__________________________________________________________________ __________________________________________________________________ ISSN 1080-3521 EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia - Il giornale italiano on line di anestesia Vol 5 No 01 GENNAIO 2000 __________________________________________________________________ __________________________________________________________________ Pubblicato elettronicamente da: Vincenzo Lanza, MD Servizio di Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy E-mail: (lanza@mbox.unipa.it) Keith J Ruskin, MD Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine 333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA Office: 203-785-2802 E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu Copyright (C) 1996 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente, curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine. ________________________________________________________________ In questo numero: 1 Memoria ed esperienze oniriche durante anestesia e sindromi post-traumatiche da stress: parte 3^ - farmaci bloccanti neuromuscolari (curarici) 2 Reazioni indesiderate e complicazioni dell'Anestesia Peridurale in ostetricia _______________________________________________________ Memoria ed esperienze oniriche durante anestesia e sindromi post-traumatiche da Stress: parte 3^ - farmaci bloccanti neuromuscolari (curarici) _______________________________________________________ Anthony Messina, MD Assistant Professor of Anesthesiology The New York Hospital-Cornell Medical Center Associate Attending Anesthesiologist Lenox Hill Hospital New York, 10021 - USA agmessina@earthlink.net lll "Ecco una sostanza (curaro) che quando iniettata in circolo produce rilassamento dei muscoli volontari, eliminando così la maggiore causa degli improperi dei chirurghi, e sudore e lacrime degli anestesisti, più che per altre evenienze in sala operatoria. Inoltre, il rilassamento necessario per prestazioni soddisfacenti di chirurgia addominale è ottenuto senza complicazioni postoperatorie che invece seguono alle abbondanti dosi dei più familiari anestetici, necessarie per dare lo stesso livello di rilassamento." (Griffith HR 1942) Nel 1945 un editoriale di Lancet raccomandava una serie di accorgimenti, stabilendo che lo stato di incoscienza deve essere garantito quando si usano curarici. (Lancet 1945). Dopo che l'uso del curaro raggiunse una larga diffusione, furono pubblicate casistiche sul suo utilizzo da solo in chirurgia (Whitacre RJ 1945, Gills A 1947, Smith SM 1947, Burn JMB 1963). Gills utilizzò il curaro con l'ossigeno per la terapia elettroconvulsiva (ECT ) (Gills A 1947). Solo nel 1963, 18 anni dopo quell'editoriale del Lancet, Burn utilizzò il curaro e l'ossigeno con iperventilazione, dopo una dose di induzione di tiopentone di 300-400 mg per interventi di chirurgia addominale su 6 pazienti: 4 appendicectomie, 1 isterectomia e 1 laparotomia con appendicectomia (Burn JMB 1963). Nessuno dei pazienti riportò memoria cosciente (esplicita) ed egli affermò che: "Da questi risultati sembra derivare che il protossido d'azoto possa essere tralasciato ottenendo egualmente risultati soddisfacenti !". In quel periodo, ci si convinse che l'iperventilazione producesse confortevolmente incoscienza. 73 pazienti anziani durante chirurgia per cataratta ricevettero dimetil-tubocurarina e ossigeno dopo il blocco oculare. A 11 pazienti non fu somministrato un miorilassante perché dormivano tranquillamente senza muovere gli occhi. Ai rimanenti 62 fu somministrata la dimetil-tubocurarina (Metubine). Due ore prima dell'intervento ai pazienti fu somministrato pentobarbital 100 mg IM e idrato di cloralio 20 gr. per via rettale. Nei pazienti più anziani il pentobarbital fu sostiuito dall'idrato di cloralio. Meperidina 50 mg e promethazina 25 mg IM furono somministrati 30 minuti prima dell'intervento. La Metubine fu somministrata gradualmente nel giro di due minuti finchè l'occhio rimaneva immobile. Finchè non era scongiurato il rischio di paralisi generalizzata l'occhio non veniva inciso . La dose somministrata non doveva produrre una paralisi respiratoria ma doveva essere sufficiente a provocare una "paresi dei muscoli scheletrici" (Bharksuwana E 1976). Negli anni '40 si affermò l'idea che il curaro inducesse incoscienza, così i ricercatori studiarono l'effetto del curaro sulla coscienza, somministrando a uno di loro curaro e ossigeno. (Whitacre RJ 1946, Smith SM 1947). Oggi noi ci spieghiamo questo fenomeno di pazienti anestetizzati con curaro e solo ossigeno, che non riportarono memoria cosciente a causa della amnesia traumatica come nei casi di severo PTSD (= Disordine Post-Traumatico da Stress) (Van der Kolk BA 1995, Davidson JRT 1997). Questi dati costituiscono un'importante dimostrazione che la memoria repressa si verifica in corso di anestesia, quindi per eventi benigni ma traumatici. lll Nel 1940, Bennett iniettò un curaro per ridurre l'incidenza di fratture ossee dovute al violento spasmo muscolare che si verificava con l'induzione delle convulsioni tonico-cloniche della ECT (terapia elettroconvulsiva) nei pazienti psichiatrici. (Bennett AE 1940). Inizialmente, durante la ECT fu usato solo curaro e ossigeno. Nonostante l'effetto di amnesia legato alle convulsioni, i pazienti lamentavano difficoltà e incapacità a respirare o senso di soffocamento oltre al panico derivante dalla incapacità a muoversi durante la ECT con curaro e ossigeno. Perciò fu aggiunta una piccola dose di un farmaco sedativo-ipnotico per fare dimenticare ai pazienti questa esperienza. La dose doveva essere limitata poiché dosi maggiori avrebbero ridotto le convulsioni o addirittura inibirle. Adesso questa tecnica è la pietra angolare dell'anestesia per la ECT di oggi. L'efficacia clinica dell'uso del curaro nella ECT sembra abbia spinto Griffith a introddure il curaro in anestesia (Griffith HR 1942). lll Dopo l'introduzione dei miorilassanti nella pratica anestesiologica con Griffith e Johnson (Griffith HR 1942) nel 1942, le casistiche sui risvegli durante anestesia divennero più frequenti. Il problema del risveglio in corso di anestesia nel paziente paralizzato, dal 1942 si è sviluppato attraverso alcuni eventi miliari per oltre 57 anni dalla sua comparsa. Se l'anestesia endovenosa aveva eliminato i primi due stadi dell'anestesia, l'introduzione del curaro nella pratica anestesiologica con Griffith e Johnson li eliminò tutti (Griffith HR 1942). Griffith e Johnson avevano insegnato che il curaro riduceva l'incidenza di fratture ossee nella ECT (Bennett AE 1940). Essi pensavano che il curaro poteva permettere la chirurgia addominale e la chirurgia sul paziente critico senza richiedere il terzo e quarto piano del terzo stadio e il quarto stadio dell'anestesia. Essi scoprirono che potevano evitare un'anestesia profonda, dando una dose di curaro durante la chirurgia addominale quando era richiesto un profondo rilassamento muscolare, piuttosto che aumentare la profondità dell'anestesia. Il beneficio per il paziente era stato descritto, ma la complicazione si evidenziava quando un paziente diveniva cosciente ed era paralizzato, e contemporaneamente aveva dolore ma era sempre incapace di comunicare all'anestesista il proprio stato di blocco, di "locked in". Ivanov puntualizzò che alla fine di un intervento durante cui erano stati usati miorilassanti, un paziente sveglio respirava meglio di uno soporoso dopo l'uso di alotano o di un altro potente analgesico. Questa è probabilmente la principale ragione per cui veniva utilizzata nel lavoro di tutti i giorni un'anestesia leggera non supplementata da farmaci potenti. (Ivanov SD 1969). lll La nota di interesse storico è che nei primi tempi dell'uso del curaro gli anestesisti somministravano dosi più basse di quanto non si faccia oggi. La paralisi respiratoria era considerata come un sovradosaggio dei farmaci bloccanti neuromuscolari, così come nel caso dei sedativi e degli anestetici inalatori. Oggi, la paralisi respiratoria viene considerata come l'obiettivo dei bloccanti neuromuscolari. Inoltre bisogna sottolineare che quando il curaro fu introdotto, e per molti anni successivamente, non esistevano ventilatori artificiali affidabili. Quindi la paralisi respiratoria, da qualunque farmaco causata, stava a significare che l'anestesista doveva controllare manualmente la ventilazione del paziente. La prospettiva di dovere "strizzare il pallone" per ore fu una forte motivazione per limitare la dose di tutti gli anestetici cosicché il paziente potesse mantenere la propria ventilazione spontanea. Tuttavia, anche dopo che la ventilazione artificiale divenne sicura e routinaria, il Dr Joseph Artusio Jr., al New York Hospital-Cornell Medical Center, insegnava ai suoi interni, per oltre 40 anni, che mantenere la capacità del paziente a respirare spontaneamente era una garanzia per il paziente di proteggere le proprie vie aeree in modo che il paziente non avrebbe dovuto fare affidamento su un rifornimento di ossigeno da una fonte esterna potenzialmente fallibile. Ironicamente, questa preoccupazione circa l'approvvigionamento di ossigeno del paziente e quindi circa la sua vita, costituì anche un metodo per minimizzare la problematica del "awareness" poiché essa dava la giustificazione a evitare la paralisi dei muscoli respiratori e scheletrici che sembra essere lo stato di anestesia durante cui si verifica la maggior parte dei casi di memoria intraoperatoria (risvegli). (Mushin WW 1951, Editorial: Br Med J 1959, Parkhouse J 1960, Mainzer J 1979, Jones JG 1986,1994) lll I curari hanno un potente effetto sulla relazione tra anestesista e chirurgo durante l'intervento. E' chiamata in causa da Griffth (Griffith HR 1942) l'abilità dell'anestesista a valutare e a ottenere l'appropriato piano di anestesia per le necessità del chirurgo e la capacità del chirurgo esperto a operare in quel piano, come descritto da Payne (Payne JP 1994). Graff descrive un altro vantaggio dei farmaci bloccanti neuromuscolari: la capacità di soddisfare i chirurghi più esigenti senza un sovradosaggio di anestetici. (Graff TD 1959). Graff presentò un caso di risveglio con dolore in una paziente trattata con basse dosi di succinilcolina in drip e una miscela di ossigeno e protossido d'azoto con paralisi parziale e mantenimento della ventilazione spontanea. La paziente era in grado di compiere deboli movimenti muscolari ma non erano evidenti segni emodinamici o motori di disagio e tuttavia "provò una sensazione di ottundimento accompagnato da insopportabile dolore pelvico, lombare e prineale per la maggior parte dell'intervento". lll Il curaro fu introdotto per facilitare la chirurgia addominale e per evitare i movimenti dei pazienti critici sottoposti ad anestesia leggera. A quel tempo l'alternativa spesso era la morte. Il paziente critico non avrebbe potuto tollerare la profondità di un'anestesia necessaria, sia per un adeguato rilasciamento muscolare richiesto per effettuare l'intervento, sia per prevenire i movimenti del paziente sul tavolo operatorio. Tuttavia i progressi della moderna anestesia ci hanno permesso di mantenere un appropriato piano di anestesia anche nel paziente critico. (Hug CC 1990). lll Come il curaro provocasse la paralisi muscolare rimase un mistero fino ai lavori di Claude Bernard, l'anestesista francese che dimostrò che il curaro agisce impedendo la trasmissione dell'impulso nervoso ai muscoli volontari. Gli esperimenti di Bernard con il curaro mostrarono che il tessuto giunzionale tra il nervo motore e i muscoli innervati da esso aveva particolari proprietà e che nell'animale avvelenato con curaro le fibre nervose conducevano ancora normalmente e le fibre muscolari rispondevano ancora alla stimolazione elettrica diretta. Comunque, egli non riuscì a spiegare come gli impulsi nervosi non erano più in grado di raggiungere le fibre muscolari (Payne JP 1994). Circa 80 anni dopo gli studi di Bernard, nel 1934, Dale e i suoi collaboratori e successivamente altri studiosi spiegarono questo meccanismo (Mainzer J 1979). Bernard inoltre studiò l'uso dell'anestesia bilanciata e introdusse la pratica di utilizzare più di un agente anestetico allo stesso tempo (Stevenson LG 1959). lll Oggi per meglio comprendere il problema del risveglio in corso di anestesia è necessario capire come l'uso dei farmaci bloccanti neuromuscolari abbia raggiunto un posto centrale nella pratica anestesiologica. Il curaro è una miscela di alcune piante velenose che contengono strychnos toxifera. Il farmaco fu per la prima volta portato in Europa da Sir Walter Raleigh, dalla Guiana nel 1584. Egli aveva notato gli effetti paralizzanti che esso produceva con una freccia avvelenta nel 1595 (Mostert JW 1975). Una tribù di Indiani del Sud America aveva scoperto che l'estratto della corteccia di certi alberi poteva essere usato per paralizzare animali che venivano cacciati con punte di frecce contenenti curaro ma non era pericoloso se assunto per bocca (Mann RD 1984). Beecher e Todd mostrarono che il curaro usato durante anestesia sembrava essere la diretta causa di morte in un paziente su 370. Ciò era stato verificato in pazienti sani sottoposti a chirurgia minore. Inoltre stabilirono che il curaro somigliava alla stricnina per la sua tossicità. Si pensò che queste morti fossero correlate alla "intrinseca tossicità del curaro". (Beecher 1954) lll Le percentuali di morte da tiopentone migliorarono con il tempo, man mano con l'uso fu acquisita esperienza, ma ciò non avvenne per il curaro. Durante gli interventi maggiori, le percentuali di morte furono più alte con i miorilassanti che senza. Si notò una percentuale simile di morti sia nei pazienti a basso rischio che ad alto rischio e sia per chirurgia minore che maggiore. Né l'esperienza individuale né istituzionale erano in grado di proteggere il paziente quando venivano usati i miorilassanti. La via sembrava essere il collasso circolatorio con blocco ganglionare. Le percentuali di morte da anestesia riportate in questo studio furono differenti da quelle pubblicate nei libri di testo di anestesia (1 a 5000-15.000 versus 1 a 370). Beecher attribuì questa differenza ai grandi numeri "necessari per scoprire la verità delle morti per anestesia." (599.548 anestesie in dieci centri 1948-1952) Quando venivano usati i miorilassanti, le percentuali di morti aumentavano di circa sei volte (da 1:2100 su 266 morti anestesiologiche a una frequenza di 1:370 per 118 morti su 44.100 pazienti che avevano ricevuto miorilassanti). Beecher notava che i miorilassanti erano usati in tutti i tipi di chirurgia compresi i casi a basso rischio e di chirurgia minore. Questa "estesa consuetudine" secondo il suo parere non trovava "giustificazione". La frequenza delle morti non era correlata a chirurgia maggiore, al livello di esperienza clinica, o al rischio del paziente. L'insufficienza circolatoria sembrava essere il meccanismo causale della morte. Dripps argomentò che ciò era probabilmente dovuto a un sovradosaggio dell'anestesia generale (Dripps RD 1959). I miorilassanti interferiscono con i segni clinici dell'anestesia generale portando a una sottostima della profondità dell'anestesia. Nessun riferimento fu segnalato nello studio circa le morti correlate a crisi ipertensive. D'altra parte non era inclusa la descrizione di tutti i casi venuti a morte. Forse alcune delle morti erano correlate alla risposta da stress dei pazienti che erano paralizzati ma svegli nel dolore e nel panico con il risultato di un danno del sistema nervoso centrale o cardiaco. In un caso viene descritta la situazione senza attribuire la causa di morte al risveglio. La risposta pressoria alla laringoscopia e alla intubazione fu interpretata come un riflesso simpatico provocato dalla stimolazione della regione laringofaringea. Ma la dose leggera di induzione poteva avere provocato un risveglio durante l'intubazione. Il paziente non riprese mai coscienza e all'autopsia fu evidenziata un'emorragia cerebrale e una rottura di aneurisma cerebrale (Fox EJ 1977). Sebbene non ci sia possibilità di sapere in quel caso specifico quale sia stata la causa, il risveglio o il riflesso simpatico, Prescott descrisse la progressione della paralisi che sperimentò con dosi crescenti di curaro e mostrò una risposta ipertensiva correlata alla sensazione di paura e panico durante l'instaurazione della paralisi (Prescott F 1946). In questo contesto i direttori dei dipartimenti universitari di anestesia furono ricordati per avere detto "qualunque cosa lo studio mostri, la mia esperienza non è così cattiva". Dieci centri universitari parteciparono allo studio: ogni capo dipartimento collezionò e classificò i propri dati e li mando al dipartimento di Beecher. Un solo direttore accettò i rapporti per i primi due anni compresi i propri dati ma quando furono mandati i risultati di tre anni di studio sui propri dati, egli non credette alla elevata percentuale di morti in anestesia presso il suo dipartimento. Nonostante egli stesso avesse classificato i dati che si erano verificati. "Non è sorprendente che quelli che non hanno mai accumulato attentamente grandi quantità di dati abbiano un'impressione clinica differente dai fatti". lll E' possibile che il problema circa il sovradosaggio dell'anestesia generale, quando venivano usati i miorilassanti con conseguente collasso circolatorio, contribuì al punto di vista che il risveglio durante anestesia fosse un problema "banale", per usare le parole di Lyon (Lyons G 1991). Ma come disse Beecher, queste evenienze non si verificavano per l'alto rischio chirurgico ma si presentavano in tutti i tipi di chirurgia sia nel paziente sano che nel paziente critico. Beecher si convinse che la sottostima delle morti correlate all'anestesia, descritta nei libri di testo dei suoi tempi fosse attribuibile a casistiche troppo piccole numericamente e a difetti metodologici. Io credo che lo stesso problema esista per i dati pubblicati sulla memoria durante anestesia. Noi avremmo bisogno di un progetto su larga scala, come lo studio di Beecher, per accostarci a una più accurata stima di questo problema. lll Sebbene siano stati riportati pochi casi di risveglio senza l'uso dei bloccanti neuromuscolari (Cundy JM 1995), il risveglio è ben noto come complicanza dovuta principalmente all'uso dei miorilassanti (Mushin WW 1951, Editorial: Br Med J 1959, Parkhouse J 1960, Mainzer J 1979, Jones JG 1986, Jones JG 1994). Mainzer stabilì che:: "Il risveglio non intenzionale è dovuto all'uso indiscriminato dei miorilassanti in combinazione a un inadeguato livello di anestesia." (Mainzer J 1979) A mano a mano che venivano pubblicati editoriali e casistiche sul "awareness", il prezzo dell'uso routinario dei miorilassanti cominciò a divenire sempre più chiaro. Gli studi di ricerca sulla memoria, che saranno discussi successivamente in questo lavoro, iniziarono a fornire evidenze che esistevano 2 diversi tipi di memoria: la memoria esplicita (cosciente) e la memoria implicita (repressa). Inoltre si raccolgono diversi dati che confermano l'idea che forse la memoria cosciente non è un obiettivo da perseguire (Andrade J 1994, Bethune OW 1992, Thornton C 1988, Weinberger NM 1984). Il problema non era semplicemente rappresentato dalla memoria cosciente (esplicita) di eventi intraoperatori in un paziente attanagliato dal panico e dal dolore, ma più preoccupante era il problema della memoria repressa (implicita), parte della quale riaffiorava sotto forma di esperienze oniriche e di incubi lll Nel contesto storico che vide l'amnesia cosciente come un obiettivo di successo è comprensibile spiegare come i bloccanti neuromuscolari divennero così popolari. Gli anestesisti non dovevano preoccuparsi dello stress di ipotensioni pericolose per la vita dei pazienti né dei chirurghi che urlavano per i movimenti del paziente. Ma oggi noi siamo obbligati a migliorare il nostro standard di lavoro. Noi routinariamente anestetizziamo pazienti con frazione di eiezione del 10% usando l'ecocardiografia transesofagea (TEE) e manipolando il preload, l'afterload e la contrattilità con farmaci cardioattivi quando necessario (Kolev N 1998, Messina AG 1993). Alla luce delle nuove tecniche di monitoraggio che saranno discusse in seguito, non possiamo più giustificare l'uso della nostra "esperienza clinica" piuttosto che il monitoraggio dello stato di coscienza con un apposito apparecchio per affrontare il nostro imperativo morale di assicurare l'incoscienza ai nostri pazienti. Non possiamo più limitare a casi selezionati l'utilizzo di una "tecnica meticolosa" come nostro principale strumento per evitare la memoria in corso di anestesia, come sottolineato in letteratura(Liu WH 1991), quando usiamo farmaci bloccanti neuromuscolari. continua nel prossimo numero..... _______________________________________________________ Reazioni indesiderate e complicazioni dell'Anestesia Peridurale in ostetricia _______________________________________________________ Vincenzo Lanza, Amedeo Pignataro Servizio di Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo lanza@unipa.it ampigna@tin.it L'anestesista, chiamato ad effettuare un'anestesia peridurale o epidurale (AP) in sala travaglio, si trova ad operare spesso in condizioni d'urgenza, in donne sofferenti e agitate, e a dovere approfittare delle fasi di assenza delle contrazioni uterine per eseguire il blocco. In queste condizioni l'insorgenza di reazioni indesiderate, di inconvenienti o di complicazioni dell'AP ha un impatto maggiore rispetto ad altre situazioni chirurgiche: il contesto in cui si opera, caratterizzato da una particolare coloritura emotiva, che non coinvolge soltanto la donna gravida e i suoi familiari ma a volte anche il personale medico e ostetrico-infermieristico che se ne prende cura, richiede infatti all'anestesista una buona familiarità con le tecniche d'anestesia rachidea per prevenire e fronteggiare al meglio i problemi connessi con un'AP. Le reazioni indesiderate e gli inconvenienti si verificano precocemente, sono generalmente di breve durata e facilmente ovviabili. Stabilire con esattezza il limite tra le reazioni indesiderate e le complicazioni dell'AP, tuttavia, non è sempre facile: così l'ipotensione, considerata in genere una complicazione, è per altri versi un inconveniente che accompagna l'AP. Anche se schematica, la suddivisione tra reazioni indesiderate e inconvenienti da un lato, e complicazioni dell'AP dall'altro, è certamente utile in termini di gravità dell'evento e di trattamento anestesiologico, per cui sarà esaminata separatamente. 1. Reazioni indesiderate ed inconvenienti dell'AP L'aspirazione di sangue è l'inconveniente più frequente (2.8-11.5%) durante l'esecuzione di una AP, ma di solito non richiede l'abbandono della tecnica. La particolare situazione anatomica della gravida (accentuazione della lordosi lombare, utero di grosse dimensioni, aumento della pressione venosa) determina un effetto compressivo sullo spazio peridurale, nel quale si assiste ad un particolare ingorgo venoso della già ricca vascolarizzazione dello spazio peridurale. La fuoriuscita di sangue dall'ago impone la sua estrazione e la puntura con una direzione differente. La presenza di sangue nel catetere peridurale, invece, se in piccole quantità, è facilmente risolvibile con l'iniezione di qualche ml di soluzione fisiologica e con l'attesa di 10-20 sec. senza aspirare, ma semplicemente deconnettendo la siringa dal catetere. Se si è incannulato un vaso, dopo 1-2 tentativi di "lavaggio" con fisiologica è possibile cambiare spazio, ricorrendo di solito a quello immediatamente superiore; se anche alla puntura in uno spazio differente si dovesse ripetere l'aspirazione di sangue nel catetere peridurale è prudente abbandonare l'AP. Alcuni autori sostengono che l'approccio mediano al rachide riduca l'incidenza di sanguinamento, mentre altri consigliano un approccio paramediano con la punta dell'ago diretta cranialmente e verso il rachide. Le parestesie sono anch'esse comuni durante l'AP nella donna in travaglio. Quasi assenti con l'ago di Thuoy che viene arrestato subito dopo il legamento giallo, mentre la sol. fisiologica sfruttata per il mandrino liquido va ad ampliare lo spazio peridurale, le parestesie sono tipiche alla penetrazione del catetere nello spazio peridurale. Avvertite generalmente al sacro e agli arti inferiori, si esauriscono rapidamente e non necessitano di alcun provvedimento; se prolungate richiedono la cauta rimozione del catetere ed il suo posizionamento in un altro spazio. Alcuni anestesisti preferiscono somministrare piccole dosi (1-2 ml) di anestetico locale (lidocaina 2%), prima dell'inserimento del catetere peridurale attraverso l'ago di Thuoy; tale procedura se, da un lato elimina le paresteie al passaggio del catetere attraverso l'ago nello spazio peridurale, dall'altro espone al rischio, peraltro raro, di lesioni traumatiche a piccole terminazioni nervose presenti nello spazio peridurale.  La difficoltà all'avanzamento del catetere La difficoltà all'avanzamento del catetere nello spazio peridurale può essere dovuta alla penetrazione dell'ago in uno spazio diverso da quello peridurale (es. pararachideo) o all'ostacolo di vasi, radici, grasso presenti nello spazio stesso. In questo casi è preferibile fuoriuscire l'ago, evitando di ruotarlo e riprovare (nello stesso spazio) facendo cambiare posizione alla paziente e modificando l'inclinazione dell'ago in senso craniale. La comparsa di senso di "ebbrezza", tinniti, sapore metallico, diplopia e vertigini sono i chiari segni del passaggio intravascolare dell'anestetico locale (AL). Quest'incidente può verificarsi nonostante siano negative dose test e test di aspirazione, da effettuare sempre prima dell'iniezione di anestetico locale attraverso il catetere. Alla comparsa dei sintomi citati, va subito arrestata l'iniezione di anestetico locale e controllata la donna per valutare l'entità dei sintomi e la presenza o meno di segni di blocco. Se la sintomatologia consecutiva all'iniezione vascolare di AL è minima, non è necessario alcun provvedimento, ma è prudente abbandonare la tecnica. In caso di convulsioni o perdita della coscienza è ovvio il ricorso alla rianimazione cardiopolmonare. Il brivido è un evento frequente (fino al 20%) nelle donne in travaglio. Abitualmente presente dopo il parto nelle donne senza AP, si manifesta precocemente, a volte ancora prima dell'installazione del blocco nelle gravide che ricevono un'AP. Attribuibile a diversi fattori (stress, iniezione di soluzioni fredde endovenose e peridurali, alterazione della termoregolazione ipotalamica), è un esperienza poco gradevole anche se abitualmente sottostimata dall'équipe medico-infermeristica di sala parto. In travaglio può essere utile somministrare piccole dosi di fentanyl (50 mcg) per via peridurale o endovenosa; il brivido dopo il parto può essere controllato con la somministrazione e.v. di clonidina (0.150 mg) o di meperidina (25-50 mg). Nonostante segnalazioni contrastanti, entrambi i farmaci sembrano efficaci. La clonidina, pur dando sedazione, bradicardia e lieve effetto ipotensivo non contribuisce, come la meperidina, al vomito, evento peraltro frequente nella donna in travaglio. Blocco lateralizzato Peridurografia che evidenzia l'opacizzazione del muscolo ileopsoas a conferma del cattivo posizionamento del catetere peridurale Un blocco lateralizzato è l'espressione dello scorretto posizionamento del catetere, verosimilmente introdotto per più di 3-4 cm nello spazio peridurale e fuoriuscito attraverso un forame intervertebrale (vedi figura sopra). Il problema può essere ovviato sfilando il catetere peridurale di 1-2 cm, somministrando un dose supplementare di AL a maggiore concentrazione con la donna gravida sul fianco "scoperto" dall'analgesia. Se non si ottiene risultato, è preferibile non accontentarsi di un blocco peridurale imperfetto e conviene ripetere l'AP senza perdere ulteriore tempo. Blocco segmentario Peridurografia che mostra la distribuzione non uniforme del mezzo di contrasto nello spazio peridurale per la presenza di sepimenti Il blocco segmentario, ovverossia la presenza nell'addome di aree (di solito a livello inguinale) "sensibili" a "macchia di leopardo" dopo il bolo peridurale di AL, si manifesta più frequentemente in ostetricia per via dell'impiego di soluzioni molto diluite di anestetico locale, insufficienti a bloccare le fibre sacrali, classicamente resistenti; non si dovrà ripetere l'AP, ma è sufficiente una piccola dose di rinforzo di AL (bupivacaina 0.5% 3-5 ml o ropivacaina). Può anche essere utile aggiungere 50 mcg di fentanyl all'anestetico locale. 2. Complicazioni dell'AP Le complicazioni dell'AP possono riguardare il sistema nervoso centrale, quello periferico o altri organi ed apparati. Le complicazioni neurologiche possono essere dovute al trauma diretto dell'ago e/o del catetere, ad infezione, ad effetti tossici degli anestetici locali o di altre sostanze iniettate nello spazio peridurale, ad ischemia e a compressione. In relazione al periodo in cui si manifestano, tali complicazioni vengono distinte in precoci e tardive, mentre sono indicate come maggiori o minori a seconda dell'entità del danno neurologico determinatosi. A queste cause, bisogna aggiungere altri fattori non in relazione all'anestesia ma dovuti ad errati posizionamenti della partoriente sul letto da parto, a traumi chirurgici, a malattie neurologiche non diagnosticate, anch'essi in grado di determinare lesioni neurologiche perioperatorie. Complicazioni neurologiche maggiori. La paura di possibili complicanze neurologiche successive all’utilizzazione delle tecniche anestesiologiche rachidee ha avuto un’azione frenante sulla diffusione e sull'utilizzazione di queste tecniche in chirurgia e nel campo dell’analgesia del parto. In realtà, i rischi connessi alle tecniche d'anestesia regionale sono spesso esagerati; stando alle statistiche riportate, le complicanze neurologiche gravi e permanenti causate da AS (Anestesia Spinale o Subaracnoidea) o AP sono rarissime. Una metanalisi recente ('95) condotta per studiare l’incidenza di ematomi spinali dopo anestesia rachidea stima che il rischio è dello 0.0007% dopo AP e dello 0.0005 dopo AS (1). Anche in campo ostetrico le segnalazioni di incidenti neurologici "maggiori" in donne che hanno partorito in AP sono molto rare con una incidenza variabile tra lo 0 e lo 0.0006% (2, 3). Tra le sequele dell'AP e AS, in rapporto all'anestesia generale, non c'è evidenza che l'anestesia regionale sia associata ad un maggior numero di complicanze. In genere lesioni nervose perioperatorie sono da tempo segnalate in seguito all'anestesia generale e loco-regionale. Un elenco delle complicazioni consecutive ad AP è mostrato in tabella 1.tabella 1 Causa Meccanismo Prognosi Trauma Ematoma compressivo, parestesie, deficit motori Buona se evacuato Infezione Dolore, paralisi Scadente Compress. Midollare, meningoencefaliti Buona se evacuato Mecc. tossico Mielomalacia Scadente Neurite Buona Ischemia Mielopatia segmentaria Mielopatia generalizzata Buona Scadente Compressione Deficit sensitivo-motori Parestesie Paralisi flaccida Areflessia Buona Buona Scadente Buona se evacuata Ematomi spinali e peridurali, evenienze tra le più gravi, d'altro canto, possono verificarsi anche spontaneamente, soprattutto in pazienti in trattamento anticoagulante, così come sequele neurologiche non in relazione con l'anestesia rachidea sono riportate dopo il parto o causate da lesioni nervose da divaricatori durante interventi addominali. Dall'analisi delle cause di rimborso per lesioni neurologiche associate all'anestesia, autori americani hanno constatato che spesso gli esatti meccanismi che determinano il danno neurologico sono poco chiari e, probabilmente intervengono fattori molteplici solo in parte riconducibili alla tecnica anestesiologica impiegata. Un'attenta anamnesi e l'esame clinico preoperatorio della gravida per individuare eventuali fattori di rischio (turbe della coagulazione, terapia con farmaci che agiscono sull'emostasi) nei riguardi dell'AP, sono essenziali per minimizzare le complicazioni; durante il blocco va posta attenzione all'insorgenza di parestesie e/o dolore elicitate dall'ago o dal catetere. Particolare cura va dedicata al corretto posizionamento sul letto in sala travaglio e in sala parto degli arti inferiori della partoriente a blocco avvenuto, al fine di evitare posizioni scorrette. Dopo il parto, la donna deve essere controllata in sala risveglio, oltre che da un punto di vista strettamente ostetrico, fino alla completa risoluzione del blocco, tranne che non si pianifichi un'infusione continua d'anestetico locale, per problematiche ostetriche che nel postpartum necessitino di particolare impegno per il controllo del dolore. Controlli alla 12a e alla 24a ore di distanza dall'anestesia rachidea, sono imperativi della sorveglianza postoperatoria. Un ritardo prolungato nel recupero funzionale dell'area interessata dal blocco, soprattutto se associato a dolore lombare, impone un atteggiamento diagnostico deciso alla ricerca di eventuali fenomeni emorragici la cui individuazione e con trattamento precoce sono spesso risolutivi. Complicanze neurologiche minori post-partum Se per le complicanze neurologiche maggiori è difficile spesso attribuirne la causa alla tecnica anestesiologica, per le complicanze neurologiche definite "minori" un attento esame neurologico permette quasi sempre di individuare cause ostetriche o chirurgiche e di escludere cause strettamente anestesiologiche. Il fenomeno della nascita è infatti accompagnato da un intrinseco rischio di complicanze neurologiche variabili per tipo e gravità. La testa fetale può infatti durante la sua progressione nel canale del parto determinare una compressione sulle strutture nervose presenti nella piccola pelvi (plesso lombosacrale), soprattutto nel caso di sproporzione materno-fetale, determinando nel post-partum alterazioni sensitivo-motorie agli arti inferiori e/o disturbi vescicali di durata variabile. Tali alterazioni sono anche più frequenti in casi di travaglio prolungato o di applicazione di forcipe. Un certo numero di neuropatie sono inoltre causate da posizioni scorrette e prolungate assunte dalla partoriente nel periodo del peripartum o da una patologia a coinvolgimento neurologico, conosciuta o sconosciuta, aggravata comunque dalla gravidanza (sclerosi a placche, diabete, malformazioni vascolari rachidee,etc.) 1. Neuropatie periferiche Valutare l’incidenza di alterazioni neurologiche periferiche da cause intrinseche al parto è molto difficile. I dati della letteratura stimano l’incidenza di complicanze neurologiche materne tra lo 0.04% e lo 0.03% (4,5,7).   Il tronco lombo-sacrale, che scende anteriormente all’articolazione sacro-iliaca, è generalmente ben protetto dal promontorio del sacro e non può essere compresso dalla testa fetale o dalle valve del forcipe. In caso però di bacino appiattito (platipeloide) allora la compressione può interessare il tronco lombo-sacrale e soprattutto le fibre provenienti da S1.Clinicamente questa compressione si tradurrà in un deficit cutaneo e muscolare nel territorio del n.sciatico popliteo esterno (ipoestesia della faccia esterna della gamba e deficit della flessione dorsale del piede) della durata variabile tra 1-12 settimane.   Il n.femorale ed il n.otturatorio sono raramente compromessi durante il parto vaginale (accade più facilmente in corso di TC) mentre relativamente più frequenti sono i traumi riportati a carico del n.femoro-cutaneo che può subire, nel suo passaggio dietro il legamento inguinale, uno stiramento importante durante una prolungata posizione ginecologica delle gambe sulle staffe. La sintomatologia sarà dominata da una parestesia o disestesia della parete laterale della coscia . Una posizione litotomica scorretta, con una eccessa rotazione esterna delle anche può provocare uno stiramento del n.sciatico. La sintomatologia sarà dominata da una paralisi dei muscoli della gamba e dei muscoli della loggia posteriore della coscia con ipoestesia della metà laterale del polpaccio e del piede (6). Anche il n.tibiale posteriore può subire delle lesioni soprattutto se si utilizzano, in posizione litotomica, delle staffe metalliche poste dietro il ginocchio. La compressione eccessiva sul cavo popliteo provoca un deficit nella flessione plantare del piede ed anestesia della superficie volare delle dita e della pianta del piede. Bisogna dunque fare in modo che la partoriente possa cambiare la sua posizione durante il travaglio ed evitare che venga mantenuta per periodi lunghi in posizione litotomica. Ciò è ancora più importante se la paziente si trova in AP in quanto, in questa condizione, la normale reazione a cambiare la propria posizione in risposta ad una sensazione di intorpidimento può essere attenuata. Le neuropatie associate all’utilizzazione dell’AP riguardano generalmente un singolo nervo spinale o periferico, appartenenti al plesso lombare o sacrale, e vengono riportate nell’ordine dello 0.04% (7). Esse sono causate da un trauma prodotto dall’ago e soprattutto dal catetere peridurale su una terminazione nervosa sensitiva. L’introduzione del catetere nello spazio peridurale determina infatti nel 20-40% dei casi parestesie transitorie lungo il territorio di distribuzione del nervo interessato.La frequenza di parestesie è associata al tipo di catetere ed al disegno della sua punta. Solo comunque in un ristretto numero di casi queste parestesie elicitate all’atto della AP esitano, nel post-partum in sintomi di durata superiore alle 24-72 ore.2. Cefalea La cefalea è una complicanza che può seguire ad una infrazione durale accidentale durante l’esecuzione dell’AP (8,9). L'AP tecnicamente ben eseguita, infatti, di per sè non aumenta l’incidenza di cefalea nel postoperatorio di pazienti chirugici o nel post-partum di pazienti ostetriche. L’incidenza di puntura durale accidentale, variabile dallo 0.2 al 4%, dipende principalmente dall’esperienza dell’operatore e secondariamente dalla tecnica utilizzata per identificare lo spazio (la perdita di resistenza utilizzando la fisiologica è la tecnica più sicura). Viene generalmente ritenuta accettabile una incidenza non superiore l’1%.A differenza dell’AS dove l’attraversamento della dura madre per iniettare l’anestetico locale viene realizzato con aghi molto sottili (22-25G) e poco traumatici (a punta di matita) che causano cefalea in una percentuale praticamente trascurabile, nell’infrazione durale realizzata con gli aghi normalmente utilizzati per l’AP (16-17 G) la comparsa di cefalea è quasi la regola (50-90%).La causa della cefalea è la perdita di liquor cefalorachidiano dallo spazio subaracnideo attraverso la breccia causata dall’ago sulla membrana durale.Se la perdita di liquor supera la sua produzione si determina una riduzione della sua pressione a livello intracranico che provoca uno stiramento verso il basso delle strutture sovratentoriali con conseguente cefalea. Le partorienti hanno un rischio più elevato rispetto alla popolazione generale di soffrire di cefalea successiva ad una perforazione durale accidentale. La sintomatologia, insorgente in 2a-3a giornata, è caratterizzata classicamente da dolore fronto-occipitale presente in posizione seduta o in piedi e che scompare con la posizione supina. L’entità del dolore è generalmente di grado medio-severo e obbliga la paziente alla posizione supina.In alcuni casi vi possono essere associati, nausea, vomito e disturbi visivi o auditivi. Le misure preventive dopo una puntura durale accidentale nota sono rappresentate normalmente dal decubito supino per le prime 24 ore, da una idratazione intravenosa, dalla somministrazione di antinfiammatori non steroidei. Più raramente la profilassi viene effettuata con una infusione epidurale di soluzioni saline o colloidali (Destrano). La terapia prevede normalmente il riposo a letto e la somministrazione di antinfiammatori non steroidei somministrati ogni 8-12 ore almeno per i primi 3 giorni. Misure aggiuntive sono rappresentate dall’utilizzazione di sostanze ad azione vasocostrittrice cerebrale come la caffeina. Il presupposto teorico all’uso della caffeina si basa su studi che evidenziano, in corso di acuta ipotensione liquorale, una venodilatazione cerebrale. In effetti la caffeina, usata in infusione lenta intravenosa ad alte dosi (50-100mg), ha un’azione efficace ma transitoria.E’ anche prevista l’utilizzazione di ansiolitici e di farmaci ad azione antidepressiva (amitriptilina).Queste misure terapeutiche sono in grado di contrastare bene la sintomatologia e di ottenerne una regressione completa e senza reliquati entro una settimana. Una misura terapeutica assai efficace e definitiva è rappresentata dalla somministrazione di sangue nello spazio epidurale dove è avvenuta l’infrazione durale (blood patch) (10). La tecnica consiste nell’iniettare 15-20 ml di sangue prelevato sterilmente alla paziente da una vena periferica nello spazio peridurale al fine di realizzare un " tappo" sul foro durale ed un aumento di pressione peridurale, restaurando la normale pressione liquorale. Generalmente la cefalea si attenua rapidamente (3-15 min) e scompare entro poche ore quasi sempre definitivamente. La tecnica del blood patch, sebbene molto efficace, non è comunque senza rischi. A parte la possibilità di ripetere per una seconda volta una infrazione durale involontaria, non sono infrequenti rachialgie persistenti e nevralgie periferiche. Più raramente sono stati segnalati casi di radicolite, meningite e di ematomi peridurali.La pratica corrente prevede dunque il riposo a letto per 1-2 gg. ed un trattamento farmacologico che associa l’uso di caffeina intravenosa associata ad antiinfiammatori non steroidei (diclofenac,ibuprofen,etc). L’utilizzazione del blood patch è in genere riservato a quei casi di cefalea severa e persistente non responsivi alla terapia tradizionale.3. Lombalgia La lombalgia è una eventualità frequente nel post-partum della popolazione ostetrica. Infatti sia nelle pazienti che partoriscono per via vaginale che in quelle sottoposte a taglio cesareo l’incidenza di mal di schiena di nuova comparsa sarebbe tra il 20 ed il 40%, soprattutto tra le pluripare, con una persistenza della sintomatologia ad un anno in circa il 15-20% dei casi (11,13).La sintomatologia insorge solitamente nella prima settimana dopo il parto, ma non è infrequente un suo esordio nelle settimane successive. Si tratta di un dolore tipicamente posturale, esacerbato dai movimenti di flessione della colonna, e associato qualche volta a cervicalgia ed a cefalea. Rararamente però necessita di un trattamento farmacologico continuo. La lombalgia è presente comunque in almeno il 50% delle pazienti già durante la gravidanza. Durante la gravidanza si verificano delle modificazioni osteoarticolari della colonna vertebrale e delle ossa e del bacino, che si accentuano nelle ultime settimane. La causa principale risiederebbe nell’influenza esercitata dagli ormoni gravidici sui tendini, sui legamenti e sulle articolazioni, strutture tutte che risulterebbero più lasse e più predisposte a traumi. Studi effettuati con la RMN evidenzierebbero però anche delle alterazioni (rigonfiamento, protrusione) a carico dei dischi intervertebrali del tratto lombare in un’alta percentuale di donne in stato di avanzata gravidanza e tali modificazioni coinciderebbero frequentemente con il mal di schiena accusato dalle pazienti.Altre importanti cause di dolore lombare sono rappresentate dalla flogosi dell’articolazione sacro-iliaca (durante la gravidanza) e dalle dislocazioni o fratture del coccige che sono rare ma riconosciute complicanze del parto.La diffusione negli ultimi anni delle tecniche di anestesia rachidea in ostetricia ha posto il problema di un'eventuale associazione tra AP e lombalgia nel post-partum. Gli studi più recenti danno dei risultati che non sono uniformi (12). Vi sarebbe per alcuni autori una maggiore incidenza di lombalgie nel post-partum di pazienti che partoriscono per via vaginale in AP (soprattutto in caso di travaglio prolungato) rispetto alle pazienti non in AP. Tale differenza non verrebbe riscontrata nelle pazienti che partoriscono per taglio cesareo, sia eseguito in AP che in AG. Tale risultato farebbe dunque pensare a cause legate alla postura della partoriente durante il travaglio ed il parto. Prolungate ed anomale posizioni assunte dalla paziente sul lettino non verrebbero percepite, a causa dell’abolizione del dolore successiva ad AP, e dunque sarebbero all’origine di affezioni muscolo-legamentose responsabili della lombalgia.Altri lavori non hanno riportato risultati simili. Sembra comunque poco probabile che l’AP di per sè possa essere la causa di una tale sintomatologia visto che nella popolazione chirurgica non ostetrica, sottoposta ad AP o ad altre tecniche rachidee non si riscontra un’incidenza di lombalgia post-operatoria maggiore rispetto agli altri pazienti sottoposti a tecniche di AG.Uno studio recente, nel quale veniva studiato poche ore dopo il parto il tratto lombare della colonna con la RMN, evidenziava dei segni di edema tissutale a livello discale di molti segmenti spinali, su tutte le pazienti che avevano partorito sia per via vaginale che per TC, a prescindere dalla tecnica anestesiologica utilizzata. Queste alterazioni del tratto lombare riscontrate alla RMN, secondarie verosimilmente alla ritenzione idrica tipica della gravidanza, sarebbero comunque transitorie (3-6 mesi) e non sono peggiorate dalla puntura e incannulamento dello spazio epidurale. L’elevata incidenza di lombalgia post-partum che si registra in tutta la popolazione ostetrica trattata o meno con l’AP impone comunque, a prescindere della sua causa, di prestare la massima attenzione alle posizioni assunte dalla paziente durante tutta la fase del travaglio, invitandola ad effettuare dei frequenti cambi posturali, ed agli spostamenti della stessa sul lettino alla fine del parto.Quello che invece si osserva nelle pazienti che hanno partorito in AP, se la realizzazione della tecnica è stata difficoltosa, è una dolenzia a livello lombosacrale causata dal possibile trauma ai legamenti, alle fasce o al periostio vertebrale che è comunque di breve durata (1-7gg.) e non richiede in genere alcun trattamento. In conclusione, il parto è associato ad un rischio intrinseco di complicazioni neurologiche di gravità variabile, indipendente da qualsiasi trattamento anestesiologico. L’utilizzazione della AP può comportare di per sè il rischio, estrinseco, di sequele neurologiche. Questo enfatizza l’importanza, anche al fine di distinguere cause ostetriche da cause anestesiologiche, di effettuare, al verificarsi di una eventuale complicanza, un’accurata e tempestiva valutazione neurologica per giungere rapidamente ad una diagnosi ed al trattamento terapeutico.In relazione ai risultati dell’anamnesi e dell’esame fisico occorrerà effettuare le indagini radiologiche e i test neurologici ritenuti più idonei (TAC, RMN, etc).In particolare, nel caso di neuropatie periferiche accompagnate da disturbi motori, l’elettromiografia degli arti inferiori e dei muscolo paraspinosi è un test molto utile perchè può accertare l’evoluzione della lesione e stabilire se essa risiede all’interno del canale spinale oppure è distale ai forami intervertebrali.Tra le complicazioni non neurologiche dell'anestesia midollare, l'ipotensione arteriosa rappresenta quella più frequente. La vasoplegia, con conseguente caduta del ritorno venoso, secondaria al blocco delle fibre autonome pregangliari simpatiche, dipende principalmente dall'estensione del blocco simpatico e dalla conseguente predominanza vagale. Molto più frequente e pressocchè immediata (3-5 min.) dopo AS, incostante, tardiva e solitamente meno pronunciata dopo AP, l'ipotensione può determinare, se non adeguatamente trattata, ripercussioni sulla perfusione d'organo; in ostetricia, la riduzione del flusso utero-placentare consecutiva all'ipotensione materna può avere effetti negativi fetali. Il pre-riempimento con soluzioni colloidi o cristalloidi e l'uso dell'efedrina, oltre ad un adeguato posizionamento della gravida dopo il blocco (gambe sollevate, dislocazione a sinistra dell'utero in gravidanza), permette di ridurre considerevolmente l'incidenza e l'entità del calo pressorio. Nausea e vomito sono direttamente riconducibili all'ipotensione, anche se talvolta sono il risultato di manovre di trazioni viscerali in blocchi d'estensione insufficiente. La bradicardia, oltre che alla riduzione del precarico, è ascrivibile al blocco delle fibre simpatiche cardio-acceleratrici, quindi ad una AP estesa solitamente oltre T4. L'inavvertita somministrazione subaracnoidea di una quota di AL richiesta per ottenere un blocco peridurale, oppure un grossolano errore nel dosaggio dell'AL per via spinale, determinano il blocco spinale totale con brutale arresto respiratorio e cardiocircolatorio. Questo grave incidente può essere evitato, durante AP, con l'esecuzione costante della dose test, l'aspirazione prima di ogni iniezione dell'AL, la somministrazione lenta e a dosi frazionate della dose totale di AL e l'attenta e continua sorveglianza della gravida; in AS con la lenta iniezione nel liquor, l'attenzione agli eccessivi "barbotage" e la scrupolosa osservanza delle dosi raccomandate; queste ultime per regola generale vanno adattate al paziente (riduzione della dose negli dose negli anziani, negli obesi, e nelle donne gravide, considerando anche altezza e peso del soggetto), nonchè al sito d'iniezione, alla postura e al peso specifico (baricità) dell'AL. L'iniezione vascolare accidentale durante un AP determina un quadro di tossicità acuta da AL con manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale e cardiovascolare. L'entità dei sintomi dipende dalla dose somministrata e va dalla comparsa di sapore metallico, all'intorpidimento di labbra e lingua alle vertigini, per colmare in convulsioni e coma. L'infrazione della dura madre è legata ad una tecnica di AP scorretta. La sua frequenza è variabile (0,2-4%) e dipende essenzialmente dall'abilità dell'anestesista. La breccia della dura madre che si determina con l'ago di grosso calibro utilizzato per l'AP, determina nella maggior parte dei casi (75%), come già detto, la cefalea. I provvedimenti da adottare in questo caso sono due: o cambiare spazio, utilizzando quello immediatamente superiore e ritentare l'AP, oppure "approfittare" della breccia per eseguire un'anestesia spinale. In entrambi i casi non si eviterà, ovviamente, la cefalea. Bibliografia 1) H. Renck. Neurological complications of central nerve blocks. Acta Anaesthesiol Scand 1995; 39: 859-868 2) PC. Lund. Peridural analgesia. A review of 10 000 administration. 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A cura della redazione sarà inoltre la traduzione in Italiano dei manoscritti inviati in lingua Inglese. La rivista sarà inviata gratuitamente a tutti quelli che ne faranno richiesta, inviando il seguente messaggio "Desidero ricevere ESIA versione italiana" indirizzato a LANZA@MBOX.UNIPA.IT La rivista pubblica rewiews e lavori originali compiuti nei campi dell'anestesia e della medicina critica. I lavori originali riguardano ricerche cliniche, di laboratorio e la presentazione di casi clinici. Le reviews includono argomenti per l'Educazione Medica Continua (EMC), articoli di revisione generale o riguardanti le attrezzature tecniche. ESIA pubblica le lettere all'Editore contenenti commenti su articoli precedentemente publicati ed anche brevi comunicazioni. La guida per gli autori può essere consultata collegandosi al sito ANESTIT all'indirizzo: http://www.unipa.it/~lanza utilizzando la sezione riservata ad ESIA-Italia; oppure può essere richiesta inviando un messaggio a lanza@mbox.unipa.it EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE Sezione Italiana Il numero della rivista è anche ottenibile attraverso World-WideWeb WWW: l'URL per questo numero di ESIA è: http://www.unipa.it/~lanza/esiait/esit0001.txt Il nome della rivista è esitaamm, dove aa è l'anno ed mm il mese (per esempio questo numero è esit9912.txt) LA REDAZIONE DI ESIA ITALIA DIRETTORE: Vincenzo LANZA Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo LANZA@MBOX.UNIPA.IT Terapia Intensiva Antonio Braschi Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione 1 - Policlinico S. Matteo - IRCCS Pavia Anestesia Cardiovascolare Riccardo Campodonico Responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiochirurgica - Azienda Ospedaliera di Parma ricrob@mbox.vol.it Anestesia e malattie epatiche Andrea De Gasperi Gruppo trapianti epatici / CCM - Ospedale Niguarda - Milano Medicina critica e dell'emergenza Antonio Gullo Professore di Terapia Intensiva - Direttore del Dipartimento di Anestesia e Terapia Intensiva -Università di Trieste Anestesia ed informatica Vincenzo Lanza Primario del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo Tossicologia Carlo Locatelli Direttore del Centro di Informazione Tossicologica Centro antiveleni di Pavia - Fondazione Scientifica "Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione"- Pavia Terapia Antalgica e Cure Palliative Sebastiano Mercadante Aiuto del Servizio d'Anestesia e Rianimazione - Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli - Palermo mercadsa@mbox.vol.it