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ESRA 2002 Italian Chapter - Relazioni


3 - Spinal in preeclampsia outcome for mother and newborn

A.BRIZZI - Dirigente II livello Servizio di Anestesia e Rianimazione 
Reparto di Ostetricia della Clinica Privata Convenzionata " S. MARIA" BARI

Summary: When we are in a position of preeclampsia what kind of anaesthesia we have to consider to be the ideal one for a C.S. within the peripheral block ,since that in every case we have to prefer to the general anaesthesia? In the last years the AE was considered the choice technique for these kind of patients under the possibility to administer incoming doses of drugs. Recently the conclusions of different randomised studies are that the AS is also an efficient technique for these patients and rarely the hypotension is a problem, keeping in mind the improvement of the obstetric management. In fact according to this last one we can treat this kind of patients as if they were healthy patients: they are compensated both from an hemodynamic, metabolic and coagulative point of view. For these reasons the choice of the spinal or epidural anaesthesia is done according to the experience of the anaesthetist, to the patients choice and to the urgency. However we do not have to forget that, probably, the ideal AR is the technique that uses advantages of the two central block and put then in synergy to obtain the maximum results with the least drawbacks: the C.S.E technique. This is true for all pregnant patients but above all for the pregnant patients at risk both for analgesia and anaesthesia.

Key words: AR:Regional anaesthesia; AG:General anaesthesia AE:Epidural anaesthesia; AS:Spinal anaesthesia; Cearean Section; Labour Analgesia; Preecampsia.

Nel 1982 l’ ACOG ha definitivamente affermato che l’ AR riduce la mortalità materna in corso di TC rispetto all’AG ritenendo quindi che l’anestesia di scelta per il TC sia l’AR e l’utilizzo dell’AG dovrebbe essere limitata alle situazioni in cui l’AR è controindicata (1).
Nell’ambito poi della AR sappiamo che quando non vi è una patologia di base la scelta tra l’AS e AE è legata spesso all’esperienza dell’anestesista, alla preferenza della paziente, alla più o meno rapidità di instaurarsi del blocco, alla flessibilità di un blocco rispetto all’ altro e alla possibilità di gestire il dolore postoperatorio.
La scelta dell’ AR rispetto all’AG diventa un pò più problematica quando siamo in una situazione di preeclampsia.
La particolarità di queste pazienti rispetto alle pazienti gravide sane è nella fisiopatologia caratterizzata da squilibrio della bilancia tromboxano-prostaciclina che comporta aumento della vasocostrizione, aumento della aggregabilità piastrinica, riduzione del flusso materno-fetale, riduzione del volume plasmatico, piastrinopenia e nella terapia farmacologica a cui vengono sottoposte le pazienti con preeclampsia: antipertensivi, aspirina, sali di magnesio(3).
Tenendo conto dell’alta percentuale di complicanze dell’AG rispetto all’AR(4-5), gran parte della letteratura, ormai da tempo, concorda nell’affermare che, se non vi sono controindicazioni (gravi disturbi della coagulazione), l’AR è la scelta ideale per la paziente preeclamptica sia a scopi antalgici che anestetici (6-7) rispetto alla AG soprattutto tenendo conto del grosso ruolo che ha l’AR nel bloccare la risposta metabolica e neuro-endocrina dello stress, senza modificare la risposta neuroendocrina neonatale alla nascita (8). Anzi si considera il ricorso all’AG anche nel TC d’urgenza "indice di una pianificazione carente da parte dell’ostetrico e dell’anestesista"(6).
Ma nell’ambito dei blocchi centrali usati a scopo antalgico/anestetico cosa scegliere per la paziente preeclamptica: l’AS o l’AE ? Diciamo subito che i criteri di scelta tra le due tecniche ruotano intorno alla possibilità di generare un repentino blocco del simpatico e alle strategie che possiamo adottare per trattare tale blocco.
In una paziente sana che deve essere sottoposta a AR l’ipotensione è prevenuta da: preload-posizione-vasocostrittori (9). In virtù di ciò che si è detto finora negli ultimi anni l’anestesia/analgesia epidurale era considerata la tecnica di scelta nella pz. peeclamptica (10); ciò che farebbe dell’AE la tecnica di scelta per la preeclamptica è la possibilità rispetto alla spinale di somministrare dosi subentranti di anestetici-analgesici senza incorrere nel rischio di blocco simpatico repentino con i suoi inconvenienti (11)e quindi evitare quelle manovre che risulterebbero pericolose per la preeclamptica quale il preload e la somministrazione di efedrina ; l’uso della spinale era controverso per via della più importante ipotensione provocata da tale blocco alla madre con conseguente riduzione della perfusione uteroplacentare. Tutto questo nella preeclampsia è complicato dal fatto che ci troviamo di fronte ad una paziente ipovolemica nella quale il preload può aumentare la PVC tanto da provocare un edema polmonare e che questa è una paziente più sensibile delle altre all’uso dei vasocostrittori.
Recenti studi randomizzati hanno concluso invece che l’AS è una tecnica efficiente anche per queste pazienti e che l’ipotensione è raramente un problema (11-12-13).
Per quanto riguarda il preload tanto temuto per la preeclamptica bisogna dire che, tenuto conto dei dubbi che riguardono l’utilità del preload nel prevenire l’ipotensione in tutte le gravide, specialmente se si usano i cristalloidi (14-15), nella preeclamptica in particolare gli eventuali effetti emodinamici negativi del preload potrebbero essere bilanciati dalla maggiore produzione di ANF tipico delle gravide in generale (16) e delle preeclamptiche in particolare (17).Dobbiamo inoltre aggiungere che riduzioni fino al 30% della PAS materna non comportano alcune variazioni nella emodinamica materno-fetale (18).Per quanto riguarda l’uso dei vasocostrittori bisogna tener conto che le preeclamptiche sono sicuramente più sensibili ai questi farmaci (19-20-21) ,ma concordiamo perfettamente con Howell P.(22) il quale afferma che con l’introduzione di recenti protocolli di management ostetrico della preeclamptica, la totalità di queste pazienti sono adeguatamente vasodilatate per cui in sala operatoria o in sala parto si comportano come pazienti sane.
Un’ultima considerazione prima delle conclusioni riguarda il fatto che queste pazienti sono frequentemente piastrinopeniche e altrettanto frequentemente antiaggregate (23), due situazioni che sembrerebbero controindicare l’AR.In realtà possiamo affermare che la piastrinopenia non è quasi mai grave dal momento che che le forme più importanti vengono adeguatamente pretrattate con con glucocorticoidi (24) e che il trattamento con aspirina non controindica l’effettuazione di una spinale single shot con aghi piccoli e atraumatici (25-27G Witacre, Sprotte) (25-26). L’atteggiamento ideale sarebbe fare un’analisi oltre che quantitativa dei vari fattori della coagulazione, piastrine comprese, anche qualitativa della coagulazione e della fibrinolisi con l’ausilio di un esame tromboelastografico del sangue prima della effettuazione di una AR
e di questo valutare soprattutto le variazione della ma (maximum amplitude) la cui misura dipende dalla concentrazione di fibrinogeno, ma anche dal numero e dalla funzione delle piastrine (27-28-29).
E’ obbligatorio a questo punto almeno accennare all’uso della tecnica spinale in sinergia con la peridurale C.S.E.(30). Il primo ad applicare tale tecnica nel T.C. fu Brownridge nel 1979;questa tecnica associa la rapidità, la densità e l'affidabilità del blocco spinale con la flessibilità dell’ epidurale continua che ci consente di estendere nei metameri e nel tempo l’analgesia/anestesia.(31); in conseguenza di ciò noi abbiamo la possibilità di somministrare in spinale bassissime dosi di anestetico (ad es.: 1-2 mg di bupivacaina 0,25% a scopo antalgico oppure 5-7 mg di bupivacaina 0,5% a scopo anestetico) e/o oppioide (2-4 microg. di sufentanil ) coadiuvate da altrettante basse concentrazione di anestetico nello spazio epidurale (ad es.: 0,05% di ropivacaina a scopo antalgico e 0,2% a scopo anestetico ) sfruttando il sinergismo tra le due tecniche e ottenendo il massimo dei risultati con i minori effetti collaterali possibili.
Non vi è ancora una grossa esperienza in generale (32-33 ) nella preeclamptica in particolare (34), ma quella che è presente in letteratura è confortevole: sia Wallace nel ‘95(12) che Ramanathan più recentemente nel 2001(34) concordano nel ritenere che tale tecnica debba essere presa molto in considerazione nell’anestesia-analgesia della paziente gravida sana, ma soprattutto nella gravida a rischio quale per esempio la paziente preeclamptica.
Prima di trarre delle conclusioni solo un accenno alle complicanze relative al traumatismo della dura: la PPHD, la cui frequenza è notevolmente diminuita con l’avvento degli aghi atraumatici spinali (35), assume i caratteri della benignità se secondaria a tecnica spinale , mentre se secondaria a punture di aghi da peridurale il verificarsi di PPDH è tale da richiedere trattamenti più invasivi (blood patch); ricordiamo a tal proposito che i case-report di ematoma intracranico successivi a PPDH in ostetricia sono sempre secondari a tecnica epidurale (36).
Possiamo concludere che dopo una attenta valutazione della letteratura sul ruolo della tecnica spinale nella pz. preeclamtica questa ne viene fuori, rispetto agli ultimi anni, notevolmente rivalutata (11-12-13) tenendo conto anche del fatto che essendo migliorato molto il menagement ostetrico le pz. preeclamptiche arrivano in S.P. o in S.O. ben compensate e rispondono alle nostre manovre come delle pz. sane (22); a quel punto la decisione si basa fondamentalmente sulla esperienza dell’anestesista(37). Un anestesista meno esperto indubbiamente sceglierà la tecnica spinale come anestesia di scelta nella pz. ( 25-27 G ) preeclamptica e non avrà sbagliato soprattutto se l’ha preferita ad un A.G. L’anestesista più esperto adotterà in queste pz. come tecnica di scelta la peridurale a meno che non si trovi in una situazione di urgenza in cui ha bisogno che un blocco venga instaurato nel più breve tempo possibile. Comunque l’anestesista più esperto punterà ad avvalersi di tutte due le tecniche in sinergia tra loro (C.S.E) sia per scopi antalgici che per scopi anestetici per migliorare l’outcome di tutte le gravide, ma soprattutto di quelle a rischio (34).
Diciamo questo perfettamente convinti che "LE DOTTRINE DI UN’ EPOCA SONO DIVENTATE LE ASSURDITA’ DI QUELLA SUCCESSIVA, E LA STOLTEZZA DI IERI SARA’ LA SAGGEZZA DI DOMANI"…….. Sir William Osler

Riassunto: Quando siamo in una condizione di preeclampsia quale dobbiamo considerare essere l'anestesia ideale per anestesia ed analgesia nell'ambito dei blocchi periferici, sicuri come siamo che in quasi tutte le situazioni siano da preferire all'anestesia generale? Negli ultimi anni l'AE era considerata la tecnica di scelta per queste pazienti in virtù della possibilità di fare dosi subentranti di farmaci che evitano l’ipotensione: Più recentemente studi randomizzati hanno concluso che l'AS è una tecnica efficiente anche per queste pazienti e che l'ipotensione è raramente un problema, tenendo conto anche del miglioramento del management ostetrico in virtù del quale possiamo comportarci con queste pazienti come se fossero delle pazienti sane; infatti esse risultano essere compensate sia da un punto di vista emodinamico che metabolico che coagulatorio. Per questo la scelta dell'anestesia spinale o peridurale viene fatta in base all'esperienza dell'anestesista, alla preferenza della pazienti,alla più o meno urgenza. Comunque non dobbiamo dimenticare che probabilmente la tecnica di AR a cui si dovrebbe guardare è quella che sfrutta i vantaggi dei due blocchi centrali mettendoli in sinergia tra loro per ottenere il massimo dei risultati con il minimo degli inconvenienti: la C.S.E. Tale tecnica sarebbe da preferire in tutte le pazienti ma soprattuto quelle a rischio sia a scopo antalgico che anestetico 

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4 - Cardiochirurgia e ALR

L’anestesia / analgesia epidurale non ha una comprovata efficacia in termini di costo/beneficio negli interventi di rivascolarizzazione miocardica.
Marco Ranucci Primario Servizio di Anestesia Cardiotoracica – Istituto Policlinico S. Donato - Milano

A partire dagli anni novanta si è iniziato a proporre l’uso di tecniche di anestesia / analgesia epidurale (EAA) toracica continua in corso di interventi di rivascolarizzazione miocardica con o senza bypass cardiopolmonare (CPB). Alla base di questa tecnica esiste l’ipotesi che essa possa migliorare l’outcome dei pazienti, attraverso (a) un miglior controllo dei parametri emodinamici, in particolare grazie ad una inibizione del sistema simpatico (1,2); (b) un miglioramento della funzionalità polmonare (3,); (c) un miglior controllo del dolore postoperatorio (3-5) e (d) una più precoce ripresa della deambulazione con diminuzione degli eventi tromboembolici (6,7).
Questi effetti derivano da una diminuzione dei segnali dolorifici afferenti, da una dimuita risposta adrenergica, da una vasodiltazione coronarica, da una miglior funzionalità diaframmatica, e possono a buon diritto essere considerati favorevoli in un paziente sottoposto a chirurgia coronarica.
D’altronde, la presenza di quadri di scoagulazione spinta durante l’intervento (sia esso con o senza CPB), ha sollevato perplessità riguardo al potenziale rischio di formazione di ematomi epidurali, che si possono verificare nel postoperatorio cardiochirurgico anche in assenza di un diretto traumatismo della zona perimidollare (8,9).
In presenza di qualsiasi tecnica non indispensabile per lo svolgimento di un gesto chirurgico, l’approccio più corretto è quello di valutare i benefici accertati e di confrontarli con i rischi potenziali. Seguendo questa linea di condotta, è possibile analizzare una vasta serie di lavori clinici pubblicati negli ultimi anni.

1. Benefici accertati

(a) Controllo della reazione adrenergica e vasodilatazione coronarica
E’ sicuramente accertato che l’analgesia epidurale offre dei benefici nei pazienti con angina instabile: la modulazione dei segnali nocicettivi a livello del sistema simpatico è stata proposta con successo anche in termini di stimolazione midollare elettrica in questi pazienti. Anche in ambito cardiochirurgico, è stato dimostrato un effetto positivo
nell’immediato postoperatorio (2). Peraltro, le variabili che possono influenzare la risposta emodinamica e in particolare adrenergica durante e dopo cardiochirurgia sono così eterogenee (farmaci ad azione simpaticolitica; effetto del CPB; età e sesso del paziente....) che una corretta analisi del ruolo dell’ EAA toracica nel miglioramento dell’outcome "cardiaco" (diminuzione degli infarti miocardici perioperatori, delle aritmie e delle sindromi da bassa portata) richiede una ana lisi multivariata di tipo prospettico su una vasta popolazione di pazienti. In termini statistici, poichè l’infarto miocardico perioperatorio ha un incidenza tr il 2 ed il 5% dei pazienti, uno studio di adeguata potenza non può includere meno di 2000 pazienti randomizzati in due gruppi. Facendo invece riferimento agli episodi ischemici, che intervengono nel 20-40% dei pazienti, ci si può limitare a circa 200 casi.
Purtroppo, questi studi non sono attualmente disponibili nella letteratura internazionale. Al contrario, è ben accertato da uno studio prospettico randomizzato su 200 pazienti che il controllo del sistema simpatico ottenuto con la semplice somministrazione di un beta-bloccante preoperatorio, diminuisce in modo significativo l’incidenza di eventi ischemici (10). E’ intuitivo che questa seconda metodica è sicuramente meno indaginosa ed esente dai potenziali problemi connessi con l’ AEE. Inoltre, occorre ricordare che la presunta efficacia dell’ EAA nella prevenzione degli eventi ischemici perioperatori è tutt’altro che dimostrata: in un recente studio (11), Fillinger e coll. hanno dimostrato la stessa percentuale di aritmie postoperatorie e infarti miocardici perioperatori in pazienti trattati con o senza EAA. Infine, diversi lavori (11) concordano ne ll’evidenziare la necessità di maggiori dosi di inotropi e vasocostrittori nella gestione intraoperatoria dei pazienti sottoposti a EAA in cardiochirurgia: è quindi possibile che il "risparmio" di catecolamine endogene indotto da questa tecnica abbia un costo in termini di maggiore necessità di catecolamine esogene, vanificandone il potenziale beneficio in termini di controllo emodinamico.

(b) Miglioramento della funzionalità polmonare
Le complicanze polmonari postoperatorie in cardiochirurgia hanno per decenni rappresentato un’eventualità frequente e temibile (il "pump lung"). Oggi, almeno nella popolazione adulta, grazie al miglioramento delle tecniche di CPB, esse presentano un incidenza più ridotta (5%) e hanno caratteristiche di minor gravità. E’ sicuramente accertato che l’AEE migliora la funzionalità respiratoria negli interventi addominali alti, ma il quadro è meno univoco in cardiochirurgia. Tenling e coll (12) hanno dimostrato che l’AEE riduce i tempi di intubazione ma non la degenza postoperatoria; nel loro lavoro, inoltre, non hanno potuto verificare alcun miglioramento dello shunt intrapolmonare e dei parametri di ossigenazione, nè alcuna differenza in termini di formazione di atelettasie nei pazienti trattati con EAA. Priestley e coll (13) hanno confermato gli stessi risultati, dimostrando tempi di ventilazione meccanica inferiori ma nessuna differenza in termini di parametri spirometrici, radiografici, nè nella incidenza di infarto miocardico o ischemia. I tempi di intubazione sono stati comunque di circa 4 ore, non inferiori quindi a quelli riportati in numerosi studi finalizzati ad una "early extubation" in cui non veniva utilizzata l’AEE.
Esistono sicuramente studi con differenti risultati, in cui si dimostra un miglioramento della funzionalità polmonare (14), ma occorre comunque ricordare che l’impatto del dolore postoperatorio sulla funzionalità polmonare conseguente a sternotomia è sicuramente meno evidente di quanto avviene in caso di toracotomia o incisione addominale alta. Recentemente, uno studio prospettico (11) su 60 pazienti ha dimostrato che i pazienti sottoposti ad AEE per interventi di rivascolarizzazione coronarica avevano tempi di intubazione, di degenza in terapia intensiva e di degenza ospedaliera sovrapponibili al gruppo di controllo. Allo stato attuale, non esiste pertanto evidenza di un migliore outcome postoperatorio legato all’ AEE.

(c) Controllo del dolore postoperatorio
Anche in questo caso, accanto a studi che dimostrano un miglior controllo del dolore postoperatorio associato all’uso di AEE, esistono lavori (14) che dimostrano valori di VAS sovrapponibili al gruppo di controllo, e soprattutto nessuna differenza nella necessità di somministrazione di oppioidi. Considerata la relativamente limitata componente algica presente nelle sternotomie, ci sentiamo di concordare con Castellano e Durbin (15) i quali affermano che "...la maggior parte dei pazienti cardiochirurgici sono gestibili con minime dosi di narcotici e non richiedono un’analgesia epidurale toracica per il controllo del dolore..."

2. Rischi potenziali

I sostenitori dell’ AAE in cardiochirurgia ritengono che, malgrado la presenza di una scoagulazione sistemica, il rischio di ematoma epidurale non sia superiore a quello stimato per le altre chirurgie, purchè naturalmente ci si attenga ad un protocollo rigido. Questo protocollo include l’inserzione del catetere il giorno prima della procedura, la limitazione del numero di tentativi, la sospensione della procedura in caso di sanguinamento dall’ago epidurale.
Posporre un intervento di rivascolarizzazione coronarica introduce di per sè un fattore di rischio legato alla possibilità che intervengano fatti coronarici acuti successivamente al tentativo di inserzione del catetere e prima dell’intervento. Inoltre, fatto assai interessante, una vasta analisi dei protocolli seguiti in tutto il mondo (16) ha dimostrato che molti anestesisti in effetti inseriscono il catetere subito prima o addirittura dopo l’induzione dell’anestesia e, soprattutto, che oltre l’80% degli anestesisti continua la procedura chirurgica anche in caso di sanguinamento dall’ago epidurale. Pertanto, allo stato attuale, non esiste un reale protocollo di sicurezza applicato in modo sistematico. 
L’osservazione comune tra i sostenitori dell’ AAE in cardiochirurgia è che a tutt’oggi non è stato pubblicato alcun caso di ematoma epidurale in pazienti trattati con questa tecnica per interventi di rivascolarizzazione coronarica. Questo dato ha però una dubbia affidabilità, poichè è senz’altro nota la reticenza a pubblicizzare le proprie complicanze, soprattutto se esse sono gravi e suscettibili di sequele medico-legali. Molto più solida appare l’analisi statistica di Ho e coll (17), che hanno stimato, con un modello matematico, un rischio minimo di un caso ogni 150.000 (pari al rischio connesso con ogni puntura epidurale) ed un rischio massimo al 95% dell’intervallo di confidenza pari ad un caso ogni 1500, che sale ad un caso ogni 1000 al 99% dell’intervallo di confidenza.
E’ sicuramente difficile valutare il rischio reale di una complicanza che, comunque, è da considerarsi estremamente pericolosa. Per una volta, i dati più suggestivi ci vengono dai files legali piuttosto che da quelli medici. Esiste un registro di cause legali chiuse mantenuto dall’ American Association of Anesthesiologists (Closed Claims Project Database) che fornisce alcune indicazioni preziose. Un survey sui danni neurologici dovuti all’anestesia (18), basato sulle cause di risarcimento ultimate, dimostra che negli anni ’70 e prima metà degli ’80 la maggior parte dei risarcimenti riguardava danni al nervo ulnare o al plesso brachiale. Nella seconda metà degli anni ’80 i danni midollari hanno raggiunto quelli periferici. Negli anni ’90 i danni midollari hanno rappresentato la prima causa di risarcimento tra i danni neurologici, con un risarcimento medio di oltre 250.000 $. Analizzando più in dettaglio questi dati relativi agli anni ’90 (19), il 13% delle cause chiuse con risarcimento relative a complicanze dell’anestesia regionale è rappresentato da ematomi epidurali in corso di EAA per interventi chirurgici. L’aspetto più interessante di questa analisi è che nella maggioranza (75%) dei casi di ematoma epidurale risultante in paraplegia, era presente una associazione con eparinizzazione sistemica, mentre solo nel 25% dei casi non era presente alcuna anticoagulazione. Non è possibile risalire con certezza agli interventi chirurgici in cui si è verificato questo fatto, ma è inconfutabile che la scoagulazione sistemica rappresenta un fattore di rischio primario, tale da portare, in ambiente cardiochirurgico, il rischio potenziale verso i valori massimi ipotizzati.

Conclusioni
Allo stato attuale delle conoscenze, non esiste, in termini di "evidence based medicine", la prova che l’AAE migliori in nessun senso l’outcome dei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione coronarica. Poichè si tratta comunque di una tecnica non indispensabile, che richiede tempo e che può risultare in un ritardo nell’esecuzione dell’intervento, e che infine può provocare complicanze sicuramente rare ma potenzialmente estremamente pericolose, la sua pratica non può essere consigliata fino a quando non sarà disponibile un largo studio randomizzato che ne comprovi l’efficacia.

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ESIA-Italia
EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE - Italia
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La rivista pubblica rewiews e lavori originali compiuti nei campi dell'anestesia e della medicina critica. I lavori originali riguardano ricerche cliniche, di laboratorio e la presentazione di casi clinici. Le reviews includono argomenti per l'Educazione Medica Continua (EMC), articoli di revisione generale o riguardanti le attrezzature tecniche. ESIA pubblica le lettere all'Editore contenenti commenti su articoli precedentemente publicati ed anche brevi comunicazioni. La guida per gli autori può essere consultata collegandosi al sito ANESTIT all'indirizzo: http://anestit.unipa.it/ utilizzando la sezione riservata ad ESIA-Italia; oppure può essere richiesta inviando un messaggio a lanza@unipa.it EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE Sezione Italiana
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