Numero in formato solo testo


ISSN 1080-3521

EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY

and

CRITICAL CARE MEDICINE - Italia -

Il giornale Italiano online di anestesia Vol 9 No 04 Aprile 2004


Pubblicato elettronicamente da

Vincenzo Lanza, MD

Servizio di Anestesia e Rianimazione

Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli Palermo, Italy

E-mail: lanza@mbox.unipa.it

Keith J Ruskin, MD

Department of Anesthesiology Yale University School of Medicine

333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA

E-mail: ruskin@gasnet.med.yale.edu

Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine. All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine

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In questo numero:

La redazione di Esia-Italia dedica alcuni suoi numeri alla pubblicazione dei lavori che hanno costituito parte del materiale didattico del Corso "Problemi Cardiologici in Anestesia e Terapia Intensiva" tenutosi nel Marzo 2003 presso il CEFPAS (Centro per la Formazione Permanente e l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario) sito in Caltanissetta (Sicilia). Questo è uno dei corsi organizzati in collaborazione con la FEEA (Fondazione Europea di Insegnamento in Anestesiologia) e rappresenta uno dei diversi momenti formativi di un vasto percorso didattico che spazia ampiamente tra le diverse aree di interesse nel campo dell'Anestesia e della Terapia Intensiva.
In futuro Esia-Italia ospiterà altri iter formativi monotematici nella certezza di incontrare la continua necessità di studio dei suoi Lettori che potranno così soddisfare in modo sempre gratuito e immediato le proprie esigenze di formazione anche non spostandosi dal proprio posto di lavoro.

dal Corso "PROBLEMI CARDIOLOGICI IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA" - CORSO FEEA 2 - marzo 2003 CEFPAS
 

1 VALUTAZIONE PREOPERATORIA DEL CARDIOPATICO IN CHIRURGIA NON CARDIACA

2 ANESTESIA NEL PAZIENTE CORONARICO

3 COMPLICANZE CARDIACHE PERIOPERATORIE

4 TRATTAMENTO DELLO SHOCK CARDIOGENO
 


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VALUTAZIONE PREOPERATORIA DEL CARDIOPATICO IN CHIRURGIA NON CARDIACA
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R. Larbuisson

 

Introduzione

La valutazione preoperatoria del paziente cardiopatico in vista di una chirurgia non cardiaca è particolarmente importante perché un terzo della mortalità perioperatoria è dovuta ad una complicazione cardiaca. Inoltre, gli infarti perioperatori sono spesso ritardati, silenti e sottoendocardici. E' difficile diagnosticarli, ma le loro ripercussioni emodinamiche possono essere gravissime.

Un'ostruzione coronarica diviene ostruttiva con riduzione del flusso, se più del 75% del diametro dell'arteria coronarica è ostruito da una placca ateromasica. Al di fuori di ogni atto anestesiologico e chirurgico, la mortalità annua legata a un'affezione coronarica è del 3-4%. Per contro, a seguito di un infarto del miocardio o di una ischemia miocardica di comparsa recente (3-6 mesi), la mortalità annua legata all'affezione coronarica passa al 10% nei pazienti operati. Tra tutti i fattori conosciuti, quello che condiziona di più il tasso di mortalità, è la qualità della funzione ventricolare sinistra in risposta a uno sforzo determinato. Tra i fattori favorenti che determinano in qualche modo la mortalità, si segnala l'età del paziente, il diabete, una vasculopatia periferica e/o cerebrale associata.

Una buona valutazione preoperatoria deve consentire, con metodi non o poco invasivi, di distinguere due gruppi di pazienti, uno ad alto rischio cardiaco e un altro a basso rischio. Per far ciò è necessario individuare eventuali aritmie, ischemie ed alterazioni della funzione ventricolare sinistra.

Per un paziente, il rischio legato a un intervento chirurgico è abitualmente quantificato in funzione dell'età, delle condizioni cardiovascolare e respiratoria, dello stato nutrizionale, della funzione renale, delle condizioni generali. Infine, bisogna aggiungere il rischio tromboembolico. A parte le condizioni cardiovascolari, noi sottolineeremo qualche elemento che modifica il rischio operatorio. Si conviene nel dire che un'età superiore a 65 anni e soprattutto a 80 anni aumenta in modo significativo il rischio, a seguito della diminuzione cosiddetta fisiologica dell'insieme delle riserve fisiologiche dei grandi apparati. La funzionalità respiratoria è condizionata dal tabagismo così come dalla broncopatia cronica o acuta, ostruttiva o restrittiva. Una stato di denutrizione non facilita in nessun caso la cicatrizzazione, le difese immunitarie o la funzione miocardica. La funzione renale sarà di migliorata se si evita l'ipovolemia e la deplezione sodica. Lo stato generale è compromesso dall'esistenza di diabete, obesità, ulcera gastroduodenale. Tutti i fattori che aumentano il rischio tromboembolico, aumentano il rischio operatorio.

Tra i fattori predittivi di rischio cardiovascolare, si trova l'età che, se non altera la frazione di eiezione a riposo, per esempio deprime la risposta cardiaca allo sforzo. Sicuramente, in questo caso, è presente l'infarto miocardico nell'anamnesi del paziente. Il tasso di reinfarto perioperatorio è funzione del tempo trascorso dalla comparsa del precedente infarto al momento dell'intervento. Se studi di vecchia data avevano riscontrato una percentuale di reinfarto del 30% per un intervallo di tempo inferiore a 3 mesi, del 15% per un tempo di 3-6 mesi e del 5% per un tempo superiore a 6 mesi, studi più recenti hanno riscontrato un tasso di reinfarto dell'8-12% per un tempo inferiore a 3 mesi e del 3.5-5% per un tempo di 3-6 mesi. Infine, del tutto recentemente, uno studio ha messo in evidenza un tasso di reinfarto del 5.7% per un tempo inferiore a 3 mesi e un tasso del 2.3% per un tempo compreso tra 3 e 6 mesi, percentuale identica al rischio cardiaco di ogni paziente coronarico. Questa riduzione del tasso di morbidità è ottenuta attraverso una migliore selezione dei pazienti e con una diversa preparazione preoperatoria (betabloccanti) e un monitoraggio emodinamico sofisticato per 5 giorni (Swan-Ganz, catetere arterioso, degenza in terapia intensiva). L'angor aumenta il rischio di infarto del miocardio e di morte improvvisa. Inoltre, quasi il 75% degli episodi ischemici nel coronarico si presentano senza dolore e costituiscono il gruppo dell'ischemia silente. L'insufficienza congestizia è un fattore predittivo importante della mortalità cardiaca. Una frazione di eiezione inferiore al 40% è predittiva di infarto perioperatorio, di reinfarto e di alterazioni della funzione ventricolare perioperatoria. Il paziente con ipertensione presenta dei rischi maggiori: se l'ipertensione è mal stabilizzata, vi sono rischi più elevati di instabilità tensiva, di insorgenza di aritmie, di ischemia miocardica o di turbe neurologiche transitorie. Anche la sospensione dei betabloccanti, dei calcioantagonisti o della clonidina è associata a una maggiore instabilità tensiva. Nel diabetico, l'ischemia e l'infarto tendono ad essere silenti; la cardiomiopatia è più frequente; inoltre, le anomalie del sistema nervoso autonomo presenti nel 20-40% dei casi sembrano esprimere un particolare rischio di ischemia, di infarto, di cardiomiopatia e di instabilità tensiva. Se le aritmie insorgono in un quadro di disfunzione ventricolare, esse aumentano il rischio. I pazienti portatori di un'affezione vascolare periferica presentano spesso un danno miocardico ischemico. Per ogni paziente con una lesione valvolare cardiaca, soprattutto una stenosi aortica, il rischio di mortalità cardiaca è aumentato. Esiste una relazione diretta tra il tasso di colesterolo sierico e la mortalità cardiovascolare. Il tabagismo aumenta il rischio di infarto, il tono vascolare coronarico e il tasso di carbossiemoglobina. Il by-pass aortocoronarico riduce il tasso di infarto perioperatorio e di mortalità cardiaca così come dopo un'angioplastica coronarica transluminale percutanea. La sospensione preoperatoria dei nitroderivati, betabloccanti, calcioantagonisti e clonidina aumenta l'incidenza di ischemia, aritmia, infarto e morte cardiaca.

Tutti questi fattori sono stati raggruppati in diversi modi negli indici di rischio cardiaco. Tra essi, ricordiamo l'indice di rischio cardiaco di Goldman (1977) (TAB. I)

Tabella I


Poi il totale dei punti è distribuito in quattro classi con i seguenti rischi (tab II)

 

Esiste anche la classificazione dell' "American Society of Anesthesiologists" (ASA) proposta in 5 stadi secondo la presenza e l'importanza di uno o più danni funzionali:

I = Buona salute

II = Danno sistemico moderato

III= Danno sistemico severo

IV = Danno sistemico severo con rischio per la vita

V = Moribondo con meno di 24 ore di vita

Tabella II


Le classificazioni sottostimano il rischio perioperatorio escludendo di considerare l'angor. Perciò, nel 1987, Goldman presenta una nuova classificazione del rischio cardiaco (Tab. III).

Poi il totale dei punti è distribuito in funzione di un abaco dove sono indicati: il totale dei punti, i rischi predittivi legati al tipo di paziente, al tipo di chirurgia e propri dell'ospedale. Questa classificazione mostra una migliore correlazione tra le classi e la frequenza delle complicazioni postoperatorie.

Tabella III

Poiché ogni esame clinico ha i suoi limiti e poiché bisogna assicurarsi che il paziente non presenta nè una coronaropatia severa, ad alto rischio operatorio con necessità di una rivascolarizzazione miocardica, nè una insufficienza ventricolare sinistra da compensare, bisogna procedere a indagini complementari. Esse sono eseguite in presenza di insufficienza congestizia, di angor instabile, di angor a riposo e/o di aritmia ventricolare.

Tra le indagini complementari, vi è l'elettrocardiogramma su 12 derivazioni in cui sono presenti anomalie nel 40-70% dei pazienti coronarici, predittive di problemi cardiaci. La radiografia del torace può rilevare attraverso un indice toracico superiore a 0.55, una cardiomegalia che può essere segno di una frazione di eiezione bassa (<0.40), fattore predittivo sfavorevole. La prova da sforzo è altamente predittiva di disfunzione cardiaca soprattutto se essa è positiva per uno sforzo di modesta capacità. Il rischio operatorio è moltiplicato per due quando il paziente non può andare sotto sforzo altre una frequenza cardiaca di 99 battiti/minuto per almeno due minuti. L'Holter permette di evidenziare modificazioni del segmento ST soprattutto se questi episodi sono silenti.

L' ecocardiografia permette di evidenziare una disfunzione ventricolare o una anomalia segmentaria di tipo ischemico o una anomalia valvolare. La scintigrafia delle cavità permette di valutare la funzione ventricolare; la scintigrafia a riposo e quella da sforzo permettono di farsi un'idea delle zone infartuate e delle zone ischemiche. La scintigrafia con dipiridamolo permette, con un paziente a riposo, nel furto coronarico dei territori lesi per vasodilatazione arteriolare indotta dal dipiridamolo, di rilevare, attraverso il fenomeno di ridistribuzione, la presenza di zone in sofferenza ischemica sotto sforzo, minacciate da infarto.

Infine la coronaro-ventricolografia permette di studiare la funzione ventricolare sinistra e di visualizzare una coronaropatia severa che necessita di una dilatazione o di un bypass aortocoronarico. I fattori preoperatori predittivi di morbidità cardiaca ben dimostrati sono: l'infarto che data meno di 6 mesi e l'insufficienza cardiaca. Tra i fattori supposti si ritrovano l'infarto di più di 6 mesi, l'angor, l'insufficienza cardiaca di vecchia data, l'ipertensione, il diabete e l'età.

In pratica per esplorare la funzione cardiaca di un paziente che deve essere operato bisogna effettuare un'ecocardiografia che consente anche lo studio delle valvole cardiache. Per depistare le lesioni coronariche una prova da sforzo è indicata. Se questa è positiva per uno sforzo minimo o una frequenza cardiaca inferiore al 75% della frequenza massima teorica, si deve realizzare una coronarografia. In caso dubbio, una scintigrafia al tallio deve essere effettuata. Se il paziente non può sostenere il test da sforzo, deve effettuare la scintigrafia al tallio-dipiridamolo che, se positiva, obbliga a ricorrere alla coronarografia. Malgrado tutte queste valutazioni, è stato osservato che i pazienti deceduti avevano una bassa gittata cardiaca e delle pressioni capillari polmonari elevate già nel preoperatorio. Infine bisogna osservare che la correzione di queste anomalie emodinamiche nel preoperatorio comporta un decorso postoperatorio più soddisfacente. Infatti, per ridurre la mortalità operatoria è necessaria una valutazione emodinamica preoperatoria che permette, attraverso il posizionamento di un catetere di Swan-Ganz, dei prelievi veno-arteriosi, una degenza più o meno lunga in terapia intensiva e il rinvio dell'intervento, di normalizzare nel preoperatorio i volumi ematici, l'indice cardiaco e il consumo di ossigeno. La terapia comprende apporti di liquidi, l'impiego di inotropi, di diuretici, di vasodilatatori e di una corretta alimentazione. In seguito a questa valutazione emodinamica preoperatoria si possono distinguere quattro gruppi di pazienti. Nel gruppo I i pazienti non mostrano deficit funzionale e necessitano di un trattamento peroperatorio convenzionale. Il gruppo II comprende i pazienti con deficit funzionale moderati; non è necessario, in questi casi, posticipare l'intervento chirurgico, è imperativo un monitoraggio peroperatorio invasivo con posizionamento di un catetere di Swan-Ganz e assicurare un buon riempimento vascolare. I pazienti del gruppo III mostrano dei deficit severi che obbligano a posticipare l'intervento chirurgico in maniera tale da poter iniziare un trattamento con vasodilatatori, inotropi, diuretici e alimentazione parenterale/enterale. Per i pazienti del gruppo IV è consigliato non effettuare l'intervento chirurgico o eventualmente effettuare un intervento di minima. Tutti i pazienti operati del gruppo IV sono deceduti malgrado tutte le precauzioni prese.

Pertanto appare chiaro che i fattori di rischio che si riscontrano nei pazienti del gruppo IV, ad alto tasso di mortalità peroperatoria, sono: una paO2 minore di 50mmHg, uno shunt polmonare artero-venoso superiore al 20%, una pressione arteriosa polmonare elevata, delle resistenza vascolari polmonari elevate, una ridotta contrattilità ventricolare sinistra. Una valutazione emodinamica preoperatoria è ritenuta necessaria per un paziente che presenta almeno tre dei seguenti fattori di rischio:

La misurazione continua della gittata cardiaca non invasiva può essere realizzata secondo due metodiche. La prima misura le variazioni di impedenza elettrica toracica: questa tecnica è poco attendibile. La seconda utilizza un principio di ultrasonografia accoppiato al Doppler transesofageo: questa tecnica è già più invasiva e presenta ancora delle approssimazioni. Riguardo le metodiche invasive, il posizionamento di un catetere di Swan-Ganz consente la misurazione continua della saturazione venosa e della gittata cardiaca.

BIBLIOGRAFIA

1 Preoperative preparation of the high-risk surgical patient. J.Savino, L.Del Guercio. Perspectives in critical care. vol.2 1989, p.1-43

2 Multifactorial analysis of cardiac risk in non cardiac surgical procedures. Goldman. N.Engl.J.Med. 297:845, 1977

3 Perioperative cardiac morbidity. D.Mangano. Anesthesiology 72:53-184, 1990.

4 Aorte abdominale. chap.III: Bilan pré-opératoire. M.L.Tannieres, F.Bacourt, M.C.Terestchenko. Arnette, 1990.

5 Le risque cardio-vasculaire de l'anesthésie. P.Coriat. Arnette, 1990.

 

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ANESTESIA NEL PAZIENTE CORONARICO
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J.F. Baron

INTRODUZIONE

I dati forniti dall'esame clinico pre-operatorio e da alcuni esami complementari permettono una valutazione pre-operatoria del rischio operatorio, sulla cui scorta decidere il tipo di trattamento pre-operatorio, la tecnica di monitoraggio e di anestesia e la terapia intensiva post-operatoria. Una buona comprensione delle complicanze cardiache che minacciano il paziente coronarico sottoposto ad un intervento di chirurgia generale permette di formulare diverse linee direttrici che guidano l'anestesia e il risveglio di questi pazienti [3].

1. VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Tutti gli studi realizzati fino al 1982 per determinare la frequenza dell'insorgenza e le conseguenze di una recidiva di infarto negli operati con un antecedente di necrosi miocardica rivelano che l'intervallo di tempo tra il primo infarto e l'intervento chirurgico è un fattore prognostico essenziale [10]. Le recidive di infarto miocardico sono particolarmente temibili nei pazienti che hanno avuto un infarto da meno di sei mesi; pertanto è imperativo, in questo caso, se non vi è una condizione di urgenza, differire l'intervento chirurgico. L'elevata mortalità di infarto postoperatorio rafforza la necessità di rispettare questa regola. In un lavoro più recente, Rao e coll. dimostrano che è possibile, con misure terapeutiche appropriate, ridurre a meno del 4% l'incidenza d'insorgenza di necrosi miocardica acuta postoperatoria, nei pazienti operati dopo sei mesi dall'infarto [8]. Le misure proposte sono una sorveglianza continua della derivazione V5, della pressione capillare polmonare, della pressione arteriosa cruenta sia durante l'intervento che nel postoperatorio. Dopo l'intervento chirurgico i pazienti sono accolti in unità di terapia intensiva in modo da continuare la sorveglianza e da trattare tutte le anomalie emodinamiche ed elettrocardiografiche.

1.1 La sintomatologia dell'angor

Essa condiziona in parte il rischio di ischemia miocardica peroperatoria. Se l'operato mostra una evolutività dei caratteri di insorgenza del dolore anginoso (angor di insorgenza recente, riduzione della soglia del dolore anginoso), l'intervento chirurgico, se possibile, deve essere differito in ragione di un elevato rischio di complicanze cardiache postoperatorie. Negli operati con angina stabile, alcuni parametri si devono conoscere poiché aumentano il rischio operatorio [4]:

1.2 La scintigrafia miocardica al tallio

Potenziata dal dipiridamolo, è attualmente considerata come un esame essenziale per la valutazione preoperatoria del rischio. L'acquisizione dei dati scintigrafici si fa in due tempi: immediatamente dopo l'iniezione di dipiridamolo e tallio, e quattro ore dopo. Questi metodi permettono così di distinguere delle ipofissazioni senza ridistribuzione che corrispondono di solito a sequele di necrosi, da ipofissazioni con ridistribuzione che traducono l'esistenza di aree vitali minacciate da stenosi coronarica. Tutti gli autori concordano nel sostenere che una ridistribuzione è attualmente il solo segno scintigrafico che ha un'importanza significativa nella valutazione del rischio operatorio [5]. In effetti,nei pazienti che presentano una ridistribuzione, il rischio di ischemia miocardica e di infarto post-operatorio è più elevato. Attualmente, si sottolinea che se il valore predittivo negativo di un segno è corretto ma non assoluto il valore predittivo positivo è basso.

1.3 Valutazione pre-operatoria della funzione ventricolare sinistra

E' un punto essenziale. In effetti frequentemente nei pazienti senza un antecedente di infarto, un'alterazione della frazione di eiezione può testimoniare una lesione coronarica tritronculare. D'altronde i pazienti coronarici che hanno un'alterazione della funzione ventricolare devono beneficiare di una sorveglianza attenta e prolungata e sono per alcuni un'indicazione alla somministrazione preventiva di trinitrina. L'angioscintigrafia e l'ecocardiografia sono attualmente le tecniche non invasive più adatte a una valutazione della funzione ventricolare sinistra [9].

2. ANESTESIA DEL PAZIENTE CORONARICO

Non insisteremo sulla necessità di proseguire la somministrazione per os fino a 2 ore prima dell'intervento dei farmaci anti-ischemici assunti abitualmente dal paziente.

2.1 Sorveglianza

2.1.1 Monitoraggio ECG

La principale esigenza nel monitoraggio del paziente coronaropatico è la precoce diagnosi di episodi di ischemia miocardica. Le basi di questo monitoraggio (Monitoraggio dell'ischemia miocardica, JF Baron MAPAR 1989), risiedono su un posizionamento corretto degli elettrodi, su una selezione delle derivazioni da controllare e sull'assenza di filtri modificanti i segnali (scelta del modo diagnostico dei monitors). Una sorveglianza automatizzata del tratto ST su 3 derivazioni (V5,V4,DII) è attualmente il "miglior" monitoraggio dell'operato coronarico [6].

2.1.2 Posizionamento di un catetere di Swan-Ganz
Da prendere in considerazione in funzione dell'intervento chirurgico e della patologia (insufficienza cardiaca). Il monitoraggio della pressione capillare consente di limitare il rischio congestizio e di trattare gli aumenti delle pressioni capillari, di adattare il riempimento vascolare e la posologia dei farmaci antiischemici o inotropi.

2.2 Prevenzione degli episodi di ischemia miocardica

Dipende da una parte dall'affidabilità della tecnica diagnostica utilizzata, e dall'altra dal rischio di ischemia. Quando si può utilizzare una diagnostica automatizzata degli eventi ischemici, qualunque sia il rischio di ischemia, gli autori concordano nel preferire un trattamento specifico dell'ischemia piuttosto che una prevenzione sistematica. Quando la diagnostica non è realizzabile, la somministrazione preventiva di trinitrina è indicata nei pazienti coronarici con un angor invalidante, un recente antecedente di infarto, un'alterazione della funzione ventricolare sinistra o una ridistribuzione in due o più territori [2].

2.3 Condotta anestesiologica

Deve essere guidata dalla necessità di assicurare un livello di narcosi e di analgesia ottimali e nello stesso tempo di mantenere un apporto di ossigeno al miocardio, e di diminuire, se possibile, il consumo di ossigeno miocardico, senza alterare la funzione ventricolare sinistra e senza modificare la regolazione del circolo coronarico [1,7].

2.3.1 Induzione
L'agente di induzione ideale deve avere effetti moderati sulle condizioni di carico ventricolare sinistro, per conservare una pressione di perfusione coronarica corretta, senza alterare la funzione ventricolare sinistra e limitare le ripercussioni emodinamiche all'intubazione e all'incisione. Attualmente, nessun agente anestetico ha tutte queste caratteristiche. Diversi studi hanno precisato che la somministrazione di Fentanyl (6-12mcg/kg) assicura una buona stabilità emodinamica e previene la risposta catecolaminica conseguente a stimoli nocicettivi [1]. Il Fentanyl può essere associato alla somministrazione prudente di agenti ipnotici: benzodiazepine, Tiopentone od Etomidate. Tuttavia, un protocollo di induzione che comporta una somministrazione di Fentanyl di 6mcg/kg può essere raccomandata solo per interventi chirurgici di più di 90 minuti, realizzati in ventilazione assistita con il malato intubato. Per gli interventi di brave durata è conveniente ridurre la dose di Fentanyl, utilizzare benzodiazepine a breve durata di azione o l'etomidate o il tiopentone e mantenere l'anestesia con gli alogenati. La scelta del curaro pone pochi problemi nel paziente coronarico. Tuttavia, numerosi autori raccomandano di utilizzare il vecuronio piuttosto che il pancuronio che aumenta la frequenza cardiaca ed è suscettibile di indurre un'ischemia miocardica.

2.3.2 Mantenimento dell'anestesia
Ha lo scopo di assicurare la prevenzione o il trattamento di aumenti della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca indotti dagli stimoli nocicettivi. Se il grado di analgesia è sufficiente, come spesso nel caso della somministrazione di fentanyl 6mcg/kg all'induzione, gli alogenati permettono di controllare le variazioni emodinamiche e contemporaneamente gli stimoli nocicettivi [7]. Se gli alogenati hanno generalmente effetti positivi sull'equilibrio energetico del miocardio, essi possono avere in certe circostanza degli effetti nefasti. L'isoflurano può provocare in certi coronarici un fenomeno di furto coronarico, e nonostante la sua somministrazione sia raccomandata per il controllo delle poussées ipertensive, conviene essere prudenti nella sua utilizzazione come singolo agente di mantenimento dell'anestesia [7].

2.3.3 Trattamento degli episodi di ischemia miocardica
Il trattamento degli episodi di ischemia miocardica deve tenere conto del meccanismo di insorgenza, dell'emodinamica nel corso dell'ischemia e del tipo di anestesia. Il trattamento delle ischemie non legate a modificazioni emodinamiche deve essere indirizzato verso farmaci che aumentano la soglia dell'angina (calcio-antagonisti o trinitrina). Il trattamento dell'ischemia associata a una tachicardia ed a ipertensione contemporanea a stimoli nocicettivi può essere meglio realizzato con la somministrazione di alotano (o isoflurane). Le ischemie associate a una tachicardia possono essere trattate con alotano o un betabloccante. Il trattamento dell'ischemia associata a un'ipotensione arteriosa impone l'eventuale sospensione di alogenati, la correzione di una eventuale ipovolemia, ed eventualmente la somministrazione di una amina simpaticomimetica non tachicardizzante (fenilefrina); Successivamente, dopo la correzione dell'ipotensione arteriosa, la somministrazione prudente di un farmaco anti-ischemico.

2.3.4 Condotta della rianimazione postoperatoria
Ha lo scopo nell'operato coronarico di limitare il consumo metabolico del periodo di riscaldamento e durante la ventilazione assistita, sotto sedazione morfinica fino al ripristino della normotermia. Durante questo periodo un'attenzione particolare dovrà essere posta al trattamento delle poussées ipertensive e delle tachicardie. Se una somministrazione preventiva della trinitrina è stata cominciata nel periodo peroperatorio essa dovrà essere continuata nel postoperatorio.

CONCLUSIONI
Una anestesia ottimale in un paziente coronarico necessita di una valutazione precisa del rischio al fine di decidere il livello di monitoraggio, il tipo di anestesia e il grado di rianimazione postoperatoria. Qualunque sia il tipo di anestesia, il paziente rimane esposto all'insorgenza di episodi ischemici che bisognerà prevenire o trattare e ciò presuppone una diagnostica affidabile.

BIBLIOGRAFIA

1. Bennett G., Stanley T.H. Human cardiovascular responses to endotracheal intubation during morphine N2O and fentanyl N2O anesthesia. Anesthesiology 52:520-522, 1980.

2. Coriat P., Daloz M., Bousseau D., Fusciardi F., Echter E., Biars P. Prevention of intraoperative myocardial ischaemia during non cardiac surgery with intravenous nitroglycerin. Anesthesiolgy 61:193-196, 1984.

3. Coriat P. et al.: Left ventricular dysfunction after non cardiac surgical, procedures in patients with ischemic heart disease. Acta Anaest.Scand 29:804-810, 1985

4. Coriat P. et al.: Clinical predictors of intraoperative myocardial ischemia in patients with coronary artery desease undergoing non cardiac surgery. Acta Anaest.Scand 26:287-290, 1982

5. Leppo J. et al.: Non invasive evaluation of cardiac risk before elective vascular surgery. J Am Coll Cardiol 9:269-276, 1987

6. London MJ et al.: Intraoperative myocardial ischemia: localization by continuos 12-lead electrocardiography. Anesthesiolgy 69:232-241, 1988

7. Lowenstein E. et al.: Effects of inhalation anesthetics on systemic hemodynamics and the coronary circulation. In Cardiac anesthesia (Second Edition), Vol. 1, Ed. Kaplan JA, Grune et Stratton Editions p3-37.

8. Rao et al.: Reinfarction following anesthesia in patients with myocardial infarction. Anesthesiolgy 59: 449-505, 1983

9. Thys D. et al.: Recent advances in electrocardiographic techniques. In Cardiac anesthesia (Second Edition), Vol. 1, Ed. Kaplan JA, Grune et Stratton Editions p 227-255.

10. Topkins MJ. et al.: Myocardial infarction and surgery: a five year study. Anesth Analg 43: 716-720, 1964