__________________________________________________________________ __________________________________________________________________ ISSN 1080-3521 EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia - Il giornale italiano on line di anestesia Vol 6 No 4 APRILE 2001 __________________________________________________________________ __________________________________________________________________ Pubblicato elettronicamente da: Vincenzo Lanza, MD Servizio di Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy E-mail: (lanza@mbox.unipa.it) Keith J Ruskin, MD Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine 333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA Office: 203-785-2802 E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu Copyright (C) 1996 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente, curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine. ________________________________________________________________ In questo numero: 1 Gestione e Trattamento del Paziente con Intossicazione Acuta da Monossido di Carbonio: Linee Guida 2 Emofiltrazione continua in terapia intensiva: impatto economico e carico di lavoro infermieristico; esperienza di una rianimazione polivalente _______________________________________________________ Gestione e Trattamento del Paziente con Intossicazione Acuta da Monossido di Carbonio: Linee Guida _______________________________________________________ Carlo Locatelli, Ivo Casagranda, Daniele Coen, Paolo Dematté, Vittorio Demicheli, Franco Perraro, Massimo Pesenti Campagnoni, Fernando Porro, Giuseppe Re SIMEU Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza Versione approvata dal Gruppo di Studio sulle Linee Guida SIMEU, in corso di valutazione da parte di esperti esterni a SIMEUIntroduzione e premesse L’intossicazione acuta da monossido di carbonio (CO) costituisce il quadro più comune di avvelenamento nei paesi industrializzati. In Italia si stima che l’intossicazione da CO causi ogni anno circa 6000 ricoveri e più di 350 decessi. L’intossicazione da CO costituisce una delle più frequenti cause di errore diagnostico in medicina d’urgenza [[1]] poiché i sintomi di presentazione sono estremamente variabili e spesso riferibili ad altre patologie. Si stima che, durante il periodo invernale, la prevalenza dell’intossicazione “occulta” da CO fra i pazienti che si presentano nei dipartimenti di emergenza / pronto soccorso con cefalea o vertigini sia del 3-5% [[2]]. La gestione del paziente intossicato da CO presenta numerosi aspetti ancora poco definiti e standardizzati, quali:criteri diagnostici che consentano di ridurre le possibilità di errore nella presa in carico del paziente relazione fra livelli di carbossiemoglobina (COHb) e gravità indicazioni al trattamento iperbarico valutazione del danno d’organo nella fase acuta e post-acuta. Situazioni particolari sono rappresentate dalle intossicazioni da CO per esposizione a fumi di incendio (in cui la contemporanea intossicazione da cianuri implica l’attuazione di strategie diagnostico-terapeutiche aggiuntive) e quelle conseguenti ad assorbimento di cloruro di metilene. La presente linea guida non prende in considerazione la gestione del paziente con intossicazione da fumi di incendio e da cloruro di metilene. Definizione L’intossicazione acuta da monossido di carbonio è la condizione patologica derivante dall’esposizione più o meno prolungata a CO. Essa è identificata dal riscontro di valori positivi di carbossiemoglobina (o di CO plasmatico), cui possono corrispondere quadri clinici di presentazione totalmente silenti oppure disfunzioni di diversa gravità di uno o più organi e apparati, sia in fase acuta che post-acuta. I valori di carbossiemoglobina (COHb) si considerano positivi quando maggiori o uguali a 5% nei bambini e nei soggetti non fumatori, e maggiori o uguali a 10% nei soggetti fumatori. In particolari situazioni (es. determinazione tardiva della COHb) il riscontro di valori di COHb inferiori ai valori sopra indicati non esclude la diagnosi di intossicazione da CO. Classificazione dell’intossicazione acuta da CO L’intossicazione acuta da CO è caratterizzata da quadri clinici di presentazione variegati e notoriamente non specifici. Nella letteratura scientifica non esiste una classificazione universalmente accettata e adottata: ai fini pratici vengono identificati quattro livelli clinici di gravità (Tabella 1). I pazienti con alterazioni di qualunque gravità delle funzioni superiori rientrano nelle classi di gravità 3 oppure 4.tab. 1 - Classificazione di gravità dell'intossicazione da CO Classe di gravità Segni e Sintomi asintomatico (grado 1) assenti (*) lieve (grado 2) cefalea vertigini nausea vomito media (grado 3) confusione mentale lentezza di ideazione visione offuscata debolezza atassia anomalie comportamentali respiro superficiale dispnea da sforzo tachipnea tachicardia alterazioni ai test psicometrici grave (grado 4) sopore ottundimento del sensorio coma convulsioni sincope disorientamento alterazioni alla TAC encefalo ipotensione dolore toracico palpitazioni aritmie segni di ischemia all’ECG edema polmonare acidosi lattica mionecrosi bolle cutanee(*) pazienti con valori di COHb positivi Obiettivi della linea guida gestione uniforme e corretta del paziente con intossicazione acuta da monossido di carbonio nella fase del soccorso extraospedaliero e nell’attività di pronto soccorso - medicina d’urgenzautilizzo razionale dei mezzi diagnostici e terapeutici nelle fasi d’urgenza e corretto inquadramento del paziente per il follow-up Metodologia I gradi di raccomandazione impiegati nella stesura di questa linea guida sono in accordo con le indicazioni della US Agency for Health Care Policy and Research. Summa delle Raccomandazioni Ponderate Fase del soccorso extra-ospedaliero Raccomandazione Grado di evidenza 1. L’uso di un rilevatore di CO per entrare in ambienti / aree ove si ritiene possibile la contaminazione ambientale da CO consente di evitare l’esposizione dei soccorritori, di adottare idonee misure di protezione personale (autorespiratore, maschera per CO) e di aerare in sicurezza il locale per consentirne la decontaminazione.grado C 2. Il paziente deve essere allontanato dall’ambiente contaminato e deve essere immediatamente iniziata ossigenoterapia normobarica (vedi nota).grado C 3. In tutti i pazienti devono essere rilevati i segni e sintomi di intossicazione per assegnare la classe di gravità secondo quanto indicato in Tabella 1. grado C 4. E’ indicata l’esecuzione sul posto di un prelievo venoso (provetta eparinata), idealmente prima di iniziare la somministrazione di ossigeno, per la successiva determinazione della carbossiemoglobina (COHb) o del CO plasmatico. L’esecuzione del prelievo non deve posticipare l’inizio dell’ossigenoterapia.grado B 5. Nei pazienti con intossicazione da CO il dato di saturazione di ossigeno dell’emoglobina ottenuto con i comuni pulsossimetri o con emogasanalizzatori privi di CO-ossimetro non è attendibile.grado A (*) 6. Devono essere indirizzati in pronto soccorso anche i soggetti asintomatici presenti sul luogo ed esposti a CO. grado C (*) giudizio basato su evidenza tecnica Nota: nel contesto di questa linea guida si intende per ossigenoterapia normobarica la somministrazione antidotica di ossigeno al 100% con maschera ad elevata efficienza con reservoir oppure, ove indicata l’intubazione tracheale (coma, convulsioni, insufficienza respiratoria, protezione delle vie aeree), mediante ventilazione in ossigeno puro.Fase del soccorso ospedaliero Raccomandazione Grado di evidenza 1. Deve essere immediatamente somministrata ossigenoterapia normobarica (vedi nota). grado C 2. Nei pazienti con intossicazione da CO il dato di saturazione di ossigeno dell’emoglobina ottenuto con i comuni pulsossimetri o con emogasanalizzatori privi di CO-ossimetro non è attendibile.grado A (*) 3. All’arrivo in pronto soccorso deve essere immediatamente effettuata la determinazione della COHb. Sono diagnostici valori di COHb > 5% nei bambini e negli adulti non fumatori, > 10% negli adulti fumatori. Soggetti asintomatici con livelli inferiori a questi possono essere dimessi.grado C 4. Il prelievo per la determinazione della COHb può essere indistintamente arterioso o venoso. grado B 5. I valori di COHb non definiscono la gravità dell’intossicazione.grado B 6. Una batteria di test neuropsicometrici consente di definire la gravità dell’intossicazione.grado B 7. Gli esami ematochimici e strumentali in urgenza includono per tutti i pazienti: - glicemia, azotemia, creatininemia - emocromo - markers di danno muscolare (creatinkinasi, mioglobina, transaminasi, latticodeidrogenasi) - markers di danno miocardico (creatinkinasi MB massa, troponine I / T) elettrocardiogramma (ECG) grado B 8. Nei pazienti con intossicazione di media gravità (grado 3) o grave (grado 4), è indicata la valutazione dell’equilibrio acido-base.grado B 9. Nelle donne in età fertile deve essere accertato/escluso lo stato di gravidanza. grado C (*) giudizio basato su evidenza tecnica Nota: nel contesto di questa linea guida si intende per ossigenoterapia normobarica la somministrazione antidotica di ossigeno al 100% con maschera ad elevata efficienza con reservoir oppure, ove indicata l'intubazione tracheale (coma, convulsioni, insufficienza respiratoria, protezione delle vie aeree), mediante ventilazione in ossigeno puro. Scelta del tipo di ossigenoterapia Raccomandazione Grado di evidenza 1. Tutti i pazienti, di qualunque classe di gravità sia l’intossicazione, devono effettuare ossigenoterapia.grado B 2. Nei pazienti con intossicazione asintomatica (grado 1) o lieve (grado 2) può essere utilizzata l’ossigenoterapia normobarica.grado C 3. I pazienti con intossicazione lieve (grado 2) nei quali sono ancora presenti sintomi neurologici dopo 4 - 6 ore di ossigenoterapia normobarica dovrebbero essere sottoposti a ossigenoterapia iperbarica. grado C 4. Nei pazienti con intossicazione di media gravità (grado 3) o grave (grado 4) è indicata l’ossigenoterapia iperbarica. I pazienti trattati con ossigenoterapia iperbarica devono effettuare terapia normobarica nei periodi al di fuori della(e) seduta(e) di trattamento iperbarico.grado B 5. I pazienti con intossicazione di media gravità (grado 3) o grave (grado 4) dovrebbero essere sottoposti a ossigenoterapia iperbarica entro 6 ore dal ritrovamento. grado B 6. Non esiste evidenza che l'ossigenoterapia iperbarica riduca l'incidenza di sintomi neurologici a distanza di 1 mese dall'intossicazione in pazienti adulti e non in gravidanza. grado A 7. Le donne in stato di gravidanza dovrebbero essere sottoposte a ossigenoterapia iperbarica, indipendentemente dalla classe di gravità dell’intossicazione (grado 1 - 4).grado C 8. Durante il trasporto alla/dalla camera iperbarica occorre proseguire l’ossigenoterapia normobarica (vedi nota).grado C Nota: nel contesto di questa linea guida si intende per ossigenoterapia normobarica la somministrazione antidotica di ossigeno al 100% con maschera ad elevata efficienza con reservoir oppure, ove indicata l'intubazione tracheale (coma, convulsioni, insufficienza respiratoria, protezione delle vie aeree), mediante ventilazione in ossigeno puro. Monitoraggio, dimissibilità e follow-up Raccomandazione Grado di evidenza 1. In tutti i pazienti è opportuno ripetere ECG e markers di danno miocardico a 12, 24 e 48 ore. grado B 2. In tutti i pazienti è opportuno eseguire ecocardiogramma nelle prime 24 ore. grado B 3. In tutti i pazienti è opportuno ripetere la batteria di test neuropsicometrici al termine dell’ossigenoterapia.grado C 4. In assenza di complicanze, il paziente può essere dimesso al termine dell’ossigenoterapia.grado C 5. E’ opportuno che tutti i pazienti siano seguiti dopo la dimissione per un periodo di almeno 8 mesi per il possibile sviluppo della sindrome da sintomi ricorrenti e/o delle sequele neuropsichiatriche tardive.grado B 6. I test neuropsicometrici e la diagnostica per immagini (TAC, RMN e SPET cerebrale) costituiscono gli esami di scelta per la valutazione delle sequele neuropsichiatriche tardive. La SPET miocardica con 99mTc-MIBI nei primi 5 giorni consente di valutare il danno cardiaco. grado B Analisi estensiva della letteratura che ha portato alla summa delle raccomandazioni ponderate Il CO è un gas incolore e inodore che deriva dalla combustione incompleta di qualunque combustibile (liquido, solido, gassoso). L’intossicazione acuta da monossido di carbonio (CO) costituisce una delle più importanti cause di morte per avvelenamento. Negli Stati Uniti e in Inghilterra, rispettivamente, l’intossicazione da CO è stata causa di circa 5600 e 1000 decessi/anno [[3], [4]]. In Italia [[5]] sono stati riportati 1744 decessi in cinque anni (1984-1988) con una media di circa 350 casi letali/anno. Nella sola regione Lombardia, nel 1996, sono stati registrati 753 ricoveri ospedalieri: pur non essendo noti i dati relativi alla reale incidenza di questa intossicazione in Italia, si può stimare che nel nostro paese vengano ricoverati circa 6000 casi di avvelenamento da CO/anno. Tali dati tuttavia sottostimano la reale incidenza dell’intossicazione. Manifestazioni cliniche I primi sintomi dell’intossicazione da CO sono usualmente cefalea e vertigini e/o manifestazioni gastroenteriche quali nausea e vomito. L’angor può rappresentare un sintomo di presentazione in pazienti con anamnesi positiva per patologia ischemica miocardica. Al protrarsi dell’esposizione compaiono difficoltà di concentrazione, irritabilità e astenia. I segni clinici comprendono tachicardia, tachipnea, ipotensione sistolica, e ridotta tolleranza all’esercizio. La frequente comparsa di sfumati deficit delle funzioni cognitive superiori può essere valutata solo attraverso test neuropsicometrici. Tale disfunzione cerebrale è infatti difficilmente rilevata dal medico; essa può essere più facilmente notata dai familiari, specie quando il paziente si trovi a dover risolvere un problema contingente. Nelle intossicazioni più gravi si hanno sincope, ottundimento del sensorio, convulsioni, alterazioni del tono muscolare, rigidità muscolare generalizzata e coma. La gravità del coma può essere valutata con metodi a punteggio o a scale (es. Glasgow Coma Score o Scala del coma Bozza Marrubini). All’esame neurologico i deficit focali sono di solito assenti; l’eventuale presenza di tali segni indica l’associazione di altre patologie organiche [[6]]. Nei casi di maggiore gravità è più frequente il coinvolgimento anche miocardico con contrazioni premature ventricolari, fibrillazione atriale, blocchi di conduzione, alterazioni ischemiche all’ECG e infarto miocardico. Le complicanze neurologiche risultano spesso associate alla presenza di sincope, ipotensione (transitoria o persistente) e depressione della funzione miocardica. In sintesi, l’organo bersaglio principale del monossido di carbonio è l’encefalo, e in secondo luogo il cuore, anche se l’intossicazione acuta da CO può causare un ampio spettro di complicanze (Tabella 2).Tabella 2. Complicanze associate all’intossicazione da CO in fase acuta e post-acutaOrgani e apparati Complicanze Sistema nervoso centrale deficit cognitivi, alterazioni mnesiche, vertigini, atassia, parkinsonismi, rigidità muscolare, disturbi della marcia, disorientamento, mutismo, incontinenza sfinterica, cecità corticale, ipoacusia, acufeni, nistagmo, convulsioni, coma, alterazioni elettroencefalografiche, edema cerebrale, leucoencefalopatia, diabete insipido, necrosi del globo pallido Psiche modificazioni della personalità, depressione, alterazioni dell’affettività, sindrome di Tourette, ansia, agitazione, perdita dell’autocontrolloCardiovascolare tachicardia, affaticabilità, ipotensione, alterazioni elettrocardiografiche ischemiche, aritmie, comparsa o esacerbazione di angina, infarto miocardico Respiratorio respiro superficiale, edema polmonare, emottisi Gastrointestinale nausea, vomito, crampi addominali, diarrea, sanguinamento gastrointestinale Visivo riduzione dell’acuità visiva, neurite retrobulbare, scotomi paracentrali, edema della papilla, emorragie retinicheCute eritema, bolle, alopecia, necrosi delle ghiandole sudoripare Muscolare rabdomiolisi, sindrome compartimentale Ematologico coagulazione intravascolare disseminata, porpora trombocitica trombocitopenica, leucocitosi Metabolico acidosi lattica, iperglicemia, ipocalcemia, iperamilasemia di origine salivare Classificazione dell’intossicazione acuta da CO (Raccomandazione n. 3, 12) In assenza di indicatori di esposizione che definiscono in modo affidabile la gravità dell’intossicazione, la valutazione del paziente intossicato da CO si basa sui criteri clinici [2, [7], [8], [9], [10], [11]]. Protezione dei soccorritori (Raccomandazione n. 1) Il monossido di carbonio è un gas approssimativamente dello stesso peso dell’aria, inodore, incolore, e non è pertanto rilevabile attraverso l’esame ispettivo dell’ambiente: esso è inoltre esplosivo a contatto con fiamme od oggetti incandescenti. Per tali ragioni risulta opportuno utilizzare rilevatori di CO per la protezione dei soccorritori [[12]]. Esistono oggi diversi tipi di strumenti portatili per la rapida determinazione delle concentrazioni ambientali di CO. In caso di allarme del rilevatore di CO o di riscontro di elevate concentrazioni di CO è raccomandata un’adeguata protezione delle vie aeree (Tabella 3) per entrare nei locali contaminati. È opportuno considerare come livello di attenzione 35 ppm di CO, limite di esposizione professionale [[13]].Tabella 3. Mezzi di protezione individuale per elevati livelli ambientali di CO. Concentrazione Equipaggiamento di protezione 350 ppm ogni tipo di respiratore con bombola ad aria compressa 875 ppm ogni tipo di respiratore con bombola ad aria compressa a flusso continuo 1200 ppm autorespiratore con maschera pieno-facciale e bombola ad aria compressa concentrazione  non nota autorespiratore con maschera pieno-facciale e bombola ad aria compressa operante a domanda o in pressione positiva continua Pulsossimentria e saturazione di ossigeno all'emogasanalisi (Raccomandazione n. 5, 8) Poiché la COHb assorbe luce alla stessa lunghezza d’onda dell’ossiemoglobina (HbO2), i pulsossimetri non sono in grado di differenziare la COHb dalla HbO2 (ovvero misurano la saturazione dell’emoglobina indipendentemente dal gas a cui è legata, sia esso ossigeno o CO). Essi pertanto mostrano livelli falsamente elevati di saturazione della HbO2 i cui valori devono essere interpretati con estrema cautela nel quadro dell’intossicazione da monossido di carbonio [[14], [15], [16]]. La saturazione di ossigeno dell’emoglobina indicata dagli emogasanalizzatori viene calcolata a partire dalla PaO2 e dal pH, e pertanto non fornisce indicazioni attendibili nell’intossicazione da monossido di carbonio. Solo la misurazione della HbO2 effettuata mediante co-ossimetro (che utilizza una metodica spettrofotometrica per distinguere ossiemoglobina, desossiemoglobina, carbossiemoglobina e metemoglobina) è attendibile [[17]]. Diagnosi Il sospetto diagnostico in fase extra-ospedaliera viene posto attraverso la rilevazione dei dati clinici (segni e sintomi) e degli elementi circostanziali (Tabella 4). La rilevazione in un ambiente di livelli anormali di CO (> di 35 ppm) facilita la diagnosi.Tabella 4. Elementi circostanziali che orientano alla diagnosi Criteri Elementi da ricercare Presenza di una fonte di esposizione - presenza di fonti di produzione di CO in locali dell’abitazione (stufe, scaldabagni, camini, caldaie, ecc., non necessariamente malfunzionanti, motore di veicolo tenuto acceso in ambiente confinato) - provenienza dei pazienti da ambienti confinati (pista di pattinaggio, cabina di automobile) o da situazioni ambientali a rischio (motoscafo fuoribordo, viaggio su cassone di camion o di pick-up) - occupazioni a rischio (es. vigili del fuoco, vigili urbani, garagisti, autisti)Condizioni favorenti condizioni atmosferiche (es. forte vento) ostacolanti la fuoriuscita dei fumi dai camini stagionalità (si tratta di intossicazione prevalentemente invernale) Criterio epidemiologico - interessamento contemporaneo di più soggetti di uno stesso nucleo familiare, anche se i quadri di presentazione possono essere multiformi nello stesso gruppo di pazienti - insorgenza precoce della sintomatologia nei bambini, in coloro che trascorrono più tempo nei locali più a rischio (es. cucina) o nei piccoli animali domestici - reiterazione di una sintomatologia simil-influenzale, di scompenso cardiaco, di sincope miglioramento soggettivo al di fuori di un determinato ambiente Il colorito rosso ciliegia della cute, spesso descritto come importante segno di intossicazione da monossido di carbonio, è quasi sempre assente nei pazienti sopravvissuti all’intossicazione, i quali possono essere, a seconda dei casi, normoperfusi, pallidi o cianotici. Nei pazienti con grave insufficienza cerebrale è sempre necessario ricercare i segni di ipertensione endocranica. Nel procedimento diagnostico è semplice considerare la possibilità di intossicazione da CO negli esposti a fumi di incendio. Negli altri casi, la diagnosi può facilmente sfuggire nel valutare l’insieme dei sintomi non specifici riferiti dal paziente. Benché cefalea, vertigini, nausea e vomito siano i sintomi più frequenti nell’intossicazione da CO, essi sono aspecifici e comuni nella pratica medica di pronto soccorso. La diagnosi è più semplice se tali sintomi interessano più soggetti che vivono / soggiornano negli stessi edifici / locali. L’assenza di febbre, adenopatia, segni di infiammazione delle prime vie dovrebbe rendere semplice la diagnosi differenziale con la sindrome influenzale. Criteri che possono facilitare la diagnosi differenziale sono la presenza di possibili fonti di CO nei locali, la diminuzione dei sintomi con l’allontanamento dai locali contaminati, la comparsa simultanea della sintomatologia in più soggetti (che richiede diagnosi differenziale con intossicazioni alimentari), la persistenza o ricorrenza della sindrome (oltre i 5-7 giorni), la segnalazione di una concomitante malattia o di un decesso tra i componenti del nucleo familiare. La presenza di segni e sintomi concordanti con l’intossicazione da monossido di carbonio deve far sospettare una intossicazione “occulta” da CO anche in assenza di fonti di esposizione immediatamente identificabili. In sintesi, la diagnosi specifica comprende la positività dei dati anamnestici relativi all’esposizione e/o la presenza di sintomi/segni, e la positività del valore di carbossiemoglobina. Carbossiemoglobina (COHb) (Raccomandazione n. 4, 9, 10, 11) Modalità di prelievo per COHb Idealmente, il prelievo per il dosaggio della COHb dovrebbe essere effettuato già sul luogo del soccorso [[18]]. Questo consente di limitare le variabili confondenti che rendono usualmente questo dato di difficile interpretazione (effetto del tempo trascorso tra il termine dell’esposizione e l’esecuzione del prelievo, effetto dell’ossigenoterapia) [[19]]. La COHb può essere eseguita sullo stesso prelievo ottenuto per effettuare l'emogasanalisi. Non ci sono differenze sostanziali nei valori arteriosi e venosi di COHb, data l’alta affinità del CO per l’emoglobina [[20]]. Ciò rende possibile raccogliere un primo campione venoso eparinato direttamente sulla scena dell’evento anche da parte del personale infermieristico. Il prelievo venoso per la determinazione della COHb è più pratico nei bambini piccoli. La COHb è relativamente stabile e la determinazione risulta affidabile anche a distanza di 2 settimane dal prelievo [[21]]. Interpretazione dei valori di COHb Poiché la sintomatologia dell’intossicazione da CO può essere quanto mai varia, aspecifica e può mimare diverse sindromi, la rilevazione del tasso di COHb ha indiscusso significato diagnostico. I livelli normali di COHb vanno da 0 a 5 %, conseguenti alla produzione endogena di CO. I fumatori di 1 pacchetto di sigarette al giorno hanno livelli che vanno dal 6 al 10%: valori superiori a questi sono diagnostici [2, 7, 8]. Il riscontro di un elevato livello di COHb conferma il sospetto clinico di una possibile intossicazione da CO. Tuttavia, un elevato di COHb non è un indice affidabile della gravità dell’avvelenamento e non ha significato prognostico: i livelli di COHb, infatti, non correlano con la gravità dell’intossicazione (se non per valori superiori al 40-50%) e non consentono di predire lo sviluppo della sindrome da sintomi ricorrenti e/o della sindrome neurologica tardiva [2, 7, 8, 9, 10, 11]. Non esiste un test idoneo per quantificare il contenuto corporeo totale di CO, e mentre pazienti con livelli di 30-40% possono essere asintomatici, altri con livelli fra 10 e 20% possono essere in coma [[22]]. Pertanto, il ruolo clinico della determinazione della COHb è semplicemente di determinare che vi è stata una esposizione a CO: essa non può essere usata per quantificare la gravità dell’avvelenamento [[23]]. Indicazioni Studi condotti negli USA hanno mostrato che errori nella diagnosi dell’intossicazione da CO hanno un’elevata incidenza (30%) e che campagne di sensibilizzazione hanno consentito una diminuzione degli stessi a valori del 5% [1]. Gli errori diagnostici più frequenti sono indicati in Tabella 5.Tabella 5. Errori diagnostici comuni nell’intossicazione da CODiagnosi errata Percentuale (%) Intossicazioni alimentari 38 Patologie psichiatriche (isteria, confusione, depressione) 18 Patologie cardiache con angina o sincope quali sintomi di presentazione 13 Intossicazione alcoolica o delirium tremens 7 Intossicazione acuta da solventi 7 Cefalea, emicrania 6 Patologie ischemiche cerebrali 4 Emorragia cerebrale 4 Tumori cerebrali (convulsioni) 3 Certamente non è pratico effettuare routinariamente la determinazione della COHb in tutti i pazienti che si presentano in pronto soccorso con cefalea e vertigini. L’accertamento dovrebbe essere riservato ai pazienti che associano tale sintomatologia al dato anamnestico di possibili fonti di produzione di CO e alla presenza di sintomi in uno o più coabitanti. L’uso di questo criterio elimina il bisogno di effettuare il dosaggio della COHb nella maggior parte dei pazienti e consente di identificare correttamente i pazienti con livelli di COHb > 10% con una sensibilità del 75% e correttamente esclude la maggior parte dei pazienti con un basso livello di COHb (specificità 74%) [[24]]. Test neuropsicometrici (Raccomandazione n. 12, 26, 29) La valutazione neurologica del paziente collaborante, qualora le circostanze lo consentano, può comprendere l’impiego di test neuropsicometrici [[25], [26], [27]] che consentono una misura funzionale del danno indotto da CO. Data la limitata utilità clinica dei livelli di COHb per identificare la gravità gli avvelenamenti, sono state utilizzate batterie di test che aiutano a rilevare fini disfunzioni delle funzioni cerebrali, difficilmente rilevabili dalla visita medica. Tali batterie sono somministrabili nei servizi di medicina d’urgenza e pronto soccorso dal personale infermieristico, così come dai tecnici di terapia iperbarica, in 20 - 25 minuti. La batteria usata per l’esame neuropsicometrico consiste di 6 sub-test che aiutano a rilevare vari deficit delle funzioni corticali superiori, che includono disgrafia, disfasia, agnosia, e disprassia [25]. La batteria di test è raccomandata per l’esame dei pazienti non obnubilati e consente di distinguere fra intossicazioni asintomatiche (grado 1) o lievi (grado 2) e quelle di media gravità (grado 3) o gravi (grado 4). Ciò si ripercuote sulle scelte terapeutiche. Molti centri di medicina iperbarica usano questa batteria di test come end-point della terapia e ripetono i trattamenti iperbarici fino a quando gli score della batteria dei test si normalizzano o si fissano a un plateau [[28]]. Occorre tuttavia considerare che:il test non è specifico è per il CO il test non dovrebbe utilizzato quando si sospettano assunzione di alcool o farmaci, ritardo mentale, trauma cranico o altre malattie confondenti del sistema nervoso centrale non è nota l’esistenza di una correlazione fra esito del test effettuato in fase acuta e sindrome ricorrente e/o sequele neurologiche tardiveil test è applicabile solo in soggetti di età maggiore o uguale a 15 anni un lieve miglioramento della performance al test può essere dovuto alla ripetizione. Esami ematochimici e strumentali (Raccomandazione 13, 14, 15, 24, 25, 29) L’esame emocromocitometrico consente di identificare i soggetti anemici, per il rischio aggiuntivo che questa condizione comporta in caso di intossicazione da CO. In fase acuta si può evidenziare un lieve aumento del tasso di emoglobina e dell’ematocrito, a cui segue, entro alcuni giorni una leucocitosi principalmente neutrofila; il numero delle piastrine tende a diminuire in fase iniziale e quindi ad aumentare in fase post-acuta [[29]]. Modificazioni della glicemia (iperglicemia o “diabete da CO”) sono state descritte in alcuni pazienti [[30]] e possono risultare correlate con la gravità della prognosi [[31]]. Si può osservare iperamilasemia, di origine salivare [[32]]. Il danno muscolare, accertato misurando i livelli ematici o urinari della mioglobina e con il dosaggio seriato degli enzimi di danno muscolare (creatinkinasi, transaminasi e latticodeidrogenasi), può essere presente già all’arrivo del paziente in pronto soccorso o rendersi manifesto nelle ore o giorni successivi [[33]]. La possibile presenza di rabdomiolisi indica il monitoraggio della funzionalità renale (azotemia, creatininemia) [[34]]. In tutti i pazienti intossicati è indicato il monitoraggio dei marker serici di danno miocardico (creatinkinasi frazione MB massa, troponina I, troponina T) per le prime 48 ore [[35]]. All’ECG possono evidenziarsi alterazioni della ripolarizzazione (sovra o sottolivellamento ST e appiattimento o inversione dell’onda T), della formazione e della conduzione dell’impulso; fra le alterazioni del ritmo la tachicardia sinusale è reperto molto frequente, ma sono state anche registrate aritmie ipercinetiche (extrasistoli atriali e ventricolari, fibrillazione atriale e ventricolare) ed ipocinetiche (bradicardia sinusale, blocchi atrioventricolari e blocchi di branca) [[36]]. E’ possibile evidenziare alterazioni significative per infarto miocardico [[37]]. L’ecocardiogramma può evidenziare quadri di alterato ispessimento delle pareti del ventricolo sinistro (asinergie), classificati come ipocinesia o acinesia (riduzione significativa o assenza dell’ispessimento parietale in sistole), nonché modificazioni della dinamica valvolare (es. insufficienza mitralica transitoria da alterata coaptazione dei lembi valvolari) e depressione della frazione di eiezione [35, [38]]. Le alterazioni della ripolarizzazione visibili all’elettrocardiogramma e le asinergie parietali possono essere presenti in fase acuta e scomparire con il tempo o insorgere a distanza di giorni dall’intossicazione [35]. Con l’angioscintigrafia miocardica sono state rilevate alterazioni di contrattilità e della frazione di eiezione [[39]] mentre la SPET miocardica con 99mTc-MIBI ha permesso di registrare deficit di captazione miocardica del tracciante [[40], [41], [42]]. E’ possibile osservare quadri di insufficienza cardiaca con ecografia e scintigrafia positive anche in soggetti giovani per esposizioni prolungate a CO con bassi livelli di COHb [[43]]. Il riscontro di acidosi metabolica contribuisce alla definizione del livello di gravità dell’intossicazione ed è utile per l’indicazione al trattamento iperbarico [[44]]. Le alterazioni dell’equilibrio acido-base non correlano con le alterazioni dei test neuropsicometrici [27]. Il riscontro di valori aumentati di lattati può essere espressione di esposizione prolungata a CO [[45]]; valori di lattati maggiori di 10 mmol/L sono indice sensibile di intossicazione da cianuro [[46]]. È consigliabile eseguire un test di gravidanza quando tale condizione sia sospettabile o possibile, in considerazione dell’elevata sensibilità del prodotto del concepimento agli effetti tossici del CO [[47], [48]]. Il controllo della vitalità fetale può essere valutato mediante visita specialistica, rilevazione del battito cardiaco fetale ed ecografia. Ossigenoterapia (Raccomandazione n. 2, 7, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23) In emergenza le misure terapeutiche mirano a:allontanare il paziente dalla fonte di esposizione (devono essere allontanati dalla fonte di esposizione tutti i pazienti presenti sul luogo dell’intossicazione)mantenere le funzioni vitali assicurare precocemente un apporto di ossigeno al 100%: il trattamento antidotico con ossigeno è imperativo in tutti i pazienti. Modalità di somministrazione Nell’intossicazione da CO l'antidoto è l’ossigeno al 100% [[49]. Esso può essere somministrato in ambiente iperbarico o normobarico. La modalità ideale di somministrazione dell’ossigeno normobarico è quella che consente di ottenere una FiO2 del 100%. Pertanto nel paziente intubato la ventilazione deve essere effettuata in ossigeno al 100%, mentre nel paziente non intubato l'ossigeno deve essere somministrato ad alti flussi (12-15 litri/minuto) con maschera ad elevata efficienza con reservoir per ottenere la migliore FiO2 possibile. Non esistono differenze fra la somministrazione di ossigeno normobarico mediante maschera facciale ad elevata efficienza o per intubazione tracheale con ventilazione assistita per ciò che attiene la velocità di rimozione del CO dal torrente circolatorio [18], mentre non esistono evidenze per ciò che riguarda la rimozione di CO dagli organi/tessuti bersaglio. Indicazioni al trattamento iperbarico Il trattamento con ossigeno iperbarico è finalizzato sia al trattamento delle manifestazioni cliniche della fase acuta che alla prevenzione del danno neurologico tardivo [9, 28, [50], [51], [52]]. Viene inoltre utilizzato nelle intossicazioni in gravidanza per il trattamento della madre e del prodotto del concepimento [48]. Per la maggior parte dei centri di terapia iperbarica [28] l’evidenza di danno corticale (grado 3 e grado 4) rappresenta indicazione alla terapia iperbarica. Studi retrospettivi di intossicazioni gravi dimostrano una riduzione della mortalità se l'ossigenoterapia iperbarica è effettuata entro 6 ore dal ritrovamento della vittima [[53]]. La maggior parte degli studi clinici indica che il trattamento con ossigenoterapia iperbarica è associato ad una minore incidenza di sequele neurologiche (cliniche o subcliniche) rispetto al trattamento di breve durata con ossigenoterapia normobarica [51, 52, [54], [55]]. L’ossigenoterapia iperbarica risulta efficace nel trattamento dell’intossicazione da CO a pressioni comprese tra 2.8 e 3 ATA, mentre pressioni di 2 ATA non offrono benefici aggiuntivi rispetto al trattamento con ossigeno normobarico [50, 51, 52, 53]. Non esiste consenso per quanto riguarda il livello minimo di COHb che ponga da solo l’indicazione all’ossigenoterapia iperbarica. I benefici della terapia iperbarica devono essere valutati rispetto ai rischi legati al trasporto del paziente. Non esiste evidenza che l'ossigenoterapia iperbarica riduca l'incidenza di sintomi neurologici a distanza di 1 mese dall'intossicazione in pazienti adulti e non in gravidanza [[56]]. Tale valutazione, limitata a un periodo di follow-up troppo breve, si basa su dati derivanti da tre soli studi randomizzati e controllati [50, 51, [57]], peraltro non paragonabili per gravità dei pazienti e modalità di trattamento effettuato. L’ossigenoterapia normobarica per 3-6 giorni nelle intossicazioni di grado 3 e 4 può consentire un outcome paragonabile a quello dell’ossigenoterapia iperbarica [57]. Indicazioni al trattamento normobarico e durata del trattamento I pazienti con test psicometrici normali (grado 1 e grado 2) dovrebbero essere trattati con ossigeno normobarico. La somministrazione di ossigeno normobarico (in maschera ad alti flussi o mediante intubazione endotracheale) risulta efficace se effettuata per almeno 3 giorni [57]. Il trattamento con ossigeno normobarico per 12 ore in pazienti non in coma si è dimostrato inefficace nel risolvere i segni/sintomi dell’intossicazione acuta [54, [58]] ed è risultato associato ad alterazioni elettroencefalografiche e del flusso ematico cerebrale a tre settimane dall’intossicazione [54], nonché a sequele neurologiche tardive [51, 52, 55]. Pertanto il trattamento con ossigenoterapia normobarica proseguito per una durata complessiva uguale o inferiore a 12 ore e/o fino al raggiungimento di valori di COHb inferiori al 5% non è supportato da evidenze di efficacia nella letteratura scientifica. L’ossigenoterapia normobarica per 3-6 giorni può consentire un outcome paragonabile a quello dell’ossigenoterapia iperbarica [57] anche nelle intossicazioni di grado 1 e 2. Follow-up (Raccomandazione n. 28, 29) Il follow-up dell’intossicato da monossido di carbonio è finalizzato a: verificare la non riesposizione del paziente, e quindi l’assenza di sintomatologia clinica una volta rientrato al domicilio verificare la risoluzione dell’eventuale danno cardiaco sorvegliare la comparsa della sindrome da sintomi ricorrenti e la sindrome neurologica tardiva La sindrome neurologica tardiva può svilupparsi a distanza di tempo dall’intossicazione acuta, dopo un intervallo libero di durata estremamente variabile (fino a 240 giorni) [[59], [60]]. La sua incidenza è stata stimata dal 2% fino a oltre il 60% a seconda dei metodi d’indagine e dalla durata del follow-up [[61]]. La sintomatologia è quanto mai variabile: possono manifestarsi. deterioramento mentale, disturbi motori (movimenti coreoatetosici, parkinsonismo), incontinenza degli sfinteri, cecità corticale, convulsioni, sintomatologia simile a quella della sclerosi multipla, neuropatie periferiche, modificazioni della personalità, afasia di Wernicke, sindrome di Korsakoff, agnosia, mutismo, deficit mnemonici, demenza, psicosi, sindrome maniaco depressiva associati o meno ad alterazioni elettroencefalografiche [59, [62], [63], [64], [65]]. La presenza di deficit neurocomportamentali meno gravi può essere diagnosticata con un accurato esame neurologico e l’impiego di test psicometrici mirati [61, 65]. La valutazione del danno neurologico tardivo da CO comprende indagini neurofisiologiche (es. elettroencefalogramma) [54, 59, [66]] e tecniche di neuroimaging. Tra queste ultime, la risonanza magnetico-nucleare (RMN) e la tomografia computerizzata ad emissione di singolo fotone (SPET) sarebbero più sensibili della tomografia assiale computerizzata (TAC) nel rilevare le alterazioni da CO a carico del SNC [9, [67]]. La combinazione di più procedure potrebbe permettere una migliore efficienza diagnostica [[68]]. Pur non esistendo indici di predittività circa lo sviluppo del quadro clinico, sono stati identificati alcuni fattori favorenti quali l’età oltre i 40 anni, la presenza di coma in fase acuta, e la preesistenza di affezioni cardiovascolari [59, 63, [69]]. Pure importanti sarebbero la durata dell’esposizione al tossico, un coma perdurante due o tre giorni, e la persistenza di alterazioni elettroencefalografiche. L’esperienza indica anche che il deterioramento delle funzioni cerebrali concomita spesso con l’aumento dell’attività fisica del soggetto e la stimolazione mentale durante la fase post-acuta di recupero [63, 69, [70]]. La sindrome neurologica tardiva può risolversi spontaneamente, richiedere fino a due anni per il miglioramento clinico o permanere indefinitamente [63, 70]. Bibliografia  -------------------------------------------------------------------------------- [1] Barret L, Danel V, Faure J. Carbon monoxide poisoning, a diagnosis frequently overlooked. Clin Toxicol 1985; 23: 309-313. [2] Bartlett R. Carbon monoxide poisoning. In: Haddad LM, Shannon MW, Winchester JF (eds). Clinical management of poisoning and drug overdose (3rd ed). WB Saunders Co, Philadelphia, Pennsylvania, USA, 1998, pp. 885-898. [3] Cobb N, Etzel RA. Unintentional carbon monoxide related deaths in the United States, 1979 trough 1988. JAMA 1991; 266: 659-663.  [4] Meredith T, Vale A. Carbon monoxide poisoning. Br Med J 1988; 296: 77-78.  [5] ISTAT. Annuario statistico. Cause di morte, anni 1984, 1985, 1986, 1987, 1988.  [6] Goulon M, Outin H, Beydon L, Gajdos P, Samson Y, Jerbi Z. 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Abbiamo calcolato per ogni paziente: l'indicazione all'emofiltrazione e l'esito, il costo del materiale monouso, il costo di una seduta depurativa, la durata media del filtro ed il tempo medio per paziente impiegato dagli infermieri per avviare un'emofiltrazione e l'impegno per tutta la durata della metodica. La popolazione studiata comprendeva 45 pazienti (18.5%) dei 243 pazienti ricoverati in UTI. L'indicazione principale all'emofiltrazione continua è stata la sepsi e la MOF. Il costo medio per paziente del materiale monouso del Prisma è stato di L. 2.755.000 (1422 euro), mentre per l'apparecchio Gambro L. 1.288.500 (665 euro), la durata media del filtro è stata 21 ore per il Prisma e 31 ore per il Gambro; la durata media dell'emofiltrazione per paziente è stata di 104 ore per il Prisma e 98 ore per il Gambro. Il carico di lavoro infermieristico è risultato di 2.18 ora/giorno e 9.21 ore per l'intero periodo di trattamento con l'apparecchio Prisma e di 1.37 ora/giorno e 5.17 ore per l'intero trattamento con l'apparecchio Gambro AK10.  Introduzione Le metodiche di depurazione extrarenale continua come l'emofiltrazione veno-venosa (CVVH), l'emodialisi veno-venosa (CVVHD) e l'emodiafiltrazione veno-venosa (CVVHDF) sono delle procedure entrate nella routine di molti centri di terapia intensiva al pari della ventilazione meccanica e del monitoraggio emodinamico invasivo. Accanto agli studi sull'efficacia clinica, anche l'impatto economico ed il carico di lavoro per gli infermieri di rianimazione sono aspetti importanti da considerare nella valutazione complessiva di queste tecniche. Abbiamo pertanto analizzato i costi del materiale necessario al trattamento depurativo e i tempi impiegati nel gestire una seduta di depurazione continua nei pazienti sottoposti a tale trattamento ricoverati presso la nostra terapia intensiva nell'anno 1999. Materiali e metodi E' stata condotta un'indagine retrospettiva riguardante l'anno 1999, allo scopo di calcolare il numero totale di pazienti ricoverati presso il reparto di terapia intensiva polivalente (UTIR) del nostro ospedale, sottoposti a procedure di emofiltrazione veno-venosa continua (CVVH) e/o di emodiafiltrazione veno-venosa continua; per ogni paziente è stata indicata la patologia che aveva motivato il ricovero in rianimazione e l'esito dalla terapia intensiva. Le tecniche di rimozione extracorporea sono state effettuate con due apparecchi Gambro AK10 e un apparecchio Prisma (Hospal); l'apparecchio Prisma è in grado di eseguire tutte le metodiche di rimozione extrarenale continua (SCUF, CVVH, CVVHD, CVVHDF), mentre gli apparecchi Gambro, da noi opportunamente modificati con l'esclusione del modulo ultrafiltrato, possono realizzare soltanto la CVVH.  Per ogni paziente in trattamento depurativo è stato calcolato il costo del materiale di consumo previsto per le varie modalità, costituito da set filtro, sacche di soluzioni di dialisi e/o di emofiltrazione, cateteri venosi a 2 lumi, anticoagulante, utilizzando gli apparecchi Gambro e l'apparecchio Prisma. E' stato inoltre ricavato l'utilizzo medio del set (in ore/giorni), il consumo medio di set e di sacche (liquido di reinfusione e dialisato) per paziente. E' stato valutato il tempo medio totale e per paziente impiegato dal personale infermieristico di terapia intensiva per espletare le manovre di avvio e di gestione di una seduta di emofiltrazione e/o di emodiafiltrazione. Il carico di lavoro infermieristico complessivo in ore e giorni è stato calcolato per ogni paziente e per i due diversi tipi di apparecchi depurativi. I dati sono stati ricavati dalla cartella di rianimazione informatizzata (Microsoft Access 97) in uso in terapia intensiva, secondo query opportunamente formulate.  Emofiltratore Prisma - Hospal Set completo per Prisma - Hospal Emofiltratore Gambro AK10 Circuito per Gambro AK10 Risultati Nell'anno 1999, su un totale di 243 pazienti ricoverati presso la nostra terapia intensiva polivalente, 45 pazienti (18,5%) sono stati sottoposti al trattamento depurativo extrarenale continuo utilizzando gli apparecchi in nostra dotazione (1 Prisma + 2 Gambro AK10). Le caratteristiche dei pazienti (sesso, età), la diagnosi di dimissione e l'esito sono elencate in tabella 1.  Tabella 1 - Caratteristiche dei pazienti trattati con CVVH e/o CVVHDF.  Didascalia: INR=insufficienza respiratoria, INC=insufficienza cardiocircolatori, TOSS=intossicazione, POSTOP=post-operato, PANE=pancreatite acuta necrotico-emorragica, D=deceduto, T=trasferito, DIM=dimesso Paz. Sesso Età Esito Diagnosi Paz. Sesso Età Esito Diagnosi 1 F 69 D MOF  24 F 54 T SEPSI POSTOP 2 M 55 T INSUFF.EPATICA-RENALE 25 F 78 D INR INC  3 F 76 D INC 26 M 62 T INR POSTOP 4 M 48 T SHOCK SETTICO CID 27 M 50 T PANE 5 M 65 D SHOCK SETTICO - INSUFF.RENALE 28 M 62 T INR 6 F 73 D SEPSI 29 M 81 D MOF 7 M 40 DIM PANCREATITE - SEPSI 30 F 83 D INR - INSUFF.RENALE 8 M 44 T RICKETTSIOSI 31 F 58 T INC - INSUFF.RENALE 9 M 39 T TOSS OVERDOSE 32 M 84 D INR - INC - INSUFF.RENALE 10 F 63 D INC 33 M 61 D TOSS 11 F 56 T RICKETTSIOSI 34 M 75 D INR 12 F 69 T RICKETTSIOSI 35 F 67 T INR 13 F 60 D INR 36 F 66 D SHOCK SETTICO 14 F 56 T INR - INC 37 F 54 D INR - INC - INSUFF.RENALE 15 F 44 D INR 38 M 69 D INR - INSUFF.RENALE 16 F 16 D COMA DA NDD 39 M 82 D MOF 17 M 47 D SHOCK SETTICO 40 M 55 D SEPSI 18 M 57 D SHOCK SETTICO - USTIONI 41 M 64 D EMORRAGIA CEREBRALE 19 M 65 T COMA POSTANOSSICO 42 F 70 T INR INC 20 F 76 T COMA POSTANOSSICO 43 F 67 D EMORRAGIA CEREBRALE 21 M 69 T RICKETTSIOSI 44 F 74 T INR - INC 22 M 74 D ICTUS CEREBRALE 45 M 50 T PANE 23 M 56 D INR - SEPSI In tabella 2 è elencata la durata del trattamento depurativo (espresso in ore ed in giorni) per ogni paziente e per tutti i pazienti trattati con l'apparecchio Prisma; nella stessa tabella sono riportati i volumi (espressi in litri) totali e per ogni paziente, dei liquidi utilizzati nelle procedure di rimozione extracorporea espressi come: 1) volume reinfuso, 2) volume dialisato (volume del liquido di dialisi), 3) volume effluente (filtrato); nella CVVHDF per il calcolo dell'effluente al filtrato viene aggiunto il dialisato; 4) rimozione fluidi, ovvero il volume dei fluidi rimossi durante le procedure di emofiltrazione e/o emodiafiltrazione espressione del bilancio netto tra entrate (reinfusato) e uscite (filtrato); nella stessa tabella, espresso in ore e in giorni, è stato calcolato il carico di lavoro infermieristico per ogni paziente e per tutti i pazienti sottoposti alle procedure depurative. Tabella 2 - Volumi utilizzati e tempi impiegati per la gestione di CVVH e/o CVVHDF con apparecchio Prisma (Hospal).  Pz  Totale Ore/paz  Totale Gg/paz  Vol. Reinfuso (litri) Vol. Dialisato (litri)  Vol. Effluente (litri) Rimoz. Fluidi (litri) Carico lavorativo (Ore)  Carico lavorativo (giorni) 1  11  0.11  11  11  22  -  1.26  -  2  109  4.13  103  123  244  18  8.22  2.0  3  118  4.22  98  110  211  3  11.25  2.40  4  261  10.11  253  253  514  8  23.28  2.20  5  140  5.20  140  5  181  36  11.52  2.12  6  64  2.16  -  64  64  -  5.21  2.25  7  155  6.11  121  139  260  -  14.43  2.22  8  260  10.10  260  260  526  6  25.58  2.30  9  53  2.5  53  53  53  -  4.54  2.13  10  393  16.9  389  389  830  52  37.43  2.20  11  202  8.10  145  145  290  -  17.35  2.08  12  82  3.10  41  41  82  -  6.11  2.0  13  73  3.1  37  37  75  -  5.06  1.40  14  113  4.17  113  113  238  12  12.11  2.50  15  38  1.14  20  28  58  10  3.53  3.05  16  34  1.10  29  29  58  -  2.50  2.20  17  16  0.16  16  14  30  -  1.46  -  18  41  1.17  20  20  45  5  3.14  2.40  19  81  3.9  81  62  143  5-  7.09  2.18  20  20  0.20  20  20  40  -  2.04  -  21  159  6.15  79  79  159  -  12.0  2.0  22  29  1.5  14  14  28  -  2.0  1.20  23  19  0.19  19  19  38  -  1.22  -  24  158  6.14  68  68  138  2  10.24  1.40  25  22  0.22  11  11  24  2  1.39  -  26  75  3.3  26  26  56  4  5.17  1.42  27  176  7.8  175  175  350  -  18.08  2.32  28  84  3.12  83  83  166  -  8.28  2.40  29  19  0.19  19  19  38  -  2.0  -  totale  3005  124.9 2444 Sacche 489  2410 Sacche 482 4961 Sacche 993 158 La tabella 3 si riferisce invece alla durata dell'emofiltrazione (espressa in ore, giorni), ai liquidi reinfusi ed ai tempi impiegati per la gestione infermieristica della procedura per ogni paziente e per il totale dei pazienti trattati con gli apparecchi Gambro AK10. Tabella 3 - Volumi utilizzati e tempi impiegati per la gestione di CVVH con apparecchio Gambro AK10 Pz Totale (Ore/paz.) Totale (Gg/paz.) Volume Reinfuso (litri) Carico lavorativo (Ore) Carico lavorativo (Giorni) 1  95 3.23 95 5.32 1.40 2  26 1.2 23 1.48 1.25 3  8 0.8 8 1.17 - 4  159 6.15 156 8.19 1.22 5  109 4.13 109 6.0 1.22 6  47 1.23 47 3.13 2.31 7  24 1 24 1.41 1.41 8  13 0.13 13 1.26 - 9  87 3.15 87 5.22 1.40 10 102 4.6 98 5.47 1.12 11 115 4.19 113 6.06 1.28 12 41 1.17 41 3.05 2.35 13  3 0.3 3 1.12 - 14  299 12.11 297 15.27 1.16 15  12 0.12 12 1.21 - 16  130 5.10 125 6.33 1.15 17  145 6.1 143 7.51 1.15 18  41 1.17 33 2.57 2.12 19  183 7.15 183 10.0 1.21 20  175 7.7 166 9.29 1.18 21  81 3.9 60 4.52 1.27 22  44 1.2 40 2.53 2.28 23  18 0.18 18 1.29 - 24  110 4.14 110 6.0 1.29 25  290 12.2 279 15.36 1.13 26  263 10.23 263 15.0 1.39 27  41 1.17 41 3.05 2.36 Totale 2644 110.21 2587 Sacche 518 Il costo medio per paziente del trattamento depurativo, ottenuto considerando il costo unitario del materiale monouso, con l'apparecchio Prisma è stato di L. 2.755.000, mentre l'emofiltrazione condotta con gli apparecchi Gambro ha avuto un costo medio di materiale monouso per paziente di L. 1.288.500 (tabella 4).  Tabella 4 - Materiale monouso utilizzato per le sedute di CVVH/CVVHDF con gli apparecchi Prisma e Gambro AK10: costo unitario e costo totale dei pazienti trattati PRISMA GAMBRO AK10 Materiale Quantità Costo Unitario (Lire) Costo Totale (LIre) Quantità Costo Unitario (Lire) Costo Totale (LIre) SET PRISMA (filtro+circuito) 144 400000 57.600.000 +       FILTRI       84 204.000 17.136.000 + SACCHE 971 16.600 16.118.600 + 518 16.600 8.598.800 + CATETERE BILUME 29 223.000 6.467.000 + 25 223.000 5.575.000 + LINEA VENOSA       95 5.100 484.500 + LINEA ARTERIOSA       91 5.235 484.575 + EPARINA 30 flac  6.000  180.000+  42 flac  6.000  242.000+  SIRINGHE  288 da 20 ml  170  49.000+  168 da 50 ml  380  63.900+  RUBINETTI  144  480  69.000+  84  480  40.300+  Deflussori normali  144  310  44.600+  168  310  26.000+  Deflussori Abbott        164  11.300  1.898.400+  NaCl 500ml  288  600  172.800+  126  600  226.800=  NaCl 100ml  150  450  67.500=        TOTALE      80.768.500      34.786.000  L'utilizzo medio del set per emofiltrazione calcolato (ore tot. emof./ n. filtri), il consumo medio di set per paziente trattato (n. filtri/n. paz.), così come il consumo medio di sacche di liquido per emofiltrazione e/o di dialisi per l'apparecchio Prisma (tot. sacche reinf.+dial./ n. paz) e per l'apparecchio Gambro AK10 è espresso in tabella 5. Tabella 5 - Durata e consumo di filtri e sacche di liquido per emofiltrazione e di dialisi per apparecchio Prisma e Gambro AK10 Apparecchio  Prisma Gambro AK10 UTILIZZO MEDIO DEL SET 21 ore 31 ore CONSUMO MEDIO PER PAZ 5 set 3 CONSUMO MEDIO SACCHE PER PAZ. (1 sacca = 5000 ml) 33.5 = 167 litri 19 = 95 litri I dati riguardanti i tempi utilizzati dagli infermieri di rianimazione per l'avvio di una seduta depurativa continua e per la loro manutenzione giornaliera sono elencati nelle tabelle 6 e 7 e 8. La mortalità dei pazienti trattati con le tecniche di depurazione extrarenale continua compresi nello studio (45) è stata di 53,4% (25), mentre 20 pazienti ovvero il 44,4% sono stati trasferiti in altri reparti; un solo paziente è stato inoltre dimesso direttamente dalla rianimazione. Non vi sono state differenze di mortalità tra i due gruppi di pazienti trattati con i due tipi d'apparecchio. Tabella 6 - Durata emofiltrazione per paziente con gli apparecchi Prisma e Gambro AK10 apparecchio PRISMA GAMBRO AK10 tempi Min Media  Max  Min Media Max DURATA EMOF. PER PAZIENTE (ore) 11  104  393  8 98 299 DURATA EMOF. PER PAZIENTE (giorni) 0,11  4 gg e 8 h  16 gg e 9 h 9 4gg e 2h 12gg e 11h Tabella 7 - Carico di lavoro infermieristico per la gestione delle sedute di CVVH e di CVVHDF con gli apparecchi Prisma e Gambro AK10 apparecchio PRISMA GAMBRO AK10 Operazioni di gestione Tempo unitario (minuti)  Quantità Tempo medio (ore) Tempo unitario (minuti) Quantità Tempo medio (ore) MONTAGGIO SET 30 144 72 + 45 84 63 + RESTITUZIONE SANGUE 10 144 24 + 10 84 14 + CAMBIO SACCA REINF. DIALISATO 3 971 48 + 5 518 43 + SVUOTAMENTO SACCA EFFLUENTE 5 993 81 +       RILEVAMENTO VOLUMI BILANCIO 10' 124 21 + 10  110 18 + PREP. E CAMBIO SIRINGA EPARINA 2' 750  25 + 2  423 14 + Totale     271     152 Tabella 8 - Carico di lavoro medio infermieristico per paziente trattato con apparecchio Prisma e apparecchio Gambro AK10. (le ore di carico di lavoro dei pazienti trattati con l'apparecchio Prisma sono state divise per 23 in quanto 6 paz. non hanno raggiunto le 24 h di emofiltrazione; le ore di carico di lavoro dei pazienti trattati con gli apparecchi Gambro AK 10 sono state divise per 22 in quanto 5 paz. non hanno raggiunto le 24 h di emof.) apparecchio Prisma Gambro AK10 Giornata di emofiltrazione 2 ore e 18 minuti  1 ora e 37 minuti Intero periodo di emofiltrazione (totale ore di carico di lavoro/n. paz.)  9 ore e 21 minuti  6 ore e 17 minuti Discussione Le tecniche di depurazione extrarenale continua rappresentano il classico esempio di una metodica presa in prestito da altre specialità e fatta propria dai reparti di terapia intensiva. Esistono infatti dei presupposti per cui le terapie di rimozione extrarenale rappresentate classicamente dall'emodialisi e dall'emofiltrazione "intermittente" abbiano subito un progressivo ed inesorabile trasformazione fino alle più moderne tecniche di emodialisi e di emofiltrazione continua in uso in terapia intensiva: tali presupposti sono l'impatto emodinamico favorevole della rimozione lenta e continua di soluti e solventi sui pazienti critici per definizione "emodinamicamente instabili", il continuo riaggiustamento dell'equilibrio idroelettrolitico e dell'osmolarità plasmatica in corso di trattamento, la possibilità di un monitoraggio continuo da parte del personale infermieristico della terapia intensiva, e la costante presenza del medico rianimatore al letto del paziente.  D'altra parte l'impiego di tecniche sofisticate e nel contempo invasive richiede un impegno organizzativo e professionale non indifferente; ai medici consta infatti la prescrizione e le modalità d'attuazione delle diverse metodiche di rimozione extrarenale continua, mentre agli infermieri il non meno gravoso compito della gestione pratica degli apparecchi e del paziente sottoposto a tali trattamenti. L'organizzazione del lavoro e il flusso decisionale inoltre deve permettere un'integrazione ottimale di queste metodiche con gli innumerevoli compiti che gli infermieri di terapia intensiva si trovano a svolgere quotidianamente. Così come avviene per altre procedure impiegate in rianimazione (es. la ventilazione meccanica) può essere necessario utilizzare la CVVH o la CVVHDF in più pazienti contemporaneamente e a seconda del rapporto infermieri/pazienti, che è raro che possa scendere al disotto di 1 a 2 nelle terapie intensive italiane, può verificarsi che lo stesso infermiere si trovi a gestire due sedute di emofiltrazione insieme. Tale carico di lavoro aggiuntivo può non essere ben sostenuto per problemi di personale e organizzativi di reparto e costituisce un serio ostacolo alla diffusione delle metodiche di rimozione extrarenale continua nella pratica clinica. Se, infatti, le rianimazioni sono nate "attorno" ai ventilatori e la ventilazione meccanica rappresenta una delle metodiche di punta di una terapia intensiva, così non è ancora per l'emofiltrazione e l'emodialisi continua, prese in prestito da altre discipline nell'ultimo decennio e ritenute estranee alle competenze del personale di terapia intensiva.  In molte rianimazioni, tramite una collaborazione con i reparti ed il personale dei reparti di nefrologia e di dialisi, è possibile una cogestione delle sedute depurative con una netta riduzione del carico di lavoro degli infermieri di terapia intensiva.  Nel periodo da noi considerato (anno 1999), la percentuale di pazienti trattati con la CVVH e/o la CVVHDF è stata del 18,5 % rispetto al totale dei pazienti (243) ricoverati in UTIR. La differenza nel costo medio del materiale monouso tra gli apparecchi da noi utilizzati risiede nel maggiore costo unitario dei set dell'apparecchio Prisma, rispetto al costo del materiale impiegato per l'apparecchio Gambro; l'apparecchio Prisma nasce infatti direttamente come strumento per l'esecuzione automatica delle tecniche di depurazione extrarenale continua, mentre la macchina Gambro AK10 è stata concepita per l'esecuzione dell'emofiltrazione intermittente e successivamente modificata per la corrispondente modalità continua; il costo totale del materiale di consumo è sensibilmente differente tra i due apparecchi, ma è giustificato dal fatto che con la macchina Prisma è stata sempre associata all'emofiltrazione l'emodialisi, ovvero si sono utilizzate 2 metodiche contemporaneamente, e questo comporta un maggior uso di materiale monouso (sacche di dialisato). Il minor costo complessivo del materiale utilizzato con l'apparecchio Gambro AK10 (L. 34.785.000) rispetto a quello impiegato con l'apparecchio Prisma (L. 80.768.000) è da ascrivere al maggior numero di set usati con quest'ultimo (144 vs 84); la differenza è in anche relazione diretta con la minore durata media del filtro con l'apparecchio Prisma (21 ore) piuttosto che il Gambro AK10 (31 ore). Questo dato è da attribuire alla possibilità di monitoraggio nell'apparecchio Prisma della pressione del filtro e della rilevazione di coaguli, assente invece nell'apparecchio Gambro e dalla abitudine acquisita con il Prisma alla sostituzione routinaria del set allo scadere di 24 ore per garantire un'alta performance del filtro. Il carico di lavoro complessivo per gli infermieri della terapia intensiva è risultato maggiore con l'uso dell'apparecchio Prisma in rapporto al Gambro ed è legato in gran parte al maggior numero di set impiegati con il primo, ma anche alle differenti caratteristiche tecniche del Prisma che, rispetto al Gambro, permette di gestire più tecniche depurative contemporaneamente. Il tempo medio impiegato per il montaggio del set è risultato invece inferiore per l'apparecchio Prisma (30 minuti) rispetto all'apparecchio Gambro (45 minuti) ed è da attribuire al fatto che i set del Prisma sono già assemblati e si possono montare rapidamente, mentre il materiale necessario per l'emofiltrazione va montato estemporaneamente e richiede maggior tempo. Il kit già assemblato del Prisma è più semplice da montare e inoltre minimizza gli inquinamenti durante il montaggio.  Nella nostra esperienza di rianimazione polivalente con 7 posti letto, la mancanza di un reparto di nefrologia nell'ospedale e l'impossibilità di ritardare il trattamento depurativo in attesa di un trasferimento presso un altro centro ci ha spinto già dall'anno 1995 all'impiego dell'emofiltrazione artero-venosa continua (CAVH), e gradualmente con la formazione del personale medico e di quello infermieristico alla progressiva sostituzione con la CVVH e la CVVHDF sfruttando dapprima le macchine Gambro (AK10) con semplici modifiche per la realizzazione dell'emofiltrazione continua, e successivamente l'apparecchio Prisma (Hospal). Tale percorso passo-passo dalle metodiche più semplici a quelle più sofisticate ha condotto alla formazione di un équipe in grado di intraprendere una seduta di emofiltrazione quando le necessità cliniche del paziente critico lo richiedono.  Conclusioni Le metodiche di depurazione extrarenale continua rappresentano un presidio insostituibile nei pazienti critici contribuendo al concetto di "supporto totale" necessario nei quadri d'insufficienze multiple d'organo e di sepsi. L'aumento del carico di lavoro infermieristico che la gestione di tali tecniche comporta va inquadrato in una più ampia gamma di presidi terapeutici praticati al letto del paziente e deve essere sostenuto da un'ottimizzazione dell'attività assistenziale nel suo insieme; questi aspetti permettono una maggiore diffusione di tali tecniche anche in reparti di terapia intensiva non affiancate da servizi di dialisi. Bibliografia Kellum JA; Johnson JP; Kramer D; Palevsky P; Brady JJ; Pinsky MR. Diffusive vs. convective therapy: effects on mediators of inflammation in patient with severe systemic inflammatory response syndrome. Crit Care Med 1998 Dec;26(12):1995-2000 Weksler N; Chorni I; Gurman GM; Shapira AR; Gotloib L. Continuous venovenous hemofiltration improves intensive care unit, but not hospital survival rate, in nonoliguric septic patients. J Crit Care 2001 Jun;16(2):69-73  Gopal I; Bhonagiri S; Ronco C; Bellomo R. Out of hospital outcome and quality of life in survivors of combined acute multiple organ and renal failure treated with continuous venovenous hemofiltration/hemodiafiltration. Intensive Care Med 1997 Jul;23(7):766-72  Bellomo R; Boyce N. Continuous venovenous hemodiafiltration compared with conventional dialysis in critically ill patients with acute renal failure. ASAIO J 1993 Jul-Sep;39(3):M794-7 Gilman CM; Coffel BE; Gunn SK. Continuous venovenous hemofiltration: a cost-effective therapy for the pediatric patient. 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La rivista sarà inviata gratuitamente a tutti quelli che ne faranno richiesta, inviando il seguente messaggio "Desidero ricevere ESIA versione italiana" indirizzato a LANZA@UNIPA.IT La rivista pubblica rewiews e lavori originali compiuti nei campi dell'anestesia e della medicina critica. I lavori originali riguardano ricerche cliniche, di laboratorio e la presentazione di casi clinici. Le reviews includono argomenti per l'Educazione Medica Continua (EMC), articoli di revisione generale o riguardanti le attrezzature tecniche. ESIA pubblica le lettere all'Editore contenenti commenti su articoli precedentemente publicati ed anche brevi comunicazioni. La guida per gli autori può essere consultata collegandosi al sito ANESTIT all'indirizzo: http://anestit.unipa.it/ utilizzando la sezione riservata ad ESIA-Italia; oppure può essere richiesta inviando un messaggio a lanza@unipa.it EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE Sezione Italiana Il numero della rivista è anche ottenibile attraverso World-WideWeb WWW: l'URL per questo numero di ESIA è: http://anestit.unipa.it/esiait/esit0104.txt Il nome della rivista è esitaamm, dove aa è l'anno ed mm il mese (per esempio questo numero è esit0103.txt) LA REDAZIONE DI ESIA ITALIA DIRETTORE: Vincenzo LANZA Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo LANZA@UNIPA.IT Terapia Intensiva Antonio Braschi Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione 1 - Policlinico S. Matteo - IRCCS Pavia Anestesia Cardiovascolare Riccardo Campodonico Responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiochirurgica - Azienda Ospedaliera di Parma ricrob@mbox.vol.it Anestesia e malattie epatiche Andrea De Gasperi Gruppo trapianti epatici / CCM - Ospedale Niguarda - Milano Medicina critica e dell'emergenza Antonio Gullo Professore di Terapia Intensiva - Direttore del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva -Università di Trieste Anestesia ed informatica Vincenzo Lanza Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo Tossicologia Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia Terapia Antalgica e Cure Palliative Sebastiano Mercadante Aiuto del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo mercadsa@tin.it