__________________________________________________________________ __________________________________________________________________ ISSN 1080-3521 EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia - Il giornale italiano on line di anestesia Vol 5 No 05 MAGGIO 2000 __________________________________________________________________ __________________________________________________________________ Pubblicato elettronicamente da: Vincenzo Lanza, MD Servizio di Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy E-mail: (lanza@mbox.unipa.it) Keith J Ruskin, MD Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine 333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA Office: 203-785-2802 E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu Copyright (C) 1996 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente, curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine. ________________________________________________________________ In questo numero: 1 Ventilazione monopolmonare in chirurgia toracica 2 Pancreatite acuta: revisione clinica _______________________________________________________ Ventilazione monopolmonare in chirurgia toracica _______________________________________________________ Girolamo Tamburello, dirigente II liv. Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione - Azienda Ospedaliera V.Cervello - Palermo girotamb@tin.it La ventilazione monopolmonare (OLV = One Lung Ventilation) è applicata comunemente in chirurgia toracica, ma può essere essenziale in situazioni di emergenza ed essere utile in patologia polmonare unilaterale, dove lo scopo è quello di ridurre il carico ventilatorio meccanico sul polmone malato e i danni che ne conseguono. Le indicazioni della OLV possono essere assolute o relative. Indicazioni assolute: -sanguinamento massivo in cui l’isolamento del polmone dal quale proviene l’emorragia, può essere determinante per salvare la vita di un paziente. -sepsi e pus, per proteggere il polmone sano dalla contaminazione. -fistole broncopleuriche o broncocutanee quando, in ventilazione meccanica la resistenza al flusso è tanto bassa da comportare una grossa perdita aerea e compromettere la ventilazione efficace. -bolle gassose unilaterali.In questo caso l’isolamento del polmone è d’obbligo perché si possono rompere sotto ventilazione meccanica. -lavaggio alveolare per proteinosi alveolare o fibrosi cistica, dove serve a proteggere il polmone controlaterale dall’essere annegato. -Infine, sulla scia dell’entusiasmo per la chirurgia mininvasiva, sempre più frequenti sono gli interventi in videotoracoscopia e in questo caso la OLV è necessaria per offrire al chirurgo visibilità e ampiezza del campo operatorio. Indicazioni relative: -Pneumectomia -Lobectomia e tra queste soprattutto la superiore, meno la media e l’inferiore  -L’esofagectomia -La riparazione di aneurisma dell’aorta toracica è pure un’indicazione relativa.In conclusione le applicazioni più frequenti della OLV sono indicazioni relative e nei fatti la scelta operativa dipende certamente dall’abilità e dall’esperienza degli anestesisti ma soprattutto dalle preferenze del Chirurgo Toracico. Metodi di separazione del polmone: - In passato venivano adoperati bloccatori bronchiali e tubi endobronchiali a lume singolo, ma questi sistemi sono stati abbandonati per le difficoltà tecniche e per l’impossibilità di effettuare la rimozione delle secrezioni dal polmone del lato bloccato. - Attualmente sono più frequentemente adoperati tubi a doppio lume senza sperone per evitare attorcigliamenti ed eventuali lacerazioni tracheali e bronchiali. Questi tubi sono quelli di Robertshaw i quali posseggono una conformazione prefissata che diversifica le versioni dx e sn; il tubo a doppio lume lato dx ha una apertura per la ventilazione del lobo polmonare superiore dx ma la maggior parte degli autori è restia ad adoperarlo per evitare potenziali ostacoli. Inizialmente in gomma rossa, vengono oggi prodotti dalla maggior parte delle case produttrici in PVC, di tipo disposable e con cuffia di colore bleu per una migliore identificazione alla broncofibroscopia. Le misure disponibili vanno da 35 a 41 FR. La 37 è quella adoperata nella maggior parte delle donne adulte mentre la 39 FR nella maggior parte degli uomini adulti. - In ultimo un riferimento particolare merita il tubo endotracheale combinato con bloccatore (tubo Univent) per le sue doti di originalità e per la semplicità di esecuzione tecnica. Posizionamento del tubo a doppio lume: Prima andrebbe gonfiata la cuffia tracheale, i rumori respiratori vanno verificati subito dopo, in ambedue i campi polmonari; la cuffia bronchiale va gonfiata gradualmente, per evitare che eccessive pressioni possano danneggiare la mucosa bronchiale, fino a bloccare la perdita di aria verso il lume tracheale; in genere non occorrono più di 2 ml di aria.  I rumori respiratori vanno nuovamente ascoltati bilateralmente per escludere che la cuffia bronchiale troppo gonfia non si sia erniata al di la della carena e comprometta la ventilazione del polmone controlaterale. Un punto importante e fondamentale è quello di verificare che l’estremità bronchiale sia perfettamente collocata nel bronco designato, per fare ciò si clampa prima il lume tracheale a livello del collettore, ventilando attraverso il lume bronchiale, si guarda e si ascolta: l’ispezione rivelerà l’assenza di movimento e l’ascoltazione l’assenza di murmure dal lato clampato. La stessa operazione è fatta successivamente clampando il lume bronchiale e ventilando attraverso quello tracheale.posizionamento  del tubo  a doppio lume Quando si usa un tubo a doppio lume lato dx bisogna assicurare una appropriata ventilazione del campo del lobo polmonare sup. dx con adeguata ascoltazione o più accuratamente attraverso l’esame fibrobroncoscopico. Quando si usa un tubo a doppio lume lato sn non si può escludere il rischio che l’estremità bronchiale, avanzata troppo profondamente nel lume del bronco principale sn, possa avere ostruito il lume del bronco lobare sup. sn. Quando le pressioni di insufflazione, durante ventilazione dei 2 polmoni, sono 20 cm di H2O, a parità di volume corrente, non dovrebbero superare i 40 cm di H2O, durante ventilazione di un solo polmone e i valori spirometrici dovrebbero corrispondere a quelli precedenti la OLV.  E’ dimostrato che tubi a doppio lume perfettamente posizionati con adeguato controllo ispettivo e ascoltatorio, mostravano successivamente al controllo fibrobroncoscopico un’incidenza di malposizionamento del 20-48%. Controllo fibrobroncoscopico fig.1 La Fig. 1 mostra il tubo a doppio lume lato sn in situ, dove la broncoscopia, attraverso il lume tracheale mette facilmente in evidenza la carena e soltanto l’estremità prossimale della cuffia bronchiale subito al di la di questa.L’erniazione della cuffia bronchiale sopra la carena può ostruire il bronco principale opposto e deve essere corretta.La cuffia bronchiale dei tubi in PVC è facilmente riconoscibile, mentre quella dei tubi rossi non disposable, gialla, era di difficile riconoscimento. La broncoscopia attraverso il lume bronchiale deve identificare l’orificio del bronco lobare sup. sn pervio.fig.2 La Fig.2 mostra il tubo a doppio lume lato dx, dove la broncoscopia attraverso il lume tracheale visualizza la carena e anche qui solo l’estremità della cuffia bronchiale, ma il punto più difficile è l’esame broncoscopico attraverso il lume bronchiale per identificare, quando il broncoscopio passa attraverso l’apertura per la ventilazione del lobo polmonare sup. dx, l’orificio del bronco lobare sup.dx Questa procedura è molto complicata e richiede l’intervento di un broncoscopista esperto. Sono disponibili diverse misure di fibrobroncoscopio, quelle più comuni sono la 5,6 la 4,9 la 3,9 mm di diametro esterno. La 3,9 può passare attraverso un tubo 37FR ma è troppo grande per un 35FR. Problemi associati al posizionamento dei tubi a doppio lume - Nonostante la mancanza dello sperone sono possibili lacerazioni tracheali e bronchiali dovute alla conformazione preformata, ma soprattutto alla mancata estrazione del mandrino al momento della rotazione del tubo. - E’ possibile un errato posizionamento: il tubo a doppio lume lato sn può erroneamente essere introdotto a dx, in questo caso la ventilazione del campo polmonare sup. dx sarà difettosa e, poichè il tubo può non essere penetrato sufficientemente in profondità nel bronco principale dx, il murmure sarà presente su ambedue i campi polmonari quando si ventila attraverso il lume bronchiale ma sarà assente se la ventilazione avviene attraverso quello tracheale. - Il tubo a doppio lume lato dx può ostruire l’orificio del bronco lobare sup. dx, questa eventualità è frequente perché la distanza tra la carena e l’orificio del bronco lobare sup. dx è molto corta tra 1,5 e 2cm con un margine di sicurezza tra 1 e 8mm. - Il tubo a doppio lume lato sn può ostruire, anche se la distanza tra carena e bronco lobare sup sn. è tra 5 e 5,5 cm, l’orificio del bronco lobare sup. sn; è necessario pertanto ritirare il tubo di 1 cm per ripristinare la ventilazione del campo polmonare sup. sn. - la cuffia troppo gonfia per lungo tempo può danneggiare la mucosa bronchiale, quando possibile (indicazioni relative) la cuffia andrebbe sgonfiata se le fasi dell’intervento lo consentono. Abbiamo in precedenza accennato al tubo Univent: Questo tubo possiede nel contesto della sua parete, anteriormente, un canale che dà passaggio al dispositivo di blocco bronchiale. Il dispositivo bloccante ha all’estremità un palloncino gonfiabile e all’interno un canale di 2mm di diametro che può servire per aspirare o per applicare la CPAP. Questo tubo è introdotto come un tubo endotracheale comune. Quando si deve procedere all’inserimento del dispositivo bloccante, si ruota la testa del paziente e il tubo dal lato da bloccare e sotto guida fibrobroncoscopica lo si fa scorrere distalmente verso il bronco principale designato.Quando è ben collocato nel bronco, si gonfia il palloncino con 6-7ml di aria. In alternativa si può intubare direttamente con lo stesso tubo il bronco principale e succesivamente ,mentre il dispositivo bloccante viene mantenuto in situ, il tubo viene ritirato in posizione tracheale.fig.3 Vantaggi: - lume singolo - possibilità di aspirazione da lato non ventilato - possibilità di applicazione di CPAP sul polmone non ventilato - possibilità di continuare la ventilazione post-operatoria con lo stesso tubo. Svantaggi: - più difficoltosa la tenuta e più frequente la dislocazione con le manovre chirurgiche. - il piccolo diametro interno del dispositivo bloccante può rendere difficile l’aspirazione. - tempo di collasso polmonare più lungo che comunque lo stesso chirurgo può accelerare con una manovra manuale.Indicazioni: Nonostante gli svantaggi peraltro relativi, questo tubo è certamente un presidio prezioso, in particolare: -quando è impossibile mettere un tubo a doppio lume. -In prima intenzione: stomaco pieno, intubazione prevista difficile, paziente ipossiemico, quando il calibro tracheale e bronchiale sono ridotti. lll Approccio clinico alla ventilazione di un solo polmone. Dopo lo spostamento del paziente in decubito laterale è indispensabile ricontrollare il posizionamento del tubo perchè è frequente la dislocazione dovuta al cambiamento di posizione. La ventilazione di ambedue i polmoni andrebbe mantenuta il più a lungo possibile. Al momento della esclusione una Fi O2 di 1 è sufficiente a garantire una adeguata ossigenazione. In presenza di una normale vasocostrizione ipossica la PaO2 sarà tra 150 e 210 mm di Hg. La causa di tale desaturazione arteriosa è lo shunt del polmone non dipendente. Il polmone non dipendente non ventilato sarà comunque ancora perfuso Il grado di shunt dipende sia dalla posizione che favorisce la perfusione del polmone dipendente a spese del polmone non dipendente ma soprattutto dal grado di vasocostrizione ipossica che inizia ad una PAO2 di 100 mm di Hg e raggiunge la massima riduzione di flusso pari al 50% a 40 mm di PAO2. Lo shunt che ne risulta varia mediamente nella pratica clinica tra il 20 e il 40%. Questo meccanismo non è sempre conservato nella sua piena efficienza e patologie polmonari o interventi farmacologici lo possono annullare pressocchè completamente. In pratica vengono utilizzate FiO2 tra 0,5 e 1. FiO2 elevate possono dare teoricamente danni tossici polmonari ma è poco probabile che ciò avvenga nel breve tempo di un intervento chirurgico, mentre è possibile che alte FiO2 possano determinare atelettasie da riassorbimento ed incrementare lo shunt. In questo caso sembra promettente l’utilizzo del NO che oltre a ridurre lo shunt permette una riduzione della dose di potenti anestetici cardiodepressivi con conseguenti vantaggi nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare e la cui somministrazione è da considerare abbastanza sicura grazie ad un semplice controllo pulsossimetrico. Il volume corrente consigliato varia da 10 a 12ml/Kg e la frequenza respiratoria deve essere tale da mantenere una PaCO2 di 35 (+/-3) mm di Hg, valutabile con facilità e sufficiente attendibilità attraverso la end-tidal CO2. Volumi correnti più piccoli possono determinare microatelettasie e shunt nel polmone dipendente, volumi correnti più grandi possono deviare il flusso ematico verso il polmone non dipendente e peggiorare lo shunt. Dall’inizio dell’esclusione del polmone e per circa 45 minuti la saturazione può continuare a diminuire rendendo indispensabile un controllo regolare dell’emogasanalisi e pulsossimetrico continuo. lll Tecniche per migliorare l’ossigenazione Esistono diverse possibilità per migliorare l’ossigenszione ma la tecnica sicuramente più efficace è rappresentata dall’applicazione di CPAP al polmone non dipendente. La sua azione sull’ossigenazione non è dovuta all’effetto pressione con deviazione di flusso al polmone dipendente, ma ad un effetto distensivo alveolare nel polmone non dipendente e alla possibilità di scambio gassoso in questi alveoli, infatti una CPAP della stessa entità applicata con N anzicchè con O2 non sortisce alcun effetto sulla ossigenazione. La maggior parte degli studi più recenti conferma il sorprendente aumento della PaO2 dovuto all’applicazione della CPAP10.  E’ sufficiente una sorgente di O2 con una erogazione di 5 litri/min., un tubo di connessione e una valvola di pressione regolabile generalmente da 0 a 10cm di H2O. E’ opportuno che l’applicazione della CPAP inizi con l’erogazione al polmone non dipendente di un volume pari al tidal. Un’altra possibilità per migliorare l’ossigenazione consiste nell’applicazione di PEEP10 (10cm di H20) al polmone dipendente, ma si raccomanda, di applicare sempre questa PEEP associata alla CPAP al polmone non dipendente; la PEEP da sola applicata al polmone dipendente non migliora l’ossigenazione, probabilmente perché l’effetto benefico dovuto alla distensione e al reclutamento di alveoli atelettasici è controbilanciato dall’effetto deviazione di flusso verso il polmone non dipendente. In conclusione il metodo preferito di menagement dell’ipossiemia durante OLV consiste nell’applicazione di CPAP al polmone non dipendente, associato alla ricerca di una ottimale combinazione di PEEP e di CPAP (tra 5 e 10 cm di H2O).  In casi estremi nonostante le misure adottate la PaO2 continua a diminuire, una riventilazione intermittente del polmone non dipendente dovrà, allora, essere prevista con la collaborazione del chirurgo, inoltre se l’intervento programmato è una pneumectomia e la fase dell’intervento lo consente potrà essere eseguita in anticipo la legatura dell’arteria polmonare che eliminerà definitivamente la causa dello shunt. Naturalmente in qualunque momento, qualora le condizioni del paziente dovessero diventare critiche con tachicardia e ipotensione, la ventilazione del polmone non dipendente dovrà essere ripresa fino a quando non saranno ristabilite condizioni di stabilità emodinamica. In ultima analisi va anche ricordato che le indicazioni alla OLV sono frequentemente indicazioni soltanto relative. In ogni caso un ulteriore controllo fibroscopico dovrà essere attuato sia per verificare un'adeguata ventilazione del lobo polmonare sup.dx che, qualora si usa un tubo a doppio lume lato sn per toracotomia dx, per escludere che l’estremità bronchiale non ostruisca l’orificio del bronco lobare sup.sn. In questo caso ritirare il tubo di 1 cm ristabilisce condizioni di perfetta ventilazione ed ossigenazione. Queste ultime eventualità sono favorite anche dalle manovre chirurgiche (palpazione, trazioni, occlusioni).Pertanto necessita una stretta sorveglianza delle pressioni di insufflazione, dei valori spirometrici e del capnogramma per rivelare e riconoscere tempestivamente una situazione ostruttiva o un’alterazione degli scambi gassosi conseguente al malposizionamento del DLT.  lll Ossido nitrico e ventilazione di un solo polmone L’ossido nitrico è prodotto dalle cellule endoteliali a partire dalla L-arginina attraverso la via metabolica che richiede l’intervento della NO-sintetasi e diffonde sulla muscolatura liscia vascolare per dare rilasciamento e vasodilatazione previa attivazione della guanidil-ciclasi e la sintesi di 3,5GMPciclico. Gli effetti clinici di nitroprussiato e nitroglicerina sono mediati dal rilasciamento intracellulare di NO. L’NO ha anche azione su altre funzioni fisiologiche quali aggregazione piastrinica, neurotrasmissione e attività antitumorale e antimicrobica. L’NO inalato in concentrazione da 5 a 80 ppm riduce le resistenze vascolari polmonari. La sua azione è limitata al circolo polmonare e non interessa la circolazione sistemica, poiché dopo inalazione è assorbito e inattivato in circolo ad opera dell’emoglobina, infatti la sua emivita è di appena 110-130 ms. Inoltre la sua azione si limita soltanto agli alveoli ventilati migliorando il rapporto V/Q. Frostell ed altri hanno descritto gli effetti dell’inalazione di NO durante ipossia in volontari umani costatando che il NO faceva regredire selettivamente la vasocostrizione ipossica senza procurare vasodilatazione sistemica. La maggiore applicazione clinica dell’NO riguarda le malattie cardiache congenite associate a ipertensione polmonare e grosso shunt sn-dx e le ipertensioni polmonari in genere.Ossido Nitrico e Ventilazione monopolmonare Si può dedurre il concetto che il NO possa modulare il grado di perfusione polmonare in aree selettive del polmone e, in particolare nella ventilazione di un solo polmone per toracotomia, la somministrazione di NO procurando vasodilatazione in questo polmone aumenterebbe gli effetti della vasocostrizione ipossica nel polmone non dipendente con aumento del flusso al polmone dipendente, riduzione dello shunt e miglioramento dell’ossigenazione arteriosa. Studi preliminari durante ventilazione monopolmonare presentano risultati apparentemente contrastanti. Booth e Al.somministrando NO a 40 ppm a 9 pazienti durante OLV riportano un miglioramento dell’ossigenazione in confronto a un gruppo di 6 pazienti di controllo, mentre Wilson e Al. in 6 pazienti nelle stesse condizioni di somministrazione (40 ppm) non confermano i risultati precedentemente riportati. In questi ultimi pazienti con PVR normali Qs/Qt non ha subito alcun cambiamento. Si può concludere che i benefici effetti del NO sono limitati in assenza di ipossiemia e di vasocostrizione polmonare. Pertanto sono i pazienti con ipossiemia ed elevata pressione polmonare che beneficeranno maggiormente, durante OLV, dell’applicazione del NO. Il concetto di maggiore interesse, per una adeguata ossigenazione durante OLV, rimane la capacità a modulare la circolazione polmonare.L’almitrine bimesylate un agonista dei chemiorecettori periferici, a basse dosi aumenta la vasocostrizione polmonare ipossica. L’NO inalato e l’almitrine endovena sono stati combinati con effetti additivi sugli scambi gassosi. L’utilizzo di questa combinazione, durante OLV, ha potenziato al massimo la vasocostrizione ipossica al polmone non dipendente mentre la vasodilatazione al polmone dipendente ha praticamente eliminato lo shunt transpolmonare (fig6). Questa teoria è stata sottoposta a verifica da Moutafis e al.in 20 pazienti sottoposti a intervento in videotoracoscopia per resezione polmonare. Il gruppo di pazienti che riceveva la combinazione almitrine ed NO non aveva alcun decremento della PaO2 durante OLV. Questo è importante in tutti i pazienti che hanno una riserva respiratoria minima e che non riescono a mantenere una sufficiente ossigenazione durante OLV. Infine, sarebbe di grande utilità negli interventi in videotoracoscopia dove l’applicazione della CPAP al polmone non dipendente interferisce con l’abilità del chirurgo ad eseguire le manovre chirurgiche.Bibliografia 1) E. Cohen, MD - New Trends in Thoracic Anesthesia - ASA Refresher Course 1999 2) Campo JH et al.: Is there a better right-sided tube for one-lung ventilation? A comparison of the right-sided double-lumen tube with the single lumen tube with right-sided enclose bronchial blocker. Anesth Analg 696-700, 1998 3) Allen MS : Video-assisted Thoracoscopic surgical procedures: TheMayo experience. Mayo Clin Proc 71:351, 1996 4) Freden F et al.: Nitric oxide modulation of pulmonary blood flow distribution in lobar hypoxemia. Anesthesiology 82:1216-25,1995 5) Frostell C et al.: Inhaled nitric oxide: a selective pulmonary vasodilator reversing hypoxic pulmonary vasoconstriction. Circulation 83:2039-47 1991 6) Booth J et al.: Effect of unilateral inhaled NO during selective ventilation in anesthetized human. Anesthesiology 81:A1457,1994 7) Nakanishi S et al.: Almitrine enhances in low dose the reactivity of pulmonary vessels to hypoxia. Respir Phisiol 74(2):139-50 1998 _______________________________________________________ Pancreatite acuta: revisione clinica _______________________________________________________ Loredana Chiarenza - Servizio di Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla F.B.F. -Palermo lory@gestelnet.it La pancreatite acuta è un processo infiammatorio caratterizzato da diversi quadri anatomo-patologici che variano da una reazione edematosa ad una estesa necrosi emorragica, e può coinvolgere i tessuti peripancreatici, ma anche organi sistemici, con potenziali e devastanti conseguenze.L’indice di mortalità per questa patologia è intorno al 5-10%, ma può arrivare sino al 35% e più se insorgono complicanze (1,2,3) Non è facile fare diagnosi di pancreatite acuta. I segni di questa patologia sono aspecifici: il dolore addominale che spesso segna l’esordio della patologia, è comune anche ad altre patologie, così come l’aumento delle amilasi sieriche si può avere anche in corso di ulcera peptica penetrante, o perforata, gravidanza ectopica, occlusione o infarto intestinale. Sicuramente una buona indagine anamnestica può indirizzare verso questa patologia, anche se è importante escludere le altre che, peraltro, sono meritevoli di intervento chirurgico. La pancreatite acuta è per definizione un processo patologico reversibile, ma non è sempre facile distinguere tra pancreatite acuta e cronica. La classificazione più comunemente usata per la pancreatite acuta distingue due forme: media e severa, dove per severa si intende un processo patologico caratterizzato da insufficienza multiorgano e complicazioni locali, il che si verifica nel 25 % dei casi (vedi oltre).( 4) Esistono delle condizioni predisponenti alla patologia (vedi tabella 1) ed anche l’assunzione di alcuni farmaci (elencati in tabella 2) può determinare la comparsa della malattia, ma ancora oggi nel 10% dei casi di pancreatite non si riesce ad individuare una causa (pancreatite idiopatica). Condizioni associate Colelitiasi, coledocolitiasi Veleni (puntura di scorpione, o di alcuni ragni)Alcolismo Parassiti intraduttali (ascaridiasi)Farmaci Cause idiopatiche Trauma Gravidanza Chirurgia addominale maggiore Trapianti d'organo Bypass cardiopolmonare Insufficienza renale terminale Ipercalcemia Infezioni da MycoplasmaIperlipidemia Infezioni virali (parotite, coxsackie B, HIV, etc)Ulcera penetrante gastrica o duodenale Pancreatite familiare Tumori pancreatici Vasculiti Pancreas divisum* Ischemia o Embolia FARMACI ASSOCIATI associazione definita associazione probabile associazione possibile Azatioprina Acido Valproico Corticosteroidi 6-Mercaptopurina Furosemide Ciclosporina Asparaginasi Idroclorotiazide Metronidazolo Pentamidina Sulfonamidi Eritromicina Didanosine Tetracicline Piroxicam Estrogeni Cimetidina Sulfasalazina Metolazone Paracetamolo (overdose) Metildopa Ergotamina (overdose) Ac. Aminosalicilico EZIOPATOGENESI La fase iniziale della malattia è caratterizzata da edema interstiziale del parenchima pancreatico e necrosi del grasso peripancreatico. Ciascuna causa predisponente sembra agire sulle cellule acinari con il risultato di attivare prematuramente e ritenere dei potenti enzimi proteolitici. Questi enzimi attivati, a loro volta, danneggiano le cellule acinari e causano l’immediato rilascio di citochine e attivazione del sistema del complemento. Insieme queste molecole attraggono e sequestrano cellule infiammatorie, in particolare neutrofili che causano una ulteriore secrezione di citochine, radicali liberi ed altre molecole vasoattive come l’ossido nitrico. Il rilascio di molecole infiammatorie produce effetti locali quali edema pancreatico e necrosi, e complicanze sistemiche come ipotensione, febbre, tachicardia, capillary leak syndrome, e ipossia. Inoltre le citochine rilasciate nel pancreas stimolano l’apoptosi, iniziando così la morte cellulare responsabile della pancreatite. (5) In particolare è la tripsina in forma cationica, che sembra essere il principale responsabile dell’attivazione di protrombina, plasminogeno e chininogeno, che sono alla base dei cambiamenti cardiovascolari ed emocoagulativi che si hanno durante la pancreatite. La tripsina, in condizioni fisiologiche, sembra essere inibita principalmente dalle alfa2- macroglobuline, con cui si lega formando un complesso in forma inattiva. Il bilancio azotato negativo presente nella pancreatite acuta, riducendo la sintesi delle alfa2- macroglobuline, permette una più intensa azione degli enzimi pancreatici, e, inoltre, riduce gli effetti degli inibitori esogeni. Inoltre sembra che la produzione di secretina pancreatica sia regolata dalla concentrazione di idrogenioni, mentre la colecistochinina è prodotta dal passaggio di un bolo alimentare attraverso il duodeno. Sicchè un Ph duodenale sotto 4.5 determina un aumento di secretina e la presenza di proteine e grassi nel duodeno stimolala secrezione di colecistochinina. La concentrazione di entrambi gli ormoni, poi, aumenta in risposta alla secrezione di colecistochinine. (6) Queste nozioni sull’eziopatogenesi della malattia sono importanti per i risvolti terapeutici che vedremo in seguito (vedi terapia). PRESENTAZIONE CLINICA L’esordio della malattia consiste in dolore epigastrico che può irradiarsi posteriormente (50% dei casi), e che peggiora in posizione supina. A questo sintomo spesso si associano: nausea, vomito, ipovolemia e ileo paralitico. SEGNI E SINTOMI dolore (irradiato al dorso, peggiora in posizione supina) assenti segni di irritazione peritoneale nausea, vomito ipovolemia (3° spazio) distensione addominale Cullen’s segno e Gray-Turner’s segno Problemi respiratori Ipocalcemia senza tetano (ipoalbuminemia,formazione saponi di calcio > secrezione di calcitonina per > del glucagone sierico,< secr di paratormone ) Ranson e collaboratori (7) hanno identificato 11 caratteristiche cliniche che sono correlate alla morbilità, ed all’eventuale mortalità.Cirteri di Ranson di per la gravità della pancreatite acuta Ricovero:età >55 anni conta globuli bianchi >16 000/mm3Glicemia >110 mg/100ml Latato deidrogenasi >350 IU/lAspartato aminotransferasi >250 U/lDurante le prime 24 ore:riduzione dell'ematocrito >10%Azotemia >180 mg/100mlCalcio <2 mmol/lPressione parziale di ossigeno <60 mm Hgdeficit di basi >4 mmol/lsequestro di liquidi >6 l Paziente che presenta 3 o più criteri di Ranson Paziente che necessita di monitoraggio ,tecniche di rianimazione e di supporto ventilatorio o che presenta scompenso metabolico, insufficienza renale, collasso cardiovascolare, sepsi con MOF I primi 5 criteri valutano la severità del processo infiammatorio, laddove i 6 criteri misurati alle 48 ore indicano gli effetti sistemici degli enzimi e delle tossine circolanti. Di conseguenza, il ricovero in ICU può essere consigliato per pazienti che presentano 3 o più criteri di Ranson, che necessitano di monitoraggio, di tecniche di rianimazione e di supporto ventilatorio oppure che presentano scompenso metabolico, insufficienza renale, collasso cardiovascolare e sepsi con insufficienza multisistemica (8).Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, l’aumento delle amilasi è un esame poco specifico, comune anche ad altre patologie (specificità 70%); è possibile trovare aumentate anche le lipasi, e sicuramente l’aumento di entrambi gli enzimi, rappresenta il golden standard della diagnostica laboratoristica rappresentando una sensibilità ed una specificità > 90%. (9). Inoltre poiché le amilasi sono degli enzimi che vengono eliminati a livello renale con una clearance molto veloce, si possono trovare dei valori nella norma anche in presenza di pancreatite acuta (10). Uno altro dato di frequente riscontro in corso di pancreatite acuta è l’ipocalcemia, dovuta ad una serie di fattori, tra cui l’ipoalbuminemia, la formazione di saponi di calcio, l’aumentata secrezione di calcitonina per aumento del glucagone sierico, e la diminuita secrezione di paratormone.E’ possibile anche trovare un valore di ALT > 80 , molto specifico per pancreatite biliare, ma poco sensibile. Dal punto di vista della diagnostica radiologica, l’unico esame che è utile sia nella diagnosi che nel monitoraggio della pancreatite è la TAC.Uno studio fatto sullo stato emodinamico dei pazienti con pancreatite ha riscontrato delle differenze significative tra pazienti con pancreatite emorragica e quelli con pancreatite edematosa-interstiziale: Il primo gruppo mostra uno stato iperdinamico, con aumento della frequenza cardiaca, dell’indice cardiaco, basse resistenze periferiche, ed alta differenza arterovenosa; mentre il secondo gruppo ha dei valori più vicini a quelli normali.( 11)Questo avvalorerebbe l'ipotesi patogenetica di cui sopra, secondo la quale, i mediatori della flogosi prodotti a livello pancreatico andrebbero in circolo determinando vasodilatazione periferica e l’apertura di shunts polmonari, che sono anche alla base dell’insufficienza respiratoria insieme alla diminuita capacità ventilatoria dovuta al sollevamento dell’emidiaframma, all’atelettasia basale, al versamento pleurico, ed alla microembolia polmonare, dovuta alla degradazione del surfattante da parte degli enzimi pancreatici circolanti.Inoltre questa risposta ipermetabolica determina: aumento della spesa energetica del 10-30% sino al 50% nelle forme severe; aumento della gluconeogenesi e conseguente insulino-resistenza; ed aumento del catabolismo proteico ( la produzione di urea aumenta del 300-400%).TRATTAMENTO La terapia della pancreatite se da un lato deve mettere a riposo il pancreas, dall’altro ha lo scopo di fornire al paziente le sostanze necessarie alle sue esigenze nutrizionali e metaboliche. In primo luogo è fondamentale il reintegro delle perdite idroelettrolitiche, ai fini anche di evitare un aumento dell’azotemia. Per mettere a riposo il pancreas si dovrebbe mantenere il Ph duodenale < 4,5, e contemporaneamente, evitare il passaggio di cibo attraverso il duodeno (vedi patogenesi). Inoltre è importante avere un bilancio azotato positivo per cercare di evitare le complicanze settiche. Nei casi in cui si preveda un digiuno maggiore di 10 giorni, trova indicazione la nutrizione artificiale, che nelle prime fasi in cui vi è vomito, assenza di peristalsi, e dolore addominale, deve essere per via parenterale, associando la aspirazione continua del contenuto gastrico, in quanto è stato dimostrato che la somministrazione per via venosa di aminoacidi e glucosio determina una secrezione pancreatica minima, certamente inferiore a quella prodotta dalla somministrazione attraverso il duodeno di diete elementari o da semplice soluzione fisiologica (6). Dopo circa 10 giorni, non appena possibile, è bene associare una nutrizione enterale con sondino nasodigiunale o attraverso digiunostomia, cercando , così, di evitare anche la traslocazione microbica dal lume intestinale al circolo sistemico (minimum enteral feeding= 10-20ml/h).. Le linee guida della RINPE (12) concernenti i pazienti affetti da pancreatite acuta consigliano di contenere l’apporto calorico totale entro le 25-30Kcal/Kg, con 1,5-2 gr /kg di aminoacidi, e lipidi per il 30% dell’apporto calorico totale fino ad 1-2 gr/Kg/die. In caso di pazienti con ipertrigliceridemia, l’impiego dei lipidi è controindicato . Come indicatori di efficacia della terapia parenterale, si consiglia di valutare:il peso corporeo, che deve mantenersi costante; la riduzione del bilancio azotato negativo; la riduzione di amilasi e lipasi nel siero la mancanza o riduzione delle complicanze metaboliche o settiche. Per quanto riguarda gli altri presidi terapeutici, molto è stato scritto sull’indicazione a procedere ad un intervento chirurgico. Tutti concordano nel dire che la chirurgia non è il trattamento di scelta di questa patologia tranne nei casi a genesi chirurgica (per es. calcoli nel coledoco). Oggi molti Autori (13) si sono indirizzati verso l’uso di tecniche non molto invasive, come la ERCP, per la soluzione di alcuni di questi casi.Altri autori (14) sostengono che l’unica vera indicazione a procedere per via chirurgica sia la pancreatite necrotica, in cui è importante drenare questo materiale all’esterno. Inoltre, gli stessi autori, ritengono appropriato l’intervento chirurgico, in tutti i pazienti le cui condizioni rimangono critiche nonostante cure intensive. Tuttavia questo non diminuisce la percentuale di mortalità e di morbilità. E’ importante controllare il dolore di questi pazienti: la petidina sembrerebbe essere il farmaco di scelta per questi pazienti. Sono stati fatti molti studi su l’utilizzo di somatostatina e calcitonina come inibitori della secrezione pancreatica (15,16): nonostante il buon razionale fisiologico, queste sostanze non si sono dimostrate capaci di variare l’outcome di questi pazienti, al punto che da tempo,ormai, sono state abbandonate.Le complicanze tardive di questa patologia sono da mettere in relazione alla sepsi. Le infezioni pancreatiche nella pancreatite acuta severa, sono dovute alla traslocazione e colonizzazione dei batteri enterici. E’ quindi importante iniziare una profilassi antibiotica, soprattutto in quei pazienti che hanno molte probabilità di sviluppare una pancreatite severa (17) COMPLICANZE Le complicanze della pancreatite sono rappresentate da processi di natura vascolare, dalla formazione di pseudocisti pancreatiche e da complicanze relative alle pseudocisti, dall’ostruzione biliare, dall’ascesso e dalla necrosi pancreatica. Le complicanze vascolari si distinguono in sistemiche e locali. Gli effetti vascolari sistemici sono in relazione al rilascio in circolo di proteasi pancreatiche, in grado di attivare la cascata del complemento (vedi patogenesi). Gli effetti vascolari locali si dividono a loro volta in arteriosi e venosi. Le complicanze arteriose sono le più gravi e sono conseguenti a sanguinamenti di una pseudocisti pancreatica o a rottura di uno pseudoaneurisma. Il vaso più comunemente coinvolto è l’arteria splenica, seguita dalla gastroduodenale e dall’arteria pancreaticoduodenale inferiore, anche se in realtà qualsiasi vaso splancnico adiacente può essere coinvolto (18,19). Lo sviluppo di aneurismi in questi pazienti è probabilmente in relazione all’autodigestione enzimatica del pancreas e delle arterie peripancreatiche.Questa complicanze è causa di mortalità per il 25-40% dei casi in cui si verifica. Le complicanze venose sono rappresentate dalla trombosi della vena porta e della vena splenica. Pur presentandosi in maniera meno drammatica delle complicanze arteriose, sono anch’esse causa di morte. La pseudocisti pancreatica è una raccolta localizzata di secrezioni pancreatiche non delimitata da epitelio, che persiste per più di 4 settimane. E’ una complicanza abbastanza frequente, che necessita di trattamento chirurgico, soprattutto quando diventa sintomatica, cioè quando si infetta o determina ostruzione del tratto gastointestinale, o sanguina. La terapia iniziale per questa complicanza è il lavaggio peritoneale ed il conseguente drenaggio. Se questa tecnica fallisce si ha la necessità di proseguire verso interventi chirurgici più aggressivi. L’ostruzione biliare è dovuta ad autodigestione del dotto biliare comune da parte degli enzimi pancreatici. Generalmente regredisce nel corso della malattia (20). La necrosi pancreatica è l’indicazione principale all’intervento chirurgico per questi pazienti. Il rilascio degli enzimi proteolitici da parte del pancreas determina autodistruzione della ghiandola. Se a questo si associa l’erosione dei vasi peripancreatici e la contaminazione degli enterobatteri, si è determinata una necrosi pancreatica infetta.. Nei casi in cui, al quadro radiologico, si associa uno scadimento delle condizioni generali del paziente è necessario intervenire chirurgicamente. Normalmente, le tecniche percutanee possono essere utili per fare diagnosi o per drenare raccolte saccate più piccole, mentre l’ampia asportazione ed il posizionamento di drenaggi in aspirazione, è la tecnica di scelta per le raccolte più grandi.Anche se trattati in maniera meticolosa, i drenaggi in aspirazione possono non essere sufficienti, e spesso questi pazienti devono tornare in sala operatoria per drenare nuove raccolte: ogni nuovo intervento diventa, così sempre più difficile a causa dell’alterazione delle strutture anatomiche, per cui anche questa complicanza è gravata da elevata mortalità. CONCLUSIONI La pancreatite rappresenta una malattia che a tutt’oggi è gravata da una pesante morbilità e mortalità. Solo un approccio multidisciplinare che coinvolga rianimatori e chirurghi ,in stretto contatto, può migliorare l’outcome di questi pazienti, la cui prognosi, nonostante tutto, rimane molto grave. BIBLIOGRAFIA Banks PA. Practice guidelines in acute pancreatitis. 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In quelli di lingua Italiana un corposo riassunto in Inglese verrà preparato dalla redazione, qualora l'autore non fosse in grado di fornirlo. A cura della redazione sarà inoltre la traduzione in Italiano dei manoscritti inviati in lingua Inglese. La rivista sarà inviata gratuitamente a tutti quelli che ne faranno richiesta, inviando il seguente messaggio "Desidero ricevere ESIA versione italiana" indirizzato a LANZA@MBOX.UNIPA.IT La rivista pubblica rewiews e lavori originali compiuti nei campi dell'anestesia e della medicina critica. I lavori originali riguardano ricerche cliniche, di laboratorio e la presentazione di casi clinici. Le reviews includono argomenti per l'Educazione Medica Continua (EMC), articoli di revisione generale o riguardanti le attrezzature tecniche. ESIA pubblica le lettere all'Editore contenenti commenti su articoli precedentemente publicati ed anche brevi comunicazioni. La guida per gli autori può essere consultata collegandosi al sito ANESTIT all'indirizzo: http://anestit.unipa.it/ utilizzando la sezione riservata ad ESIA-Italia; oppure può essere richiesta inviando un messaggio a lanza@unipa.it EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE Sezione Italiana Il numero della rivista è anche ottenibile attraverso World-WideWeb WWW: l'URL per questo numero di ESIA è: http://anestit.unipa.it/esiait/esit0005.txt Il nome della rivista è esitaamm, dove aa è l'anno ed mm il mese (per esempio questo numero è esit0005.txt)LA REDAZIONE DI ESIA ITALIA DIRETTORE: Vincenzo LANZA Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo LANZA@UNIPA.IT Terapia Intensiva Antonio Braschi Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione 1 - Policlinico S. Matteo - IRCCS Pavia Anestesia Cardiovascolare Riccardo Campodonico Responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiochirurgica - Azienda Ospedaliera di Parma ricrob@mbox.vol.it Anestesia e malattie epatiche Andrea De Gasperi Gruppo trapianti epatici / CCM - Ospedale Niguarda - Milano Medicina critica e dell'emergenza Antonio Gullo Professore di Terapia Intensiva - Direttore del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva -Università di Trieste Anestesia ed informatica Vincenzo Lanza Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo Tossicologia Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia Terapia Antalgica e Cure Palliative Sebastiano Mercadante Aiuto del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo mercadsa@mbox.vol.it