![]() ![]() Traduzione in lingua italiana autorizzata dalla Società Americana di Terapia Intensiva SCCM | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
![]() Linee guida su Ricovero e Dimissione dei pazienti adulti nelle Unità di Terapia Intermedia Collegio Americano di Terapia
Intensiva della Società Americana di Terapia Intensiva: Stanley
A. Nasraway, MD, FCCM; Ian L. Cohen, MD, FCCM; Richard C. Dennis, MD,
FCCM; Michelle A. Howenstein, MS, RN, CCRN; Diana K. Nikas, RN, MN, FCCM;
Jonathan Warren, MD, FCCM; Suzanne K. Wedel, MD, FCCM | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Negli
ospedali abilitati per il trattamento dei pazienti acuti, bisogna
identificare la popolazione di pazienti che non necessita di terapia
intensiva ma necessita di maggiori cure di quelle fornite dai reparti di
degenza normali. Questi possono richiedere un frequente monitoraggio dei parametri vitali e/o un assistenza
infermieristica interventisitca, ma di solito non richiedono un monitoraggio invasivo.
In uno studio di 706 pazienti di tipo chirurgico e medico ricoverati in
Unità di Terapia Intensiva (ICU), questa popolazione di pazienti rappresenta
circa il 22% dei posti letto per giorno in ICU (1). In uno studio più recente di
17.440 ricoveri in ICU, 6.180 pazienti vennero ricoverati per uno stretto monitoraggio intensivo, sebbene avessero meno del 10% di rischio
per richiedere un trattamento attivo basato su questo monitoraggio (2). Di conseguenza, è stato proposto un trattamento "intermedio" per questi
pazienti, per una più appropriata utilizzazione delle risorse (2–6).
L'area di cura "intermedia" può essere rappresentata da una "unità
di cura avanzata" multidiscipplinare, o da un settore specifico per
singole specialità come le aree per la cardiotelemetria, le aree per il
monitoraggio chirurgico (toracico, vascolare, etc.), o per il monitoraggio
neurochirurgico/neurologico, o come le unità di cura per le malattie respiratorie
croniche (7–11). Alla luce dell'enfasi sul contenimento dei costi, il concetto di unità di cura intermedia è stato suggerito come strategia
per promuovere una maggiore flessibilità sulla selezione dei
pazienti, per accrescere l'accessibilità alle limitate unità di terapia
intensiva e per fornire un'alternativa valida sotto il profilo costo-efficacia al ricovero
nella unità di
terapia intensiva, particolarmente adatta per quei pazienti, che hanno un basso rischio, ma
sono passibili di sviluppare complicanze maggiori e che vanno ricoverati per un monitoraggio di
routine (7, 11–16). Inoltre, la soddisfazione del paziente può essere
accresciuta per il fatto che un ambiente di terapia "intermedia"
risulta meno aggressivo e vi possono essere regolamentazioni più aperte
per le visite da parte dei familiari
(17).
Pochi studi dimostrano l'efficacia di una unità di terapia intermedia come opzione graduale di cura tra il convenzionale reparto di degenza e il reparto di terapia intensiva vero e proprio. Molti studi sono retrospettivi o serie di osservazioni non controllate (13). Esiste solo un unico studio randomizzato, controllato (16), che dimostra la riduzione dei costi senza un impatto negativo sulla prognosi del paziente. Franklin e colleghi (7) hanno osservato una riduzione nell'incidenza dei casi di mortalità su un grosso centro medico urbano dopo l'introduzione di una unità di cure intensive "intermedie", notando un'importante riduzione dei ricoveri per monitoraggio di pazienti a "basso rischio" nella unità di terapia intensiva; l'unità intermedia ha effettivamente accresciuto una pronta disponibilità dei servizi di terapia intensiva per quei pazienti che urgentemente ne necessitavano, snellendo le procedure di ricovero in ICU, riducendo le permanenze non necessarie in ICU o i ritardi di trasferimento dalla ICU. Tutto ciò si è anche tradotto in un minor numero di arresti cardiaci in reparto, presumibilmente grazie ad un maggiore e più appropriato tempo di osservazione dedicato ai pazienti. Byrick e colleghi (6, 12) hanno messo a confronto l'impatto iniziale, sulla utilizzazione della ICU, dell'apertura di una unità di terapia intermedia contro la sua successiva chiusura. L'unità di terapia intermedia aveva portato ad una più precoce estubazione e dimissione dalla ICU, e aveva ridotto i tempi di degenza globale, senza modificazioni nella prognosi dei pazienti. La disponibilità di una unità di terapia intermedia aveva accresciuto la disponibilità dei posti letto in ICU ed aveva affrancato il programma operatorio dalle limitazioni correlate ai casi chirurgici dipendenti dall'ICU per l'assistenza postoperatoria. Nove anni dopo però l'unità di terapia intermedia fu abolita per ristrettezze del budget ospedaliero. Questa chiusura portò a un aumento pari a quattro volte dei ricoveri in ICU di pazienti con minore gravità di patologie. La mancanza di fondi causò una riduzione sulla possibilità della selezione dei pazienti, influenzando negativamente le pianificazione delle dimissioni dalla ICU e richiedendo tempi di degenza più lunghi per i pazienti "più malati". Sulla base di questi dati, venne ripristinata l'unità di terapia intermedia (12). L'unità di cure intermedie riduce i costi ospedalieri attraverso la riduzione del personale sanitario che viene realmente a coincidere con le necessità dei pazienti (2, 3). Poiché i costi del personale possono superare l'80% delle spese totali di una ICU, il risparmio ottenuto con la riduzione del personale di cura necessario per i pazienti con patologie di gravità intermedia, può essere sostanziale (14–18).Questi risparmi possono essere cospicui se la riduzione del personale infermieristico viene compensata parzialmente dalla necessità di altri membri del gruppo di cura (per es. i fisioterapisti respiratori). Similmente, non vi può essere molta differenza per quanto riguarda le spese delle attrezzature e dei materiali se la riduzione dell'uso delle apparecchiature di monitoraggio invasivo viene controbilanciato dall'aumento delle apparecchiature di monitoraggio non invasivo, per ogni parametro monitorizzabile (3). Di conseguenza ci sono dei reali e sostanziali risparmi derivanti dal cambiamento del protocollo pratico che gestisce fuori dalle ICU i pazienti passibili di un trattamento meno intensivo. Douglas e coll. (16) hanno stabilito un criterio di minima per definire un "malato critico cronico" (paziente degente in ICU per più di 7 giorni, emodinamicamente stabile). Questo studio (16) è il solo trial prospettico randomizzato sulla selezione dei pazienti per una unità di terapia intermedia, classificati in base a criteri prestabiliti (16). Il ruolo del caposala è stato eliminato e il numero di esami diagnostici di routine sia di laboratorio che radiografici è stato drasticamente ridotto. Queste modifiche nel protocollo pratico di cura si sono tradotte in un "nascosto" ma sostanziale risparmio (16). La ricerca di Franklin e coll. (7) ha riscontrato una riduzione della mortalità con le cure intermedie, ma pur tuttavia sono necessari altri studi in tale settore. Un progetto sofisticato di studio delle unità di terapia intermedia dovrebbe includere controlli simultanei e randomizzati piuttosto che periodi di studio prospettici sequenziali. Un piccolo tentativo è stato fatto per quantificare l'impatto della terapia intermedia nella riduzione delle riammissioni ICU ("effetto palla"), per esempio pazienti che sono stati dimessi dalla ICU e richiedono un nuovo ricovero in urgenza dopo 48 - 72 h (19, 20). I costi dei differenti livelli di cura dovrà anche essere studiato con metodi che tengano conto della diagnosi, della co-morbidità e della gravità della patologia (13). Questi tipi di studi sono necessari per apprezzare pienamente sia i benefici che i limiti delle terapie intermedie. Le ricerche atte a valutare queste linee guida serviranno alla loro standardizzazione e al loro miglioramento, e ciò può migliorare la prognosi dei pazienti. RACCOMANDAZIONI Sistema di punteggio Livello 2: Ragionevolmente giustificabili sulla base dell'evidenza scientifica disponibile e fortemente supportate dall'opinioni di esperti. Livello 3: Mancanti di evidenza scientifica adeguata ma ampiamente supportate dai dati disponibili e dall'opinione di esperti. 1. (Livello 2) L'unità di terapia intermedia serve come area per il monitoraggio e la cura dei pazienti con moderata o potenzialmente severa instabilità fisiologica, che richiedono supporto tecnico ma non necessariamente supporto vitale artificiale. L'unità di terapia intermedia è riservata per quei pazienti che richiedono meno cure di quelle standard della terapia intensiva, ma che richiedono più cure di quelle disponibili nei reparti di degenza. 2. (Livello 1) L'unità di terapia intermedia riduce i costi, riduce la degenza in ICU senza aumentare la degenza in ospedale, non ha un impatto negativo sulla prognosi dei pazienti, e migliora il soddisfacimento del paziente / della famiglia fornendo un ambiente materialmente più riservato e tranquillo della ICU. 3. (Livello 3) L'assegnazione del paziente alla unità di terapia intermedia dovrà essere designata dal responsabile Medico e Infermieristico che si assumeranno la responsabilità dell'appropriata selezione del paziente atttraverso l'applicazione di precisi criteri di ricovero e dimissione. Questa selezione deve coinvolgere il personale dei reparti generali, della ICU, delle unità di terapia postoperatorie (per esempio la sala risveglio), e altri operatori sanitari con la finalità di sviluppare un sistema che incontri i bisogni del paziente e della istituzione in modo efficiente ed economico. 4. (Livello 3) Il responsabile medico e infermieristico dovrebbe determinare i limiti del trattamento che può essere reso nell'unità di terapia intermedia, basandosi sui bisogni istituzionali, sulla qualificazione del personale, e sulle risorse dell'unità. Questa valutazione include l'estensione del monitoraggio invasivo, della telemetria, della ventilazione meccanica, e dei tipi di farmaci endovenosi. 5. (Livello 3) Ogni unità intermedia dovrebbe sviluppare specifiche regolamentazioni e procedure di ricovero e dimissione, standard di cura del paziente e criteri prognostici per la valutazione della qualità (miglioramento continuo della qualità). Andrebbero sviluppati sistemi per monitorizzare la prognosi e altre misure per la verifica delle prestazioni. Dovrebbe essere controllata l'adesione alla regole per il ricovero e la dimissione; gli scostamenti dalle regole andrebbero segnalati alla sezione ospedaliera preposta al miglioramento della qualità per gli opportuni provvedimenti. Sono sotto elencate le linee guida per il ricovero e la dimissione con alcuni esempi di specifiche condizioni o malattie che potrebbero trovare indicazione di cura nell'unità intermedia.
CONCLUSIONE REFERENZE BIBLIOGRAFICHE (a). Studi randomizzati, prospettici, controllati (b). Studi non randomizzati, concomitanti, di coorte storica (c). Articoli di revisione magistrale sullo stato dell'arte, recensioni, editoriali, casistiche sostanziali (d). Opinioni pubblicate, come protocolli su libri di testo o pubblicazioni di organizzazioni ufficiali 1 (b). Henning RJ, McClish D, Daly B, et al: Clinical characteristics and resource utilization of ICU patients: Implications for organization of intensive care. Crit Care Med 1987; 15:264–269 2 (b). Zimmerman JE, Wagner DP, Knaus WA, et al: The use of risk predictions to identify candidates for intermediate care units: Implications for intensive care utilization and cost. Chest 1995; 108:490–499 3 (c). Teres D, Steingrub J: Can intermediate care substitute for intensive care? Crit Care Med 1987; 15:280 4 (c). Popovich J: Intermediate care units. Graded care options. Chest 1991; 99:4–5 5 (c). Kalb PE, Miller DH: Utilization strategies for intensive care units. JAMA 1989; 261:2389–2395 6 (b). Byrick RJ, Power JD, Yeas JO, et al: Impact of an intermediate care area on ICU utilization after cardiac surgery. Crit Care Med 1986; 154:869–872 7 (b). Franklin CM, Rackow EC, Mamdani B, et al: Decreases in mortality on a large urban medical service by facilitating access to critical care. An alternative to rationing. Arch Intern Med 1988; 148:1403–1405 8 (c). Mulley AG, Thibault GE, Hughes RA, et al: The course of patients with suspected myocardial infarction: The identification of low-risk patients for early transfer from intensive care. N Engl J Med 1980: 302:943–948 9 (c). Fineberg HV, Scadden D, Goldman L: Care of patients with low probability of acute myocardial infarction. N Engl J Med 1984; 310:1301–1307 10 (c). Krieger BP, Ershowsky P, Spivack D, et al: Initial experience with a central respiratory monitoring unit as a cost-saving alternative to the intensive care unit for medicare patients who require long-term ventilation support. Chest 1988; 93:395–397 11 (c). Elpern EH, Silver MR, Rosen RL, et al: The noninvasive respiratory care unit: Patterns of use and financial implications. Chest 1991; 99:205–208 12 (b). Byrick RJ, Mazer CD, Caskenette GM: Closure of an intermediate care unit. Impact on critical care utilization. Chest 1993; 104:876–881 13 (c). Charlson ME, Sax FL: Intermediate Care. How do we know it works? Arch Intern Med 1988; 148:1270–1271 14 (c). Byrick RJ, Mindorff C, McKee L, et al: Cost effectiveness of intensive care for respiratory failure patients. Crit Care Med 1980; 8:332–337 15 (d). Emergency Cardiac Care Committee: Recommended guidelines for in-hospital cardiac monitoring of adults for detection of arrhythmia. J Am Coll Cardiol 1991; 18:1431–1433 16 (a). Douglas S, Daly B, Rudy E, et al: The cost-effectiveness of a special care unit to care for the chronically critically ill. J Nurs Adm 1995; 25:47–53 17 (c). Lawless S, Zaritsky A, Phipps J, et al: Characteristics of pediatric intermediate care units in pediatric training programs. Crit Care Med 1991; 19:1004–1007 18 (b). Cady N, Mattes M, Burton S: Reducing intensive care unit length of stay: A stepdown unit for first-day heart surgery patients. J Nurs Adm 1995; 25:29–35 19 (b). Durbin CG, Kopel RF: A case-control study of patients readmitted to the intensive care unit. Crit Care Med 1993; 21:1547–1553 20 (c). Snow N, Bergin KT, Horrigan TP: Readmission of patients to the surgical intensive care unit: Patient profiles and posssibilities for prevention. Crit Care Med 1985; 13:961–964 21 (d). Guidelines Committee, Society
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and the practice of critical care medicine. Crit Care Med 1992;
20:
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