato di shock settico, la VO2 è normale ma, se si tiene conto dello stato emodinamico ipercinetico, è ridotta. Questa risposta è inappropriata (febbre, ipercatabolismo, aumento delle catecolamine circolanti). Numerosi sono gli studi che sottolineano il ruolo prognostico di questa riduzione della VO2. Questo deficit di ossigeno è responsabile, secondo alcuni autori, dell'evoluzione verso una sindrome di insufficienza multiviscerale. L'attuale monitoraggio in condizioni di shock è volto ad analizzare quanto più esattamente possibile la catena di trasporto dell'ossigeno. La cessione di ossigeno ai tessuti dipende dall'integrità di 3 sistemi: il sistema respiratorio, che assicura una soddisfacente saturazione arteriosa; il sistema macrocircolatorio, che assicura il trasporto di O2; il sistema microcircolatorio, che assicura la perfusione tissutale e polmonare. Ciò significa che bisogna mantenere efficienti: gli scambi polmonari la gittata cardiaca i flussi regionali (distribuzione della gittata cardiaca) il contenuto arterioso in ossigeno l'estrazione periferica dell'O2 I valori attualmente accessibili ad un monitoraggio sono: CaO2: contenuto arterioso in O2 (ml/dl) CvO2: contenuto venoso in O2 (ml/dl) SaO2: saturazione arteriosa in O2 (%) SvO2: saturazione venosa in O2 (%) IC: indice cardiaco (l/min/m2) E' pertanto possibile calcolare, a partire da tali parametri: VO2 (consumo di O2) = IC x (CaO2 - CvO2) x 10 (ml/min/m2) DO2 (rilascio di O2) = IC x CaO2 x 10 (ml/min/m2) Estrazione di O2 (OER) = CaO2 - CvO2 / CaO2. La pressione arteriosa non mostra alcuna correlazione con la cessione di O2 (DO2). Ora, poiché nei pazienti in terapia intensiva è auspicabile evidenziare il più rapidamente possibile una discrepanza tra la cessione di O2 e la domanda in O2, la misura della SvO2 viene attualmente proposta come espressione di tale disadattamento. In effetti, possiamo scrivere che: SvO2 = SaO2 - DO2/VO2 1. MISURA DELLA SvO2 1.1 DEFINIZIONI L'emoglobina (Hb) ha la proprietà di combinarsi con l'O2 per formare l'ossiemoglobina (HbO2). Essendo la SvO2 la saturazione in ossigeno del sangue dell'arteria polmonare, si ha: SvO2 = HbO2 / (Hb + HbO2) x 100 La SvO2 dipende dalla PvO2 (pressione parziale in O2 del sangue venoso misto) secondo la curva di dissociazione dell'emoglobina. Poiché la PvO2 é prossima a 40 mmHg, variazioni minime di PvO2 comportano importanti modificazioni della SvO2, poiché ci si trova nella parte ripida della curva di dissociazione dell'emoglobina. Inoltre, agli stessi valori di PvO2, qualunque spostamento della curva di dissociazione dell'emoglobina verso destra o verso sinistra modifica la SvO2. In altre parole, fenomeni fisiologici che nulla hanno a che vedere con l'ossigenazione tissutale, come le variazioni del pH, della pCO2 o della temperatura, possono far variare la SvO2. In effetti la PvO2 è il fattore principale che determina il contenuto in O2 del sangue venoso misto (CvO2), poiché la quantità di ossigeno disciolto è trascurabile: CvO2 = Hb x 1.34 x SvO2 + 0.003 x PvO2 Hb (g/100) = emoglobina plasmatica 0.003 = coefficiente di solubilità dell'ossigeno nel sangue 1.34 = massima quantità di ossigeno legato ad 1g di Hb. Allo stesso modo si definisce il contenuto arterioso di ossigeno nel sangue (CaO2): CaO2 = Hb x 1.34 x SaO2 + 0.003 x PaO2 La misura dei contenuti si effettua a partire da campioni di sangue prelevati simultaneamente a livello dell'arteria polmonare (dove si mescola tutto il sangue proveniente dai diversi tessuti) e a livello di una arteria periferica. Quindi, si misurano indipendentemente la PaO2 e la PvO2, l'emoglobina plasmatica, la SvO2 e la SaO2 sugli apparecchi di riferimento: co-ossimetro IL 282 od emossimetro OSM3. Con tali valori vengono calcolati i contenuti in ossigeno. La principale fonte di errore deriva dal fattore 1.34: in caso di trasfusioni massive od in presenza di emoglobine anomale (HbCO e metHb), l'emoglobina non è più capace di fissare 1.34 ml di ossigeno per grammo e quindi i contenuti in ossigeno risultano sovrastimati. Occorre tuttavia sottolineare che nella maggior parte dei pazienti di rianimazione, al di fuori delle intossicazioni con monossido di carbonio e di alcune intossicazioni medicamentose, la quota di emoglobina anomala resta sempre inferiore al 5%. La metodica che bisogna definitivamente proscrivere per la misura del CvO2 è il calcolo della SvO2 a partire dalla PvO2, dal pH venoso e dalla PvCO2: infatti un errore di 1 mmHg sul valore del PvO2 comporta un errore del 10% sulla SvO2 e, quindi, sul CvO2, essendo trascurabile l'ossigeno disciolto. Una volta misurati i contenuti, si definiscono le seguenti grandezze: 1. Differenza artero-venosa in ossigeno (DAV) DAV = CaO2 - CvO2 (vol/100 ml) 2. Trasporto dell'ossigeno (TaO2) TaO2 = CaO2 x IC x 10 (ml/min) IC = indice cardiaco (l/min) 3. consumo di ossigeno (VO2) VO2 = DAV x IC x 10 4. Estrazione dell'ossigeno (EaO2) EaO2 = VO2/TaO2 = 1 - CvO2/CaO2 Finalmente riarrangiando l'equazione si ottiene : 5. CvO2 = CaO2 - VO2/IC L'equazione 5 definisce i 4 fattori da cui dipende la SvO2, quando la curva di dissociazione dell'emoglobina non varia: la SvO2 (che dipende dalla funzione polmonare), l'emoglobina plasmatica, il consumo di ossigeno tissutale e l'indice cardiaco. 1.2 FATTORI CHE POSSONO SPIEGARE UNA RIDUZIONE DELLA SvO2 Tenuto conto dell'equazione 5, è evidente che una riduzione della SvO2 può essere in rapporto con un'anemia (emodiluizione, emorragia), un'ipossia che causi una desaturazione arteriosa, una riduzione dell'indice cardiaco (ipovolemia, insufficienza cardiaca) o un brusco aumento del consumo di ossigeno (brivido, risveglio, declampaggio aortico alto in corso di chirurgia epatica e vascolare). In rianimazione, queste sono le cause più frequentemente interessate. Per esempio, nei pazienti di rianimazione trattati per insufficienza respiratoria acuta e stato di shock si trova una correlazione mediocre tra le variazioni della SvO2 e dell'indice cardiaco; non esistono correlazioni tra le variazioni della SvO2 ed il consumo di O2. Di contro vi è una eccellente relazione tra le variazioni della SvO2 e le variazioni dell'estrazione tissutale di ossigeno. In altre parole nei pazienti di rianimazione, ogni riduzione della SvO2 significa un aumento dell'estrazione tissutale di ossigeno ed una modificazione del rapporto tra l'ossigeno trasportato e l'ossigeno consumato. Sarà il contesto clinico e la misurazione degli altri parametri emodinamici e respiratori a consentire di trovare l'origine di tale riduzione della SvO2. Il monitoraggio continuo della SvO2 consente precocemente di evidenziare tutte le variazioni di estrazione tissutale d'ossigeno, senza tuttavia indicare il fattore che ne è responsabile. Il medico deve analizzare i fattori implicati, stabilire una diagnosi ed eventualmente trattare la causa della modificazione della SvO2. Una riduzione della SvO2 è sempre patologica?  Se si, qual è il valore "normale" della SvO2? In un soggetto normale a riposo, in condizioni stabili, la SvO2 è intorno al 75%. Durante l'esercizio muscolare, il soggetto normale aumenta considerevolmente il suo consumo di ossigeno. In condizioni di riposo, quest'ultimo è pari a 120-140 ml/min/m2 e può raggiungere dopo sforzo 3500 ml/min/m2, cioè 30 volte il valore a riposo. Tale incremento del consumo di O2 è ottenuto mediante un duplice meccanismo: aumento della gittata cardiaca, che passa da 5 l/min a 30 l/min, ed aumento della differenza artero-venosa, che da 4 raggiunge 18 vol/%. Quando il consumo di ossigeno è massimo, la SvO2 raggiunge il 20%. Esiste, dunque, una riduzione fisiologica della SvO2. In clinica, una situazione analoga si verifica dopo il brivido, sia che si osservi in uno stato infettivo che al momento del risveglio dall'anestesia: ciò che è patologico è il brivido e non il basso valore della SvO2! Solo le riduzioni della SvO2 in rapporto ad un ridotto trasporto arterioso dell'ossigeno devono essere considerate "anomale", poiché si tratta di una riduzione della gittata cardiaca, di un'alterazione dell'ematosi o di una diminuzione dell'emoglobina circolante. 1.3 SITUAZIONI PRIVILEGIATE (in cui la SvO2 dipende da un solo parametro) Sanguinamento peri-operatorio Al contrario delle situazioni complesse del paziente di rianimazione in cui 2 o 3 parametri da cui dipende la SvO2 variano simultaneamente, il momento dell'anestesia rappresenta una situazione più semplice. Poiché spesso la funzione polmonare ed il consumo di O2 rimangono costanti, la SvO2 dipende essenzialmente dalla gittata cardiaca e dall'ematocrito. Il monitoraggio continuo della SvO2 consente di evidenziare precocemente la fase emorragica della chirurgia e soprattutto di apprezzare le ripercussioni emodinamiche. Recentemente, è stato dimostrato in un lavoro sperimentale che durante anestesia generale le variazioni della SvO2 costituiscono un riflesso precoce e sensibile del volume della massa sanguigna perduta, come d'altronde le variazioni dell'indice cardiaco. Al contrario, le variazioni della frequenza cardiaca durante anestesia sono tardive e poco sensibili a causa dell'alterazione dell'arco baroriflesso in corso di anestesia generale. Contrariamente al momento del risveglio, in cui un'emorragia provoca una tachicardia precoce e crescente, durante anestesia si osserva una tendenza ritardata alla riduzione della frequenza cardiaca. In effetti, la grande sensibilità della SvO2 alle perdite emorragiche si esplica mediante un simultaneo calo dell'ematocrito e dell'indice cardiaco. Essendo molto più semplice monitorare in modo continuo la SvO2, piuttosto che effettuare un monitoraggio iterativo delle gittate cardiache, si comprende l'interesse di disporre di un catetere di Swan Ganz a fibre ottiche in corso di una chirurgia emorragica. Certamente, la correlazione SvO2-gittata cardiaca in anestesia esiste solo se l'ossigenazione arteriosa ed il consumo di ossigeno restano costanti. Quest'ultimo può variare in 2 circostanze: può aumentare durante un accidentale risveglio o ridursi durante un clampaggio vascolare (clampaggio dell'aorta sopraceliaca o clampaggio epatico). Tali variazioni peri-operatorie possono allora potenziarsi o mascherare le ripercussioni dell'emorragia sulla SvO2. Allo stesso modo nel declampaggio vascolare, il brusco aumento del consumo di ossigeno si accompagna ad un decremento rapido della SvO2, che non è più necessariamente espressione di una fase emorragica. Il risveglio dall'anestesia La fase di risveglio, specie se accompagnata dal brivido, è caratterizzata da un importante aumento del consumo di ossigeno, che è compensato da un aumento della gittata cardiaca e da un incremento moderato della differenza artero-venosa. Nei pazienti cardiopatici con ridotte riserve cardiache, l'aumento del fabbisogno di ossigeno è soddisfatto quasi esclusivamente da un aumento della differenza artero-venosa in ossigeno. Ne deriva un calo importante della SvO2, per lo più al di sotto del 60%. La ventilazione spontanea può aggravare tale fenomeno a causa dell'ipossiemia che essa comporta. Tuttavia, davanti ad una brusca riduzione della SvO2, al momento del passaggio in ventilazione spontanea, si può soprassedere all'estubazione del paziente per correggere l'ipotermia e le poussées ipertensive della fase di risveglio. I clampaggi vascolari Durante la chirurgia dell'aorta toracica discendente e dell'aorta addominale alta, il clampaggio aortico viene effettuato e viene somministrato contemporaneamente un vasodilatatore. Tale clampaggio si accompagna ad una riduzione del consumo di ossigeno, mentre la gittata cardiaca è poco modificata. Ne risulta un'elevazione della SvO2, che per tutta la durata del clampaggio registra valori al di sopra del 90%. Al contrario, al momento del declampaggio aortico, si osserva una brusca caduta SvO2 determinata da un incremento del consumo di ossigeno, che può quadruplicare in qualche minuto. Una situazione analoga si osserva durante il clampaggio del peduncolo epatico (senza clampaggio associato della vena cava) nella chirurgia del fegato. Di contro, nei clampaggi aortici bassi, effettuati durante la chirurgia dell'aorta addominale sottorenale, il consumo di ossigeno non varia sensibilmente e le variazioni della SvO2 sono minime. I clampaggi vascolari alti, con le variazioni metaboliche da essi indotte, sono dunque responsabili delle variazioni peri-operatorie della SvO2 che nulla hanno a che vedere con le variazioni della gittata cardiaca. Le variazioni brusche dell'ossigenazione arteriosa Qualunque brusca riduzione della PaO2 si accompagna ad una riduzione concomitante della SvO2. Una situazione di questo tipo si verifica in rianimazione nei pazienti con insufficienza respiratoria acuta, in occasione di aspirazioni tracheali, deconnessione del respiratore, o modificazioni della PEEP. La SvO2 è in effetti molto sensibile alle variazioni dell'ossigenazione arteriosa, comprese quelle in cui la PaO2 varia tra 100 e 400 mmHg. Occorre rilevare che le variazioni della FiO2, della PEEP e, più genericamente, le variazioni della PaO2 comportano immediatamente un cambiamento di SvO2. Questi sono i fattori principali che causano variazioni della SvO2 in rianimazione. Per esempio, quando il paziente viene ventilato in O2 puro per misurare lo shunt vero, si verifica un aumento della SvO2. Le condizioni di bassa gittata cardiaca Quando la funzione cardiaca è molto compromessa, non esistono più riserve cardiache. L'unica possibilità che l'organismo possiede per soddisfare un aumento del consumo di ossigeno è l'aumento della differenza artero-venosa, il che si traduce in una riduzione della SvO2. A riposo, i soggetti cardiopatici in condizioni di bassa gittata, hanno una SvO2 bassa, inferiore al 70%. Quando un trattamento con cardiotonici ripristina parzialmente la funzione cardiaca, l'aumento della gittata si traduce in un aumento della SvO2. Si può valutare l'efficacia di un trattamento con cardiotonici sulla base delle variazioni indotte della SvO2. Per esempio le interruzioni accidentali di una perfusione continua di dobutamina comportano un calo rapido della SvO2 nei cardiopatici. In caso di tamponamento cardiaco, il drenaggio pericardico si accompagna ad una elevazione immediata delle SvO2. La tolleranza emodinamica di una turba del ritmo si apprezza in base al livello di SvO2. Una tachiaritmia per fibrillazione atriale a 200 b/min, che non comporti una significativa riduzione della gittata cardiaca, si accompagna ad una SvO2 al di sotto del 60%. Una bradicardia o il ritorno ad un ritmo sinusale sotto l'effetto del trattamento, portano ad un miglioramento immediato della SvO2. Il sopraggiungere di turbe di conduzione acute intermittenti, come un blocco atrio-ventricolare di III grado è responsabile di un decremento della gittata cardiaca a causa della bradicardia e comporta un marcato calo della SvO2. Il miglioramento delle turbe di conduzione e l'aumento della frequenza cardiaca normalizzano la gittata cardiaca e la SvO2. La misura continua della SvO2 è, quindi, un metodo di monitoraggio globale ed attraente. Il suo interesse prognostico durante gli stati di shock è già stato sottolineato. Consente di guidare il riempimento vascolare e la scelta dei farmaci, verificandone l'efficacia. Inoltre facilita la regolazione, durante ventilazione meccanica, della FiO2 e della PEEP. Tuttavia occorre conoscerne i limiti. La diminuzione della SvO2 è espressione di una ipossia cellulare globale potenziale o in atto. Un valore normale, tuttavia, non consente di escludere o, viceversa, apprezzare la sofferenza di un organo o dell'altro. Inoltre, la SvO2 può portare a sottostimare o a misconoscere l'ipossia cellulare nelle situazioni in cui esiste una turba dell'estrazione sistemica dell'O2. A tale riguardo, lo shock settico potrebbe essere un limite all'utilizzazione della SvO2, quale indice di ipossia cellulare. In effetti, in corso di shock settico, esistono delle profonde perturbazioni della relazione che unisce la DO2 e la VO2. In particolare CAIN e DANEC hanno sottolineato, per primi, la possibilità che il consumo di O2 (VO2) dipenda dall'ossigeno trasportato (DO2). Fisiologicamente, al di là di un certo livello di trasporto in O2 (300 ml/min/m2) esiste una totale indipendenza tra il VO2 e la DO2. Al di sotto di tale livello critico, si evidenzia una totale dipendenza tra VO2 e DO2; tale dipendenza dipende dall'impossibilità, per l'organismo, di aumentare la sua estrazione di O2, quindi di aumentare il gradiente artero-venoso in O2. In alcune circostanze, in particolare in corso di stati di shock settico, il livello critico è più elevato (500-600 ml/min/m2). Appare allora un'anomala dipendenza tra il VO2 e la DO2. Questa dipendenza può essere indicativa di un'anossia tissutale nei pazienti i cui valori emogasanalitici sono normali o al di sotto della norma e che non mostrano segni di sofferenza cellulare, in particolare segni di acidosi lattica. Su di una serie di 6 pazienti, affetti da shock settico, abbiamo monitorato la SvO2 (Swan Ganz con ossimetria, tipo Oximetrix Opticath). Abbiamo fatto variare l'indice cardiaco (riempimento e/o dobutamina) dal 20 al 25%. Le variazioni della SvO2 con l'IC hanno seguito l'evoluzione dello stato di shock settico. Nella fase iniziale, la SvO2 non varia con l'indice cardiaco. Successivamente, nei pazienti che avranno un'evoluzione favorevole, la SvO2 varia con l'IC, riflettendo il miglioramento delle possibilità di estrazione periferica dell'O2. Per meglio interpretare tali risultati, occorre preliminarmente riscrivere l'equazione di Fick: VO2 = (CaO2 - CvO2) GC x10 se SaO2 = 1 SvO2 = 1 - VO2/DO2 GC = gittata cardiaca L'assenza di variazioni della SvO2 in funzione della cessione di O2 è indice di un'anormale dipendenza tra il VO2 e la DO2. In effetti, se la SvO2 è costante, il rapporto VO2-DO2 è costante. Durante questa fase di dipendenza VO2-DO2, il monitoraggio della SvO2 è di scarso interesse, poiché non segue le variazioni dello stato emodinamico dei nostri pazienti. Invece, sembra che la comparsa di variazioni di SvO2 con l'IC, costituisca un segno precoce dell'evoluzione favorevole dello stato di shock settico, poiché compaiono quando pochi segni clinici, emodinamici e biologici mostrano tale evoluzione. 2. LE TECNICHE DI MONITORAGGIO CONTINUO DELLA SaO2 I pulsossimetri, largamente utilizzati in anestesia sono attualmente proposti in rianimazione. Un pulsossimetro è costituito da una sorgente di luce ed un fotorivelatore. La sorgente di luce, composta da due diodi, emette una luce rossa (lunghezza d'onda 660 nm) ed infrarossa (lunghezza d'onda 940 nm). La luce attraversa i tessuti ed il fotorivelatore analizza le variazioni di assorbimento luminoso pulsatile, eliminando l'assorbimento da parte dei tessuti e delle vene. La luce emessa è caratterizzata da due lunghezze d'onda e le variazioni d'assorbimento luminoso sono legate alle variazioni dell'emoglobina ossigenata, della carbossiemoglobina e della metemoglobina. Per differenziare queste due forme di emoglobina dall'ossiemoglobina, bisognerà emettere una luce caratterizzata da quattro lunghezze d'onda. Due ostacoli limitano l'utilizzazione dei pulsossimetri in unità di terapia intensiva: la difficoltà di mantenere in sede per un lungo periodo il trasduttore e la mediocre affidabilità di tali apparecchi. Tutti, in effetti, qualunque sia il tipo di trasduttore utilizzato, tendono a sovrastimare la SaO2. In uno studio recente effettuato in rianimazione, si è visto che i valori derivati da trasduttori posizionati su fronte, dita ed orecchio, sovrastimano la SaO2 in media del 6%. Inoltre i movimenti del paziente, le manipolazioni effettuate durante la terapia degli infermieri, il sudore spostano frequentemente il trasduttore con la perdita del segnale misurato e l'attivazione degli allarmi. Anche lo stato di shock, attraverso la vasocostrizione, l'ipotermia, l'ipotensione arteriosa provocano anche una perdita del segnale. I disfunzionamenti frequenti portano ad un calo dell'attenzione da parte dell'equipe e una non corretta considerazione degli allarmi. Per il momento, quindi, il monitoraggio continuo della SaO2 per via non invasiva resta da mettere a punto in rianimazione. Di contro, esistono dei cateteri a fibre ottiche, che una volta posizionati in un'arteria consentono un monitoraggio fedele e continuo della SaO2. 3. LE TECNICHE DI MONITORAGGIO CONTINUO DELLA PaO2 Nell'adulto non esiste attualmente alcun mezzo affidabile e non invasivo di monitoraggio continuo della PaO2. Mentre la misura transcutanea è affidabile in pediatria, per le caratteristiche fisiologiche del bambino, tale tecnica è inapplicabile nell'adulto. La messa a punto dell'elettrodo di Clark, che può essere inserito in un catetere arterioso radiale, consente il monitoraggio continuo della PaO2 in rianimazione. Esiste già una commercializzazione del prodotto (Continucath, Biomedical sensor Shiley). In uno studio recente, effettuato in rianimazione, è stata trovata una relazione molto stretta tra i valori di PaO2 determinati con il Continucath e quelli determinati in laboratorio per valori di PaO2 compresi tra 30 e 150 mmHg. Al di là di tali valori, il Continucath tende a sovrastimare la PaO2. E' possibile introdurre, sterilmente, l'elettrodo di Clark in una cannula arteriosa già posizionata. Gli inconvenienti della tecnica sono duplici: difficoltà di prelievi e smorzamento rapido della curva della pressione arteriosa se il diametro interno della cannula arteriosa è inferiore a 2mm, poiché l'elettrodo di Clark ha un diametro esterno di 0.55 mm. Se si vuole utilizzare tale elettrodo occorre, quindi, posizionare una cannula arteriosa il cui diametro interno sia di 2 o 2.2 mm. Si ha allora una doppia possibilità di monitoraggio, PaO2 e pressione arteriosa, sempre conservando la possibilità di effettuare prelievi ematici al bisogno. A condizione di rispettare queste raccomandazioni, tale tecnica consente un monitoraggio fedele e continuo della PaO2 in rianimazione. CONCLUSIONI L'ossigenazione tissutale dipende: dal trasporto di ossigeno (TaO2), che è il volume totale di ossigeno presente nel sangue periferico per unità di tempo, ossia il prodotto del contenuto in O2 del sangue arterioso (CaO2) per la gittata cardiaca dal consumo di ossigeno (VO2), che è la quantità di ossigeno che diffonde dai capillari alle cellule. L'estrazione tissutale di ossigeno (EO2) è definita come il rapporto tra VO2 e TaO2. La regolazione del TaO2, mediante il controllo della ventilazione, dell'indice cardiaco e della sua distribuzione periferica polmonare, consente un rapido adattamento del VO2 all'attività metabolica dei diversi tessuti dell'organismo. Sperimentalmente, per livelli di TaO2 normali o elevati, il VO2 è protetto da un aumento dell'EO2. Con livelli elevati di TaO2 la quantità di O2 che arriva a livello cellulare è sempre al di sopra delle richieste e quindi il sangue viene poco desaturato. In questo caso piccoli incrementi della desaturazione possono compensare facilmente variazioni della TaO2. Tuttavia forti decrementi di TaO2 non possono più essere compensati da un'ulteriore desaturazione raggiungendo così un punto in cui l'EO2 è strettamente dipendente dal TaO2 ovvero dalla quantità di sangue che arriva ai tessuti. BIBLIOGRAFIA - SHUMACKER P.T., CAIN S.M. "The concept of a critical delivery" Intensive Care Med., 13, 223-229, 1987 - SNYDER J.V., PINSKY M.R. "Oxygen transport in the critically ill" Year Book Medical Publishers, Inc. Chicago, 1987 - ANNAT G., VIALE J.P., PERCIVAL C., FROMANT M., MONIT J. "Oxygen delivery and uptake in the adult respiratory distress syndrome" Am. Rev. Respir. Dis., 133, 999-1001, 1986 - SHOEMAKER W.C. "Relation of oxygen transport patterns to the pathophysiology and therapy of shock states" Intensive Care Med., 13, 230-243, 1987 _______________________________________________________ Pressione Arteriosa: Fisiologia, Tecniche di misura, Effetti dell'Anestesia _______________________________________________________ B. Tavernier dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS La pressione arteriosa (P.A.), parametro facilmente accessibile, costituisce uno degli elementi di base della sorveglianza dell'anestesia; il suo valore isolato apporta informazioni di scarsa specificità, ma analizzata insieme ad altri elementi di monitoraggio, la misura della P.A. contribuisce alla valutazione della profondità dell'anestesia ed alla sorveglianza cardiovascolare dell'ammalato durante l'atto chirurgico. L'interpretazione delle variazioni della P.A. in corso di intervento richiede tuttavia la conoscenza della fisiologia della P.A. e della sua regolazione, il valore e i limiti delle differenti metodiche di misura e gli effetti dell'anestesia sulla P.A. 1. FISIOLOGIA DELLA P.A. La P.A. è la pressione idrostatica che vige nell'arteria considerata. In condizioni abituali, la P.A. di un individuo normoteso oscilla entro limiti assai ristretti. Le eccezioni a questa regola generale sono essenzialmente il sonno (durante il quale la pressione può scendere al di sotto di 60/40 mmHg) e l'esercizio fisico. La P.A. non può essere studiata in maniera isolata; la P.A. scaturisce da un equilibrio emodinamico, dedotto dai principi di base dell'idrodinamica in rapporto al flusso sanguigno nel sistema vascolare; lo scorrimento di un liquido in un tubo è funzione del gradiente di pressione ai due estremi del tubo e della resistenza al flusso incontrata dal liquido. La resistenza (R) non può essere misurata direttamente, ma viene espressa come rapporto tra il gradiente di pressione (P) e il flusso (F): R = P/F La formula di Poiseuille stabilisce la relazione tra il flusso, gradiente di pressione, raggio (r), lunghezza del tubo (l) e viscosità del liquido (v): P x r4 F = P  -------------- 8 x l x m Combinando le due equazioni, si ottiene: 8 x l x m R = ------------- P x r4 Benché la legge di Poiseuille non possa essere applicata ad un sistema pulsatile come la circolazione se non per semplicità didattica, essa permette di affrontare due aspetti dell'emodinamica della P.A.: la gittata cardiaca (G.C.) e la resistenza vascolare totale (R.V.T.), somma di tutte le resistenze del sistema vascolare dell'organismo, situate principalmente a livello delle arteriole. Possiamo quindi scrivere: P.A.M. = G.C. x R.V.T. in cui la P.A.M. è la pressione arteriosa media, valore integrato su uno o più cicli cardiaci. La G.C. e la R.V.T. sono dunque determinanti diretti della P.A.; vi si possono aggiungere l'impedenza aortica (l'impedenza descrive la resistenza ad un flusso pulsatile) ed il volume arterioso diastolico. La pressione sistolica, quindi, è determinata dal volume e dalla velocità dell'eiezione ventricolare, dalla resistenza periferica arteriolare, dall'elasticità della parete arteriosa (un'elasticità normale dell'aorta smorza la pressione d'eiezione: l'arteria si dilata, poi ritorna al diametro di riposo durante la diastole), dalla viscosità ematica e dal volume telediastolico del sistema arterioso. L'importanza della caduta della pressione durante la diastole è a sua volta determinata dalla viscosità, dall'elasticità arteriosa, dalla resistenza periferica al flusso sanguigno e dalla lunghezza del ciclo cardiaco. La P.A. sistolica è uno dei fattori determinanti del consumo d'ossigeno miocardico. La P.A. diastolica è un determinante della perfusione sottoendocardica del ventricolo sinistro. La pressione differenziale è un buon riflesso dell'evoluzione del volume sistolico e viene generalmente considerata un buon testimone della perfusione degli organi. I fattori determinanti diretti della P.A. sono sotto l'influenza di differenti sistemi. La gittata cardiaca varia a breve termine con il variare della frequenza cardiaca (F) e/o del volume di eiezione sistolico (V.E.S.): G.C. = F x V.E.S. Tali variazioni sono determinate dagli effetti delle catecolamine liberate dal plesso simpatico cardiaco e dall'attività vagale del pneumogastrico. A medio e a lungo termine la gittata cardiaca varia con le modificazioni del volume circolante, che dipendono dai fenomeni di tensione/rilasciamento che si verificano a livello del sistema venoso, dagli scambi capillari, dalla secrezione di aldosterone, dell'ormone antidiuretico (A.D.H.) e del fattore natriuretico atriale (F.N.A). La resistenza periferica totale è controllata dal sistema nervoso e da quello vasomotore renale. Il controllo nervoso costituisce la regolazione a breve termine e comprende tre elementi: i baroriflessi, i chemocettori ed il riflesso ischemico centrale. Ci occuperemo dettagliatamente dei meccanismi baroriflessi perchè vengono alterati in maniera importante dall'anestesia. Il sistema dei barocettori rappresenta il mezzo di controllo istantaneo e permanente della P.A. tramite un meccanismo di regolazione retrograda. L'informazione viene captata a livello del sistema resistivo (barocettori carotidei ed aortici) e a livello del sistema capacitante (recettori atriali destri). La risposta dei centri, situati nel tronco cerebrale, avviene tramite il sistema nervoso autonomo. La risposta ad un aumento della P.A. determina una riduzione dell'attività adrenergica, con un diminuzione delle resistenze vascolari e bradicardia. Al contrario, un ipotensione arteriosa provoca una riduzione dell'attività vagale ed un aumento di quella simpatica. Il baroriflesso è sotto il controllo di zone situate nel sistema nervoso centrale, che permettono la modulazione del sistema durante il sonno fisiologico, lo sforzo intellettivo o in occasione di uno stress. Gli altri sistemi implicati nella regolazione a breve termine non giuocano che un ruolo occasionale e non fanno parte dei meccanismi di regolazione abituale della P.A. Il sistema vasomotorio renale, per ultimo, agisce a medio termine e comprende un sistema vasocostrittore, il sistema renina-angiotensina, ed un sistema vasodilatatore, il sistema bradichinine-chinine. 2 . TECNICHE DI MISURA La misurazione della P.A. avviene tramite due tipi di tecniche: le tecniche cruente (misura diretta) e le tecniche incruente, non invasive (misura indiretta). 2.1 - Misurazione diretta della P.A. E' basata sulla trasformazione dell'energia meccanica, che rappresenta la pressione intravascolare, in un segnale elettrico per mezzo di un trasduttore (il tipo più utilizzato è un resistore la cui deformazione determina una variazione di resistenza, dunque di un segnale elettrico, proporzionale alla pressione). Questa costituisce la metodica di riferimento, purché le condizioni di misura siano soddisfacenti; ciò implica criteri rigidi di precisione statica e dinamica capaci di rilevare e trasformare i fenomeni fisiologici. La precisione statica è la capacità di misurare eventi statici senza deviazione dalla linea di base, nè variazioni del fattore di amplificazione, nè isteresi. La precisione dinamica implica una riproduzione esatta di fenomeni periodici che si verificano ad intervalli rapidi. La teoria e la sperimentazione mostrano che per una buona riproduzione della curva della P.A. è necessario che l'insieme del sistema di misura trasmetta fedelmente le variazioni d'ampiezza entro frequenze che coprano la frequenza fondamentale ed i primi 8-10 multipli (armonici). Per un cuore che pulsa a 120/min (2 Hz) bisognerà, dunque, registrare le frequenze comprese tra 0 e 20 Hz. Vi sono due fenomeni che possono perturbare la trasmissione del segnale: la risonanza del circuito (dall'arteria al trasduttore) e il suo smorzamento. Per ottenere la riproduzione di un segnale senza distorsione, è necessario che la frequenza di risonanza del sistema sia molto più elevata della più alta frequenza significativa degli armonici del segnale. L'ideale, per una buona misura della P.A., dovrebbe essere un sistema che determini un debole smorzamento (20%) e con una frequenza naturale di risonanza superiore a 50 Hz. I trasduttori rispondono largamente a queste condizioni, ma così non avviene per la linea idraulica. Per ottenere un sistema la cui frequenza di risonanza naturale sia più elevata possibile, bisogna che il raccordo sia il più grosso, corto e rigido possibile. In pratica, un tubo di prolungamento rigido (tipo P.V.C.) di 60 cm di lunghezza, riempito con soluzione fisiologica eparinizzata prima della connessione al malato (per eliminare le bolle d'aria), assemblato con due rubinetti a tre vie, permette di ottenere un circuito il cui smorzamento è del 20-30% circa e la frequenza naturale di risonanza oltre 20 Hz, soddisfacente per il monitoraggio clinico. La misurazione cruenta della P.A. permette la lettura diretta, ciclo per ciclo, dei valori sistolici e diastolici. La pressione media può essere derivata elettronicamente. Inoltre, l'analisi della curva della P.A. può fornire informazioni sulla contrattilità miocardica (valore di dP/dt arteriosa), sul volume d'eiezione sistolico (superficie delimitata dalla pressione pulsatile), sullo stato delle resistenze vascolari (a partire dalla riduzione della P.A. durante la diastole), sul riempimento vascolare (in relazione alle fluttuazioni della P.A. in funzione della ventilazione). Tuttavia, abbiamo visto che l'onda di pressione aortica dipende da numerosi fattori; essa cambia di morfologia quando si propaga verso la periferia, determinando un aumento della pressione sistolica mentre la diastolica e la media diminuiscono leggermente. Questo complica l'interpretazione della morfologia delle curve della P.A. rilevata da un'arteria periferica. Il valore delle informazioni così ottenute è criticato da alcuni autori. Ricordiamo infine che l'inserzione e la presenza più o meno prolungata di un catetere arterioso può determinare vasospasmo, trombosi, embolia, emorragia, aneurisma, fistola artero-venosa, infezione, o ancora embolizzazione retrograda durante il lavaggio. 2.2 - Metodi indiretti La maggior parte delle metodiche di misura indiretta della P.A. si basa sull'occlusione tramite un manicotto pneumatico di un'arteria di calibro relativamente grosso come l'arteria omerale. Queste tecniche hanno beneficiato del largo sviluppo degli apparecchi di misurazione automatica, non manovrati dall'operatore. Il rilevamento della pressione sistolica (P sist.) e diastolica (P diast.), durante lo sgonfiamento progressivo del bracciale può essere fatto con quattro metodi principali: l'auscultazione dei toni di Korotkoff, la registrazione delle oscillazioni, il rilevamento con gli ultrasuoni dei movimenti della parete arteriosa, infine la determinazione del flusso sanguigno mediante la palpazione, gli ultrasuoni, o un sistema fotoelettrico. Le dimensioni del bracciale devovo essere adatte a quelle del braccio (o dell'arto scelto): la lunghezza deve essere almeno superiore al 20% del diametro del braccio (o del segmento dell'arto); la velocità di gonfiaggio del manicotto non deve essere troppo rapida. I risultati ottenuti dalla metodica dei toni di Korotkoff sono complessivamente ben correlati con quelli ottenuti per via cruenta. Sfortunatamente, vi è una grande variabilità, dell'ordine di +/- 20 mmHg, per quanto riguarda i valori medi, con una tendenza a sottostimare la P sist. e sovrastimare quella diast. La metodica, inoltre, perde di affidabilità in caso di ipotensione o in situazioni ipercinetiche. Il metodo oscillometrico è attualmente, grazie agli apparecchi automatici, il metodo non invasivo più interessante nella pratica clinica. La curva oscillometrica registrata durante lo sgonfiaggio del bracciale mostra la pressione media, sistolica e diastolica. I valori ottenuti sono eccellenti per la P sist. e media (P med.). In caso di ipotensione moderata, la misura della P sist. e med. resta relativamente affidabile. Il metodo Doppler che rileva i movimenti della parete arteriosa ha un ottimo rendimento (P sist. e diast.), purché il trasduttore sia posizionato correttamente; sono utili in alcune situazioni difficili principalmente in bambini ed in obesi. In caso di ipotensione l'affidabilità è dello stesso ordine di quella del metodo oscillometrico. La rilevazione del flusso sanguigno per semplice palpazione permette d'identificare solamente la P sist.; è una metodica poco attendibile perchè dipende dalla sensibilità tattile dell'operatore. Il sistema può essere automatizzato tramite l'utilizzazione di un flussimetro basato sull'effetto Doppler, che permette di determinare la P sist. e, in maniera più aleatoria la P diast. Un altro metodo di rilevamento del flusso è la foto-pletismografia: un sistema ad infrarossi illumina la cute e rileva le variazioni dell'assorbimento luminoso, che corrispondono alle variazioni della quantità di emoglobina arteriosa (l'Hb assorbe parzialmente gli infrarossi). Si basa sul ritmo del polso. Il foto-pletismografo è posto in un piccolo manicotto pneumatico che si mette attorno ad un dito. Il sistema è costituito da un dispositivo automatico di intereazione tra il trasduttore ad infrarossi ed il manicotto che un sistema pneumatico gonfia e sgonfia secondo il ritmo del polso in modo tale da ottenere un'onda pletismografica non pulsatile; la pressione misurata nel manicotto corrisponde esattamente alla P.A. Questo tipo di apparecchio può fornire dunque in continuo, ciclo per ciclo, la P sist., la P diast., la P med. oltrechè la curva della P.A. del dito. Il comportamento delle arterie distali, tuttavia, limita la portata teorica della metodica. Un secondo inconveniente teorico sarebbe rappresentato dalla compressione venosa permanente del dito, poichè il bracciale resta continuamente gonfio tra la P sist. e la P diast. In pratica, i risultati ottenuti sono soddisfacenti, anche in presenza di ipotensione. Nell'uso prolungato, compare una riduzione, nella maggior parte dei casi minima, della P.A. misurata in rapporto alla P.A cruenta, probabilmente secondaria alla posizione periferica dell'apparecchio. Il monitoraggio tramite tonometria arteriosa è in corso di valutazione. Secondo dei lavori recenti, si tratterebbe di una tecnica affidabile, che dà anche la P.A. radiale (P sist., diast., curva di pressione) in continuo in maniera non invasiva. Segnaliamo che sono state riportate rare osservazioni di lesioni nervose ischemiche durante l'uso di dispositivi automatici; questi incidenti sono abitualmente il risultato di una utilizzazione intensiva (una misurazione al minuto) e prolungata, ma anche di un'errato posizionamento del bracciale. 3. EFFETTI DELL'ANESTESIA Gli effetti dell'anestesia sulla P.A. vengono studiati considerandone, in senso generale, gli effetti emodinamici. L'anestesia generale o loco-regionale modifica la fisiologia della P.A. secondo due meccanismi: il primo è una modificazione della P.A. per azione diretta sul cuore o sui vasi. Il secondo corrisponde ad un'azione degli anestetici sugli elementi che regolano la P.A. 3.1 - Fattori fisiopatologici Per interpretare gli effetti dell'anestesia sulla P.A., bisogna considerare che il consumo di ossigeno dell'organismo è ridotto durante anestesia e che, fisiologicamente, la gittata cardiaca varia secondo le modificazioni del consumo di ossigeno. Anche in anestesia le variazioni della P.A. vengono regolate secondo i nuovi bisogni dell'organismo. Vi sono, tuttavia, altri fattori in causa: il tono centrale simpatico e parasimpatico viene molto frequentemente modificato dall'induzione dell'anestesia; la maggior parte degli agenti anestetici deprime il riflesso barocettoriale. Possono inoltre essere osservati degli effetti inotropi negativi e/o vasodilatatori diretti o da istamino-liberazione. 3.2 - Studio analitico dei diversi agenti anestetici 3.2.1 - Agenti gassosi e volatili Protossido d'azoto: alle concentrazioni utilizzate in clinica, determina scarse variazioni della P.A. (riduzione della gittata cardiaca e aumento delle resistenze periferiche). Si può osservare, inoltre, una leggera e, discutibile depressione dei meccanismi baroriflessi (nella maggior parte degli studi, il protossido d'azoto era associato ad altri anestetici). Alogenati: l'alotano e l'isoflurane determinano una riduzione dose-dipendente della P.A., che sembra di uguale importanza a parità di MAC. La riduzione della P.A. è leggermente più marcata per l'enflurane. Per l'alotano ed l'enflurane l' ipotensione è dovuta essenzialmente ad una riduzione della gittata cardiaca. Con l'isoflurane, la caduta della P.A. s'accompagna ad una diminuzione delle resistenze vascolari sistemiche che permettono di mantenere la gittata cardiaca malgrado si verifichi una riduzione della contrattilità miocardica identica a quella osservata con gli altri due agenti volatili. I tre alogenati deprimono i baroriflessi; l'alotano possiede un effetto più marcato seguito in potenza da enflurane e da isoflurane. Tale depressione è proporzionale alla concentrazione inalata. 3.2.2 - Anestetici endovenosi Il tiopentone ed il metoexitone provocano una riduzione della P.A., dipendente dalla dose e dalla velocità d'iniezione, legata alla caduta della gittata cardiaca. Tali sostanze deprimono il sistema barocettoriale in misura modesta rispetto agli alogenati. La ketamina determina un aumento della P.A., della gittata cardiaca e delle resistenze periferiche per stimolazione del sistema simpatico. Non deprime il sistema barocettoriale. L'etomidate modifica poco o per nulla la P.A. (lieve riduzione delle resistenze vascolari sistemiche, gettata cardiaca invariata o leggermente aumentata) e non altera i baroriflessi. Con il propofol si osserva costantemente all'induzione un'ipotensione arteriosa superiore a quella osservata con una dose equipotente di tiopentone. Per contro, l'attività baroriflessa non è depressa. 3.2.3 - Benzodiazepine I farmaci di questa classe utilizzati in anestesia (diazepam, flunitrazepam, midazolam) riducono la P.A., in misura modesta per il diazepam ed il midazolam, in maniera più importante per il flunitrazepam; hanno un effetto depressorio transitorio sull'attività baroriflessa. Tale depressione è tuttavia relativamente modesta se si confronta a quella che si osserva con gli alogenati. 3.2.4 - Morfinomimetici La morfina possiede una buona tolleranza emodinamica, determinando in generale una ipotensione arteriosa moderata. A volte, in rapporto ad un'istamino-liberazione, si osserva un'ipotensione marcata. Gli effetti sulla P.A. dei morfinomimetici (quando utilizzati da soli) sono modesti o nulli (nell'ordine crescente: destromoramide, fenoperidina, alfentanil e fentanil). La morfina deprime i baroriflessi mentre il fentanil li modifica poco o nulla. 3.2.5 - Miorilassanti La succinilcolina determina un aumento della pressione arteriosa. Il pancuronium determina un'elevazione moderata della P.A. Il vecuronium non modifica la P.A. L'atracurium, alla dose di 400 µg/kg non altera la P.A.. A dosi più elevate (> 1000 µg/kg) si verifica una riduzione moderata della P.A. (caduta delle resistenze periferiche per istamino-liberazione) 3.2.6 - Anestesia rachidea Il blocco della conduzione delle fibre simpatiche spiega l'ipotensione arteriosa che si verifica con questo tipo d'anestesia. Tale ipotensione è generalmente modesta e ben tollerata. Si può ipotizzare un'alterazione dell'attività baroriflessa, nella misura in cui si constata abitualmente una bradicardia associata ad ipotensione pur in assenza del blocco delle fibre cardio-acceleratrici. In effetti, la bradicardia osservata è piuttosto il risultato della modificazione del tono vagale dovuto alla diminuzione del ritorno venoso, non essendo interessato il controllo baroriflesso della frequenza cardiaca. 3.3 - Fattori che alterano la risposta emodinamica all'anestesia Gli effetti sulla P.A., descritti fin qui per i soggetti sani, possono essere differenti secondo le condizioni di studio. In realtà l'associazione dei vari farmaci può modificare le proprietà di ciascuno; per esempio, l'assenza di variazioni di P.A. che si osservano con il fentanil a dosi elevate si verifica a condizione che non si associ il protossido d'azoto. Così l' ipotensione all'induzione è più importante nei soggetti in terapia con vasodilatatori. Un'altro elemento importante è la patologia associata: è il caso dei pazienti ipovolemici o in stato di shock, ma anche degli ipertesi non trattati, nei quali la caduta della P.A. all'induzione si verifica pressocchè con tutti gli anestetici. Infine esiste un'influenza reciproca tra gli effetti degli anestetici sulla P.A., la sua regolazione e le variazioni emodinamiche legate all'atto chirurgico (stimolazioni nocicettive, posture e cambiamenti di posizione, compressioni e clampaggi vascolari). CONCLUSIONI Una buona conoscenza degli effetti dell'anestesia sulla P.A. e della sua regolazione, è indispensabile per una scelta oculata degli agenti e delle tecniche anestesiologiche utilizzati nelle diverse situazioni cliniche oltre che per la comprensione delle variazioni della P.A. osservate in anestesia. _______________________________________________________ Elettrofisiologia della Fibra Miocardica: Fisiopatologia delle Turbe del Ritmo ______________________________________________________ Ph. Scherpereel dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS 1. RICHIAMI DI FISIOLOGIA La contrazione muscolare: i passaggi biochimici che consentono l'accoppiamento tra l'eccitazione nervosa e l'attività contrattile muscolare cardiaca sono schematizzati in figura 1. Sodio, Potassio e Calcio, ioni a carica positiva, sono i mediatori dello stimolo nervoso nelle sinapsi eccitatorie; il Cloro, ione negativo, sembra giocare un ruolo importante nelle sinapsi inibitorie. Figura 1 In condizioni di riposo la diversa distribuzione degli ioni tra l'interno e l'esterno della cellula (fig. 2) comporta la creazione di un potenziale elettrico, negativo verso l'interno della cellula, chiamato potenziale di riposo. L'eccitazione nervosa trasmessa al muscolo determina, in questo, l'alterazione dei potenziali di riposo delle sue cellule, provocando il cosiddetto potenziale d'azione, che consiste in una depolarizzazione della membrana cellulare ed è conseguente a delle brusche o lente variazioni della permeabilità della membrana ad uno degli ioni suddetti. Figura 2 - DISTRIBUZIONE INTRA ED EXTRACELLULARE DEGLI IONI (mEq/l) All'interno delle cellule muscolari si ha, in seguito a tale depolarizzazione, una liberazione di ioni Calcio dal sistema sarcotubulare, che innesca, attraverso l'attivazione dell'adenosin-trifosfatasi (ATP-asi), la scissione dell'ATP, la liberazione del fosfato attivo, cioè di energia, e la contrazionevera e propria. Alla fine di questa serie di eventi si verifica la ripolarizzazione della membrana e la cellula entra nella fase di riposo. 1.1 L'attività elettromuscolare cardiaca Nell'ambito del miocardio possono essere distinti due tipi di fibrocellule: quelle deputate al solo evento contrattile in risposta ad uno stimolo elettrico (miocardio di lavoro) e quelle deputate alla generazione dell'evento elettrico (cellule pace-maker) ed alla sua conduzione a tutti i distretti miocardici (sistema di conduzione). In questi differenti tipi di cellule miocardiche, il potenziale d'azione ed il potenziale di riposo seguono dei meccanismi d'instaurazione differenti e sono dipendenti, per questi eventi, dai movimenti transmembranari spontanei o in risposta a stimolo elettrico, degli ioni Sodio, Calcio, Potassio. La differenza di potenziale transmembranaria di una cellula cardiaca è assicurata fondamentalmente dalla differente distribuzione in concentrazione del Sodio e del Potassio ai due lati della membrana. La concentrazione del Potassio all'interno è circa trenta volte maggiore che all'esterno e la concentrazione di Sodio è circa dieci volte maggiore all'esterno che all'interno. Il mantenimento di questi gradienti transmembrana è assicurato dall'esistenza di una pompa Na+/K+, ATP-ATPasi dipendente, che "pompa" tali ioni contro i loro gradienti elettrochimici. 1.2 La fibrocellula miocardica Viene comunemente operata una distinzione funzionale delle fibrocellule cardiache in cellule "segnapassi" e cellule "non segnapassi", in rapporto alla loro capacità di generare un automatismo. Le prime sono localizzate in corrispondenza del Nodo S-A, del tessuto atriale specializzato, della parte distale del Nodo A-V, del fascio di His. Le seconde costituiscono il tessuto muscolare atriale e ventricolare ed, essendo prive della capacità di automatismo, la loro depolarizzazione è legata alla propagazione di un impulso proveniente dalle cellule segnapassi attraverso il sistema di conduzione. E ormai ben documentata l'esistenza di due tipi di fibre, "a risposta rapida" e a "risposta lenta", che differiscono per proprietà elettrofisiologiche ben caratterizzate(fig. 3). Le prime sono costituite dalle fibrocellule "di lavoro" atriali e ventricolari e dalle fibrocellule di Purkinje. Le seconde sono localizzate in corrispondenza del Nodo S-A, del Nodo A-V ed in alcune fibre presenti nei lembi valvolari mitralico e tricuspidale e negli anelli atrio-ventricolari. In particolari condizioni (cardiopatia ischemica, intossicazione digitalica) le fibre "rapide" possono acquisire caratteristiche di fibre "lente". Il meccanismo di attivazione di questi due tipi di cellule è differente. Figura 3 - PROPRIETA' ELETTROFISIOLOGICHE DELLE FIBROCELLULE CARDIACHE 1.3 Le fibre rapide e loro potenziale d'azione Cellule "rapide" (figura 4): hanno un potenziale di riposo molto alto (80-95mV) ed un potenziale soglia compreso tra -60 e -70 mV. La depolarizzazione (fase 0) è il risultato della penetrazione del Sodio all' interno della cellula, attraverso i "canali rapidi" e seguendo il gradiente elettrochimico. Tale flusso sarebbe favorito dall'aumentata permeabilità di membrana, secondaria allo stimolo eccitante. Questa "corrente rapida" è seguita da una "corrente lenta", attivata a potenziali meno negativi (-55 mV), attribuibile al Calcio, che si manterrebbe fino alla fase pianeggiante del potenziale d'azione. La fase 1, comunemente detta della "ripolarizzazione precoce" è legata alla rapida caduta della conduttanza al Sodio ed al breve aumento della conduttanza al Cloro che penetra all'interno della cellula. La fase 2, detta della "ripolarizzazione lenta", è dovuta al permanere della "corrente lenta" del Calcio, diretta verso l'interno della cellula. La chiusura dei canali lenti e l'aumento della conduttanza al Potassio, che fuoriesce dalla cellula, determina la fase 3. Infine la pompa del Sodio ATP-dipendente, trasporta, contro il gradiente elettrochimico, il Sodio verso l'esterno ed il Potassio verso l'interno della cellula. Figura 4 POTENZIALE D'AZIONE DELLE FIBRE RAPIDE 1.4 Fibre lente e loro potenziale d'azione Cellule lente (figura 5): le fibre cardiache "lente" sono caratterizzate da un piccolo potenziale di riposo (-40/50 mV) e da un potenziale soglia di -30/40mV. La non utilizzazione della "corrente rapida" del Sodio e l'utilizzo del canale del Calcio (più lento e duraturo), determina un potenziale d'azione caratterizzato da una minore pendenza della fase 0 ed un arrotondamento del "picco". Tale caratteristica elettrofisiologica determina un diverso comportamento nei confronti di stimoli fisiologici o della presenza di inibitori specifici. La corrente del Sodio, infatti, caratteristica delle fibre rapide, viene inibita dalla tetrodotossina, mentre la corrente del Calcio, caratteristica delle cellule "lente", viene inibita specificamente dal Manganese, dal Cobalto, dal Lantanio e dal Verapamil, mentre viene attivata dalle catecolamine. Nelle cellule "automatiche", la riduzione progressiva della conduttanza al Potassio (verso l'esterno della cellula) determina una "depolarizzazione diastolica" lenta (fase 4) fino al raggiungimento spontaneo di un potenziale soglia, che darà origine ad un potenziale d'azione. Figura 5 POTENZIALE D'AZIONE DELLE FIBRE LENTE 1.5 Distribuzione dei centri generatori dell'impulso cardiaco La "gerarchia" dei centri segnapassi del cuore è assicurata proprio dalla differente pendenza della fase 4, man mano che si procede dal Nodo S-A fino al sistema di His-Purkinje. Le fibrocellule del Nodo S-A, generando una pendenza più "ripida" della fase 4, raggiungeranno prima il loro potenziale soglia e assumeranno il "governo" fisiologico del cuore. Al contrario, un blocco della conduzione atrio-ventricolare, permetterà l'attivazione di un centro "gerarchicamente" più basso, che essendo caratterizzato da una minore pendenza della fase 4, genererà un automatismo a più bassa frequenza. La pendenza della fase 4 è influenzata da diversi fattori e farmaci (la stimolazione dei B-adrenorecettori, determina un aumento della pendenza di tale fase e quindi della frequenza di scarica; la stimolazione parasimpatica determina una risposta inversa). 1.6 Refrattarietà Una caratteristica importante delle cellule cardiache, segnapassi e di lavoro, è data dal fenomeno della refrattarietà. Durante la fase di depolarizzazione la cellula è incapace di rispondere ad un ulteriore stimolo. Volendo semplificare, possiamo distinguere una fase di refrattarietà assoluta, nel corso della quale nessuno stimolo aggiunto può determinare un potenziale d'azione e una fase di refrattarietà relativa, nel corso della quale, solo stimoli più forti del normale possono provocare una depolarizzazione (fig. 6). Figura 6 REFRATTARIETA', MOVIMENTI IONICI E POTENZIALE D'AZIONE 2. TURBE DEL RITMO Tra le numerose alterazioni del ritmo cardiaco verranno citate solo quelle che sono di più frequente riscontro in corso di anestesia.In questa condizione non va dimenticato, che i farmaci anestestici hanno proprietà aritmogene, sufficienti a provocare aritmie che scompaiono dopo sospensione del farmaco ed ad esaltare aritmie di cui il paziente è già portatore (figura7, figura 8) . FIGURA 7 - EFFETTI EMODINAMICI DI ALCUNI ANTIARITMICI   FIGURA 8 - FARMACI ANESTETICI CHE POTENZIANO GLI EFFETTI CARDIOVASCOLARI DEGLI ANTIARITMICI 2.1 Aritmie causate da rallentamento della conduzione Tipo Etiologia Ecg blocco atrioventricolare (BAV) infarto posteriore ischemia miocardica  degenerazione senile  intossicazione digitalica chirurgia cardiaca P-R > 0.20s (1°) periodismo (2°) totale (3°) blocchi di branca destro (BBD) destro incompleto destro completo congenita od organica  ipertrofia dx onde RsR',rSR' nelle precordiali destre sinistro (BBS) sinstro completo sinistro incompleto > QRS ,rS,qrS,QS > QRS nelle precordiali sinistre emiblocco sinistro anteriore (ESA) q in D1 r in D2 D3,VR. S in V5,V6 asse oltre -30 sinistro posteriore (ESP) biblocchi  BBD+ESA asse oltre 110 qR in D2,D3,VF evoluzione verso il blocco totale blocco trifascicolare BBD+ESA,BBD+ESP evoluzione verso il blocco totale 2.2 Aritmie per distorsione della conduzione Conduzione decrementata:  diminuzione della velocità dello stimolo sino all'arresto Inomogena: dissociazione dei periodi refrattari con tachicardia giunzionale Sopranormale: insorgenza di uno stimolo durante il periodo refrattario relativo. Fibrillazione ventricolare 2.3 Aritmie da conduzione aberrante In questo gruppo vanno comprese le sindromi di Wolf-Parkinson-White nelle tre varianti principali. In tutti casi è possibile l'insorgenza di aritmie ipercinetiche. Informazioni sulla rivista ESIA-Italia EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia costituisce la parte Italiana della versione Americana, pubblicata su Internet da Keith J Ruskin, Professore di Anestesia alla Università di Yale. I lavori saranno accettati sia in lingua Italiana che Inglese. In quelli di lingua Italiana un corposo riassunto in Inglese verrà preparato dalla redazione, qualora l'autore non fosse in grado di fornirlo. A cura della redazione sarà inoltre la traduzione in Italiano dei manoscritti inviati in lingua Inglese. La rivista sarà inviata gratuitamente a tutti quelli che ne faranno richiesta, inviando il seguente messaggio "Desidero ricevere ESIA versione italiana" indirizzato a LANZA@UNIPA.IT La rivista pubblica rewiews e lavori originali compiuti nei campi dell'anestesia e della medicina critica. I lavori originali riguardano ricerche cliniche, di laboratorio e la presentazione di casi clinici. Le reviews includono argomenti per l'Educazione Medica Continua (EMC), articoli di revisione generale o riguardanti le attrezzature tecniche. ESIA pubblica le lettere all'Editore contenenti commenti su articoli precedentemente publicati ed anche brevi comunicazioni. La guida per gli autori può essere consultata collegandosi al sito ANESTIT all'indirizzo: http://anestit.unipa.it/ utilizzando la sezione riservata ad ESIA-Italia; oppure può essere richiesta inviando un messaggio a lanza@unipa.it EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE Sezione Italiana Il numero della rivista è anche ottenibile attraverso World-WideWeb WWW: l'URL per questo numero di ESIA è: http://anestit.unipa.it/esiait/esit200401.txt Il nome della rivista è esitaaaamm, dove aaaa è l'anno ed mm il mese (per esempio questo numero è esit200401.txt) LA REDAZIONE DI ESIA ITALIA DIRETTORE: Vincenzo LANZA Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo LANZA@UNIPA.IT Terapia Intensiva Antonio Braschi Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione 1 - Policlinico S. Matteo - IRCCS Pavia Anestesia Cardiovascolare Riccardo Campodonico Responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiochirurgica - Azienda Ospedaliera di Parma ricrob@mbox.vol.it Anestesia e malattie epatiche Andrea De Gasperi Gruppo trapianti epatici / CCM - Ospedale Niguarda - Milano Medicina critica e dell'emergenza Antonio Gullo Professore di Terapia Intensiva - Direttore del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva -Università di Trieste Anestesia ed informatica Vincenzo Lanza Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo Tossicologia Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia Terapia Antalgica e Cure Palliative Sebastiano Mercadante Responsabile dell' Unità d'Anestesia e di Terapia del Dolore e Cure Palliative - Dipartimento Oncologico La Maddalena - Palermo terapiadeldolore@la-maddalena.it