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2 Valutazione dell'efficacia dell'emoperfusione nell'avvelenamento da Paraquat. Caso clinico
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Zoppellari R *, Brunaldi V **, Righini F **, Mantovani *, Avato FM **, Zatelli R *.

* 1° Servizio di Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Anna, Ferrara.

** Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Università degli Studi di Ferrara, Ferrara.
Autore cui fare riferimento: Dott. Roberto Zoppellari, 1° Servizio di Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Anna, Corso Giovecca 203, 44100 Ferrara ( tel 0532 206299 - fax 0532 295588 ).

RIASSUNTO
In un avvelenamento mortale da paraquat è stata valutata l'efficacia di due trattamenti emoperfusivi di 3 ore iniziati a 8.5 e 17 ore dall'ingestione. Le due emoperfusioni hanno rimosso solo lo 0.24% della dose ingerita (42 mg/kg). Durante il primo trattamento emoperfusivo, il paraquat eliminato con la diuresi forzata (6.78 mg) è stato maggiore di quello rimosso con l'emoperfusione (3.598 mg). I dati cinetici di questo caso mostrano una elevata distribuzione tissutale del paraquat: i volumi distributivi del compartimento centrale ed allo steady state sono rispettivamente 11.8 e 142 l/kg. Perciò l'emoperfusione è una tecnica di efficacia trascurabile, mentre una precoce diuresi forzata è più utile.

ABSTRACT
In a case of lethal paraquat poisoning the efficacy of haemoperfusion was studied. We evaluated two haemoperfusions lasted 3 hours and started at 8.5 and 17 hours after ingestion. Haemoperfusion treatments removed only 0.24 % of ingested dose (42 mg/kg). During the first haemoperfusion, the amount eliminated through forced diuresis (6.78 mg) was higher than through the extracorporeal technique (3.598 mg). Kinetic data of this case showed high paraquat distribution to tissues: distribution volumes of central compartment and at steady state were respectively 11.8 and 142 l/kg. So haemoperfusion is an ineffective epuration technique, whereas early forced diuresis might be useful.

PAROLE CHIAVE
Paraquat, emoperfusione, diuresi forzata, avvelenamento, tossicocinetica.

INTRODUZIONE
Il paraquat è un erbicida dipiridilico la cui assunzione è spesso mortale. La maggior parte delle persone che ingeriscono dosi di paraquat comprese fra 20-40 mg/kg decedono per insufficienza respiratoria entro 2 o 3 settimane, mentre per più di 50 mg/kg il decesso avviene in pochi giorni per insufficienza multiorganica (1). La tossicità del paraquat non è ancora completamente spiegata (2). A livello cellulare il paraquat (PQ++) è sottoposto dalla nicotinamide adenin dinucleotide fosfato (NADPH) a riduzione elettronica, che porta alla nascita di radicale paraquat (PQ+) e NADP+. In presenza di ossigeno, questa reazione è immediatamente seguita dalla ossidazione del radicale paraquat a paraquat, con formazione di anione superossido (O2 -). Il ciclo ossidoriduttivo continua fino a che è presente ossigeno, portando alla deplezione di NADPH. L'ossigeno singoletto ed i radicali liberi che conseguono all'anione superossido inducono perossidazione lipidica delle membrane cellulari (2) (3).L'erbicida si accumula soprattutto a livello polmonare (4), dove produce un quadro di adult respiratory distress syndrome (ARDS) per distruzione delle cellule dell'epitelio alveolare (3). Il trattamento del paziente intossicato da paraquat è basato su misure indirizzate a modificare sia la cinetica che la dinamica del tossico (3). La tossicocinetica può essere modificata riducendone l'assorbimento (5), rimuovendolo dal plasma (6), inibendone la penetrazione nelle cellule dell'epitelio alveolare (7) e bloccandolo con anticorpi (8). Le misure applicate per intervenire sul meccanismo d'azione dell'erbicida sono deputate: a prevenire la perossidazione lipidica somministrando superossidodismutasi (9), chelanti del ferro (10), vitamine C ed E (11), N-Acetilcisteina (12), miscele con bassa percentuale di ossigeno (13); a ridurre l'insorgenza della fibrosi polmonare con corticosteroidi e immunosoppressivi (14) o irradiando il polmone (15); a migliorare gli scambi gassosi erogando ossido nitrico (16). Purtroppo i benefici clinici dei trattamenti proposti nell'avvelenamento da paraquat sono stati trascurabili (17). In particolare, per quanto riguarda l'emoperfusione, applicata per rimuovere l'erbicida dal plasma, mancano dati certi sull'efficacia e sul beneficio clinico della metodica (18): solo uno studio (19) ha attribuito all'emoperfusione l'outcome favorevole di 6 gravi intossicati con paraquat. In una revisione critica su 42 pazienti (20), l'applicazione della metodica non ha prevenuto il decesso; in una casistica recente di 40 intossicati (21), i soggetti sottoposti ad un trattamento emoperfusivo protratto per oltre 10 ore avrebbero presentato un prolungamento della degenza in terapia intensiva, in assenza però di modificazione dell'esito infausto, rispetto a quelli trattati per tempi minori. In questo studio viene presentato un caso di avvelenamento da paraquat in cui è stata valutata l'efficacia dell'emoperfusione in rapporto alla dose ingerita, all'eliminazione con la diuresi forzata e alle caratteristiche tossicocinetiche dell'erbicida.

CASO CLINICO
Un soggetto di sesso maschile di 21 anni e 61 kg di peso, ingerisce intenzionalmente circa 22 ml di un liquido commerciale contenente paraquat all'11.7% e diquat al 5.9%. Successivamente il soggetto viene accompagnato dai familiari in ospedale e ricoverato dopo circa 3 ore dall'ingestione in rianimazione. Il paziente è cosciente, orientato e senza segni di insufficienza respiratoria; lamenta faringodinia e nausea. L'obbiettività rivela un marcato edema dell'orofaringe, come da contatto con sostanza caustica. Dopo una fase iniziale di reticenza, il soggetto riferisce il gesto autolesionista, mentre viene recuperato dai familiari il prodotto incriminato.

Previo posizionamento di sondino nasogastrico si esegue una abbondante gastrolusi e si somministra sospensione-soluzione di terra di Fuller al 30 % e solfato di magnesio al 5% (22). Nelle successive 48 ore la sospensione viene somministrata alla dose di 4 ml/kg ogni 4 ore. Dopo l'esecuzione di un test rapido urinario, con kit al sodioditionito, che risulta debolmente positivo per presenza di paraquat, viene eseguita in laboratorio tossicologico la conferma qualitativa dell'erbicida nel sangue e la sua determinazione quantitativa, dato che la concentrazione ematica viene utilizzata per la stima della probabilità di sopravvivenza (23). Sulla base del livello riscontrato, si decide di ricorrere all'emoperfusione per rimuovere il paraquat. L'allestimento del sistema extracorporeo è rallentato dal paziente, che, pur sedato per il rifiuto delle cure, si strappa i cateteri. Il paziente viene comunque sottoposto a due emoperfusioni, di tre ore ciascuna, iniziate a 8.5 e 17 ore dall'ingestione. Nei primi 3 giorni sono infusi liquidi in modo da mantenere una diuresi forzata di circa 100 ml/kg/giorno. Il trattamento del paziente è completato dal'infusione di N-acetilcisteina e dalla somministrazione di vitamine C , E e di metilprednisolone. Un progressivo quadro di ARDS compromette la funzione respiratoria: a circa 80 ore dall'ingestione il paziente viene intubato e sottoposto a ventilazione meccanica con inalazione di basse frazioni di ossigeno, ma sufficienti a garantire la saturazione arteriosa dell'emoglobina maggiore del 90%. Viene anche posizionato un catetere di Swan-Ganz per monitorare la funzione cardiorespiratoria e modulare la terapia. Tramite ripetute esofagogastroscopie si monitorizza l'evoluzione delle lesioni erosive del primo tratto del tubo digerente. Alla insufficienza respiratoria, refrattaria alla terapia, si associa la comparsa di insufficienza cardiovascolare, renale ed epatica ed il soggetto decede a 14 giorni dal gesto autolesionista.

METODI
La determinazione nei campioni biologici degli erbicidi dipiridilici, paraquat e diquat, è stata eseguita mediante Cromatografia Liquida ad Alte Prestazioni (HPLC) e rivelazione nell'ultravioletto (24). Per l'analisi si è ricorsi al sistema HPLC della ditta Merck Hitachi, costituito da una pompa L 6200, rivelatore UV/VIS L 4200, iniettore Rheodyne 7125 e integratore D 2500. L'estrazione e la ripartizione cromatografica in fase inversa degli erbicidi sono state realizzate con il sodio dodecilsolfato come accoppiante ionico (24). Il sistema extracorporeo utilizzato è costituito da catetere in arteria femorale, circuito con pompa peristaltica per mantenere un flusso di 200 ml / min attraverso la cartuccia contenente 150 g di carbone rivestito (modello 150 della ditta Gambro), sistema di eparinizzazione e catetere in vena femorale per la reinfusione del sangue. Durante le sedute emoperfusive, i campioni di sangue sono stati prelevati contemporaneamente da rubinetti inseriti nel circuito extracorporeo, prima e dopo la cartuccia, ai tempi indicati nella tabella 3. La clearance extracorporea (Cl) è stata calcolata con la formula (25):

Ci - Cu

Cl = ---------------- Q

Ci

dove Ci e Cu rappresentano rispettivamente le concentrazioni seriche di paraquat all'ingresso ed all'uscita della cartuccia, mentre Q è il flusso ematico nel sistema. La quantità totale estratta con ciascuna emoperfusione è stata calcolata per integrazione (26). Oltre a dosaggi seriati di paraquat e, in due campioni, di diquat nel siero, sono stati dosati i livelli urinari dell'erbicida e sono state eseguite determinazioni quotidiane della quantità eliminata con l'urina. Inoltre è stata determinata la quantità di paraquat eliminata per via urinaria durante ciascuna emoperfusione. Abbiamo stimato in 22 ml il volume di prodotto commerciale ingerito, sulla base della conferma ripetuta del paziente dell'assunzione di tutto il liquido contenibile nel tappo del recipiente incriminato (il volume contenibile nel tappo è risultato essere circa 23 ml). E' stata anche verificata la concentrazione del paraquat e del diquat del prodotto commerciale con l'analisi HPLC. Sulla base di 14 determinazioni seriche eseguite nel corso della degenza, escludendo i dosaggi eseguiti durante le emoperfusioni, è stato descritto il decadimento serico del paraquat.

RISULTATI
Le concentrazioni di paraquat e diquat indicate nell'etichetta commerciale sono state confermate dalle analisi. E' stata stimata perciò una dose ingerita di 2574 mg di paraquat (42.2 mg/kg) e di 1298 mg di diquat (21.3 mg/kg). La tabella 1 riporta i livelli serici di paraquat ai tempi indicati. Il wash out del paraquat è descritto dal seguente modello a due compartimenti:

y (ng/ml) = 3290 e - 6.39 x ( giorni ) + 297 e - 0.21 x ( giorni ) .

TABELLA 1 : concentrazioni seriche di paraquat ai tempi indicati
tempo (1 = 24 ore ) ng/ml tempo (1 = 24 ore ) ng/ml
.125 17111.333 220
.166 15411.531 225
.25 864 2.333 181
.354 6353.333 125
.583 1324.333 72
.712 2808.79 81
1 266 10.7 54

La tabella 2 presenta alcune delle determinazioni indicate nella tabella precedente, con i due riscontri di diquat ed i valori soglia di paraquat suggeriti come letali ai tempi indicati (23).

TABELLA 2 : livelli serici di paraquat e diquat. Nella 4° colonna sono indicati i valori soglia "letali" proposti da Proudfoot et al (23)
ore dalla ingestione paraquat serico

mg / l

diquat serico

mg / l

paraquat plasmatico

mg / l

31.711 0.96 -
41.541 -2
60.864 0.39 0.6
240.266 -0.1

La tabella 3 mostra le concentrazioni di paraquat all'ingresso ed all'uscita della cartuccia, i valori di clearance, la quantità rimossa con l'emoperfusione e quella eliminata con la diuresi forzata durante la procedura extracorporea. Durante il primo trattamento emoperfusivo, la quantità di paraquat eliminata per via renale è stata maggiore di quella rimossa con l'emoperfusione (rapporto diuresi forzata/emoperfusione: 6.78 mg/3.598 mg = 1.88). Nel secondo trattamento lo stesso rapporto è risultato 0.32.

TABELLA 3 : concentrazioni di paraquat all'ingresso (Ci) ed all'uscita (Cu) della cartuccia, valori di clearance (Cl), quantità di paraquat rimossa con ciascuna emoperfusione (HP) ed eliminata con la diuresi forzata durante la seduta emoperfusiva (FD).

ore dalla

ingestione

Ci

ng/ml

Cu

ng/ml

Cl

ml/min

HP

mg

FD

mg

8.5635 32099
9.5450 27578
10.5236 56153
11.5120 44127 3.598 6.78
17280 14795
17.25245 88128
18184 10091
19 220 92116
20160 9581 2.70.87

La tabella 4 riporta le concentrazioni urinarie determinate durante la degenza, mentre la 5 indica le quantità di paraquat eliminate giornalmente con l'urina. Quest'ultima evidenzia che nelle prime 24 ore è presente nell'urina circa il 53 % del paraquat totale eliminato per via renale nel corso della degenza.

TABELLA 4 : concentrazioni urinarie di paraquat ai tempi indicati
tempo (1 = 24 ore ) µg/ml tempo (1 = 24 ore ) µg/ml
.12517.1 .83 1
.166 21.91.33 1.6
.25 28.2 3.33 .73
.4 22.8 4.33 .83
.46 11.1 8.83 .91
.58 4.4 10.83 .27

TABELLA 5 : quantità di paraquat eliminato con l'urina giornalmente
Giorno mgGiorno mg
33.478 1.470
5.237 1.312
7.38710° 2.870
2.55511° 1.750
2.24112° 1.085
1.49613° 0.924
1.28814° 0.399
totale 63.492 mg

Infine, nella tabella 6, sono indicati i dati di cinetica del paraquat, che abbiamo calcolato (27) a partire dalla dose ingerita e dai valori serici riscontrati.

TABELLA 6 : tossicocinetica del paraquat
Dose ingerita circa 2574 mg
Volume di distribuzione del compartimento centrale 11.8 l / kg
Volume di distribuzione allo steady state 142 l / kg
Costante di velocità di eliminazione 1.91 giorni -1
Costante di velocità dal compartimento centrale al profondo 3.98 giorni-1
Costante di velocità dal compartimento profondo al centrale 0.73 giorni -1
Emivita di eliminazione 5.59 giorni
Clearance totale 22.5 l / kg / giorno

DISCUSSIONE

L'utilizzazione del test diagnostico sull'urina disponibile in kit ha portato a terapie drastiche in pazienti lievemente intossicati ed a misure inadeguate in soggetti con grave avvelenamento (22). Come già descritto (28), il paziente ha presentato una positività debole del test all'ingresso, pur in presenza di un elevato livello serico (circa 1.7 µg/ml) ed urinario (circa 17 µg/ml). Oltre alla determinazione qualitativa dell'agente tossico, solo la sua valutazione quantitativa permette di operare una prudente stima prognostica ed una corretta decisione terapeutica (28).

E' noto il valore prognostico del livello ematico di paraquat (23): le concentrazioni che abbiamo riscontrato sono vicine ai valori soglia indicanti una elevata probabilità di decesso (vedi tabella 2). Inoltre il diquat, la cui tossicità polmonare è comunque minore rispetto al paraquat (29), può avere contribuito ad aumentare gli effetti dannosi, pur in misura non quantificabile. Anche la concentrazione urinaria di paraquat è stata utilizzata per la previsione dell'outcome (30): valori superiori a 10 µg/ml riscontrati entro 24 ore dall'ingestione comportano un'elevata probabilità di esito infausto. Si tratta di valori superati nel caso descritto (vedi tabella 4).

E' stato proposto che l'emoperfusione possa essere considerata, entro 12 ore dall'ingestione di paraquat, pur mancando dati a favore di un reale beneficio clinico, in pazienti con concentrazione plasmatica iniziale minore di 3 µg/ml (20). Sulla base di questa proposta, è stato eseguito il primo trattamento emoperfusivo, che ha abbattuto il livello serico da 635 a 120 ng/ml , nei campioni prelevati prima della cartuccia, rispettivamente all'inizio ed alla fine della metodica (vedi tabella 3). Circa 2 ore e mezza dopo la conclusione di quest'ultima, il livello serico è rimasto sostanzialmente stabile (132 ng/ml al tempo 0.583, cioè dopo 14 ore dall'ingestione, come dalla tabella 1). Tuttavia 3 ore dopo, all'inizio della seconda emoperfusione, la concentrazione è salita a 280 ng/ml. Questo effetto rebound, già segnalato (20) e dovuto al lento passaggio di paraquat dai tessuti al sangue parzialmente depleto di erbicida, giustifica l'esecuzione del secondo trattamento emoperfusivo (6).

L'efficacia dell'emoperfusione va valutata sulla base della quantità di tossico estratto rispetto alla dose ingerita ed a quella presunta assorbita e non sulla variazione delle concentrazioni ematiche (25). Nonostante gli elevati valori di clearance, indici della efficiente capacità estrattiva della cartuccia di carbone (vedi tabella 3), le due emoperfusioni hanno rimosso solo lo 0.24 % della dose ingerita (6.298 mg su 2574 mg assunti). Considerando che il paraquat assorbito dal tratto gastroenterico è circa l'1-5 % (31) o l'1-10 % della dose ingerita (32), per un assorbimento medio del 5 %, circa il 4.89 % della quantità presunta assorbita è stata rimossa dal circolo con la procedura extracorporea. Quindi, per un ridotto assorbimento intestinale, anche una piccola quantità rimossa con l'emoperfusione potrebbe essere significativa.

Il paraquat è eliminato dal rene per filtrazione glomerulare e secrezione tubulare ed è debolmente riassorbito dal tubulo renale (6). Fra le modalità di trattamento tentate per aumentare l'eliminazione renale o la rimozione dal circolo (diuresi forzata, dialisi peritonale, emodialisi, emofiltrazione continua arterovenosa, emoperfusione), l'emoperfusione è considerata la procedura più efficace a rimuovere l'erbicida (32) (33). Tale efficacia è maggiore quanto più precoce ne è l'applicazione (3) (33). I nostri risultati hanno evidenziato una importante eliminazione urinaria durante la prima applicazione emoperfusiva, espressa da un rapporto diuresi forzata/emoperfusione di 1.88. Di conseguenza una immediata diuresi forzata, che mantiene la filtrazione e la secrezione tubulare (32), può essere più utile di una emoperfusione precoce. Nel cane è stato dimostrato che l'emoperfusione riduce la mortalità solo se attuata entro 2 ore dalla somministrazione per via endovenosa del paraquat (33). L'assorbimento intestinale nell'uomo è ridotto, ma rapido, e la concentrazione ematica massima viene raggiunta entro 2-4 ore dall'ingestione (34). Il valore di picco, che abbiamo riscontrato a 3 ore dall'atto suicidiario, conferma il veloce assorbimento (vedi tabella 1). La rimozione dell'erbicida dal sangue andrebbe attuata prima della sua captazione da parte delle cellule polmonari (2), dove la concentrazione di picco è raggiunta alla sesta ora (3). Per questi motivi i pazienti potrebbero trarre beneficio dall'emoperfusione solo entro 4 ore dall'ingestione (35). Tuttavia un trattamento così precoce è difficilmente realizzabile (20), sia perchè i pazienti vengono ricoverati tardivamente, sia perchè l'applicazione della metodica richiede il tempo necessario per l'approntamento del circuito extracorporeo (35). La cinetica del paraquat è stata estrapolata dall'animale all'uomo (31) e solo raramente studiata nei pazienti avvelenati (34) (36) (37). I nostri dati confermano l'elevata distribuzione tissutale, il decadimento biesponenziale e l'eliminazione urinaria prevalente nelle prime 24 ore (31). Gli studi nell'uomo sono incompleti, dato che riportano il valore del volume apparente di distribuzione, circa 1.2-1.6 l/kg (34), e non quello allo steady state e del compartimento centrale, che invece abbiamo calcolato (rispettivamente 11.8 e 142 l/kg). I dati della tabella 6 mostrano anche un elevato rapporto fra la costante di trasferimento dal compartimento centrale al profondo (K 12) e la costante dal profondo al centrale (K 21 ). Tale rapporto K 12 / K 21 influenza negativamente l'efficacia dell'emoperfusione (37), che è in grado di ridurre la concentrazione di paraquat nel compartimento centrale, ma non di modificarla in quello periferico, cioè a livello tissutale, e spiega il ritardato effetto rebound riscontrato nel siero alcune ore dopo la procedura extracorporea. Per un tossico con le caratteristiche cinetiche riscontrate, l'emoperfusione non è indicata dal punto di vista razionale (38). Nel caso di un tossico letale come è il paraquat, si è cercato comunque di aumentarne l'eliminazione, "because a potentially fatal condition stimulates the innate desire of many doctors to do something" (1).

In conclusione la nostra valutazione ha documentato che: 1) nonostante l'efficiente capacità estrattiva della cartuccia emoperfusiva, la quantità di paraquat rimossa è limitata rispetto alla dose assorbita; 2) l'emoperfusione si è rivelata meno efficace della diuresi forzata nell'eliminare l'erbicida; 3) infine, per le caratteristiche tossicocinetiche discusse, la rimozione extracorporea non è indicata. Nell'avvelenamento da paraquat, l'emoperfusione è perciò una tecnica di efficacia trascurabile, mentre una precoce diuresi forzata è più utile.

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3 Intossicazione acuta da esteri-organofosforici : caso clinico

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V. Lanza, A. Pignataro, P. De Michele *C. Locatelli

Servizio di Anestesia e Rianimazione, Ospedale Buccheri La Ferla F.B.F., Palermo

*Cento Nazionale di Informazione Tossicologico, Centro Antiveleni, Fondazione Maugeri, Pavia

Gli organofosfati (OP) vengono comunemente utilizzati come pesticidi (insetticidi, erbicidi) ; di grande uso in agricoltura come fitofarmaci, esistono in commercio in centinaia di tipi e innumerevoli formulazioni. Largamente impiegati anche nei prodotti casalinghi, queste sostanze rappresentano un serio pericolo per manufattori, agricoltori e per la popolazione generale. Gli organofosfati possiedono una tossicità acuta importante e le intossicazioni avvengono per ingestione, inalazione, per assorbimento cutaneo, in seguito ad errori d'uso o alla mancanza di precauzioni nel loro impiego. A scopo suicida vengono solitamente ingeriti. Nel caso clinico qui descritto, l'ingestione accidentale di un estere organofosforico ha costretto un paziente ad un ricovero prolungato nella nostra terapia intensiva.

Caso clinico

Un uomo di anni 57 viene trasportato dai familiari al P.S. dell'Ospedale Buccheri La Ferla F.B.F. privo di coscienza. All'esame obiettivo il paziente presenta un GCS di 8, dispnea, cianosi, scialorrea e sudorazione profusa ; le pupille sono intensamente miotiche, si rileva bradicardia sinusale (45 bpm), ipotensione arteriosa (80/50 mmHg) e abbondanti secrezioni respiratorie. Un amico dell'uomo racconta di avere rifiutato una bevanda maleodorante offertagli dal paziente che invece aveva bevuto senza esitazione scambiandolo per vino. Il liquido era contenuto in una bottiglia senza etichetta. La quantità ingerita poteva essere stimata tra 50 e 100 ml. Poco tempo dopo il paziente cominciava a perdere coscienza e ad accusare difficoltà respiratorie, per cui l'amico dopo aver chiamato i familiari dell'intossicato lo trasportava in ospedale. I familiari riferiscono un'anamnesi del paziente positiva per diabete e ipertensione (trattata con beta-bloccanti). Il medico di guardia del P.S. dopo avere approntato le prime misure d'urgenza chiama l'anestesista-rianimatore che, constatate le condizioni respiratorie e neurologiche del paziente, procede all'intubazione endotracheale, alla ventilazione meccanica e al ricovero nel reparto di terapia intensiva dello stesso ospedale. In rianimazione persiste uno stato di coma 2 (agitazione, assenza di risposta alla stimolo verbale, risposta finalizzata al dolore), bradicardia sinusale (50 bpm), scialorrea, broncorrea, sudorazione. Il quadro ipotensivo è sostituito da ipertensione arteriosa (180/90 mmHg). Viene proseguita la ventilazione meccanica, incannulata l'arteria radiale per il monitoraggio della pressione arteriosa cruenta, posizionato un catetere venoso centrale per la terapia infusionale, e vengono richiesti oltre agli esami di routine (bioumorali, Rx torace, ECG, boncoaspirato) le colinesterasi plasmatiche nel sospetto di una intossicazione da organofosforici. Tale sospetto era suffragato dalla sintomatologia presentata dal paziente all'arrivo in P.S., dall'anamnesi raccolta dal testimone (cattivo odore del liquido, bottiglia senza etichetta) e dall'odore tipicamente nauseabondo emanato dal paziente stesso. Si pratica la gastrolusi, si somministra carbone attivo (30 g) e solfato di Mg (30 g) via SNG ; innumerevoli boli di atropina (0.5-1 mg e.v.) necessitano per ridurre le secrezioni polmonari e mantenere la frequenza cardiaca al di sopra di 60 bpm.; il dosaggio delle pseudocolinesterasi (589 U/I v.n. 4000-12000 U/I) rafforza il sospetto clinico e la necessità di instaurare la terapia antidotica specifica: in aggiunta all'atropina viene somministrata pralidossima (Contrathion)1 g e.v. in bolo, poi 2 g ogni 4 ore. Il giorno dopo si assiste ad una parziale ripresa dello stato di coscienza alternato a fasi di agitazione e ad un miglioramento delle condizioni respiratorie ; persiste la bradicardia ( ~ 50 bpm) e si manifestano BESV e BEV. L'ipertensione è trattata con verapamil e nitoglicerina e.v. Si prosegue la terapia antidotica. L'analisi chimica della sostanza contenuta nella bottiglia priva di etichetta rivelava la presenza di parathion, estere organofosforico con una DL nell'uomo compresa tra 10 e 100 mg. Dopo 72 ore di ventilazione meccanica, i parametri clinici, emogasanalitici e strumentali consentono l'estubazione del pz. e l'ossigeno-terapia in maschera ; dopo qualche ora per la comparsa di sudorazione profusa, di abbondanti secrezioni bronchiali e di fatica muscolare, si rende necessaria una nuova intubazione endotracheale. Ipertensione, agitazione, disadattamento al repiratore impongono la sedazione continua con propofol. In 4a giornata, la persistenza di bradicardia sinusale, interrotta da frequenti extrasistoli ventricolari da scappamento, nonostante la somministrazione di atropina in infusione continua (2 mg/h), induce il posizionamento di un pace-maker temporaneo via vena succlavia sn. con stabilizzazione della frequenza cardiaca (ca. 70 bpm). Anche la pralidossima viene somministrata in infusione continua (500 mg/h). Persiste la miosi e, anche se meno intense, le secrezioni bronchiali, la scialorrea e la salivazione. La scarsa risposta pressoria alla nitroglicerina impone l'uso del nitroprussiato di sodio. In 6a giornata un controllo radiografico per un peggioramento ossigenativo svela un pneumotorace sn. Il posizionamento di un tubo di drenaggio pleurico determina una parziale espansione del polmone offeso ; è necessaria una successiva mobilizzazione e il riposizionamento del drenaggio (presenza anche di un versamento sieroematico) per ripristinare i parametri ossigenativi. In 7a giornata, per la risoluzione della bradicardia, viene disattivato il PM (estratto il giorno successivo) e sospesa l'infusione continua di atropina e di pralidossima. In 8a giornata una nuova montata di secrezioni bronchiali determina un ennesimo peggioramento dell'ossigenazione. La ventilazione artificiale viene mantenuta fino alla 14a giornata, epoca in cui una seconda estubazione dà origine ad un quadro brutale di edema polmonare che ci costringe ad una reintubazione d'urgenza e alla ripresa della ventilazione meccanica ad elevata FiO2 . Nello stesso tempo un episodio di TPSV richiede la somministrazione di striadyne e propanololo. In 15a giornata avvenuta la riespansione del polmone, viene rimosso il drenaggio pleurico. Il miglioramento della paO2 permette di ridurre la FiO2 e di ventilare il paziente in pressione assistita. Il controllo dell'ipertensione conduce alla riduzione del NPS e all'associazione di un ace-inibitore e di propanololo. In 18a giornata si sospende il NPS, e la P.A. si mantiene sotto controllo con l'associazione di captopril e nifedipina ; viene sospeso il beta-bloccante. Il reperto ascultatorio (rantoli diffusi) e radiografico del torace (quadro di edema interstiziale), impone il mantenimento della ventilazione a pressione positiva. A paziente cosciente, collaborante, con recuperata forza muscolare (assume la posizione seduta), è possibile, tuttavia, iniziare lo svezzamento dal respiratore ; nello stesso tempo il paziente inizia gradualmente l'alimentazione orale. L'estubazione e l'interruzione della ventilazione meccanica in 21a giornata è finalmente coronata da successo. In 24a giornata in presenza di condizioni cliniche generali buone e di parametri bioumorali nella norma, il paziente viene dimesso guarito dal reparto di rianimazione.

Discussione

Gli organofosforici (OP) costituiscono una classe estremamente vasta di composti con proprietà fisico-chimiche differenti tra di loro, tutti accomunati dal medesimo meccanismo d'azione : l'inibizione irreversibile dell'enzima acetilcolinesterasi (AchE). Tale enzima è deputato alla scissione dell'acetilcolina (Ach) in colina e acido acetico. L'acetilcolina agisce come neurotrasmettitore dell'impulso nervoso di tutte le fibre pregangliari del sistema nervoso autonomo, delle fibre postgangliari del sistema parasimpatico e di alcune fibre postgangliari simpatiche. L'acetilcolina, inoltre è il neurotrasmettitore della placca neuromuscolare della muscolatura scheletrica e di alcuni interneuroni del sistema nervoso centrale. L'Ach, una volta liberata nello spazio intersinaptico, si lega ai recettori postsinaptici, promuovendo l'effetto farmacologico, e viene distrutta nell'arco di millisecondi. L'acetilcolinesterasi (AchE) è l'enzima che inattiva l'Ach. Un'inibizione dell'AchE quale quella determinata dagli organofosforici, produce un accumulo di Ach endogena e conseguente iperstimolazione colinergica. Gli organofosforici formano per fosforilazione un complesso con l'enzima (AchE) rendendolo indisponibile per la degradazione dell'Ach ; il processo si svolge in due tappe : nella prima, utilizzando un antidoto è possibile spiazzare l'organofosforico, nella seconda tappa la fosforilazione diventa irreversibile secondo un meccanismo denominato "invecchiamento" dell'enzima. Il ritorno dell'attività funzionale dell'enzima è possibile allora con la sintesi di nuova colinesterasi. Nell'uomo esistono due tipi di colinesterasi :

Il dosaggio ematico delle colinesterasi costituisce l'indagine più importante nella diagnosi e nel monitoraggio dell'esposizione a OP. La riduzione delle colinesterasi è infatti strettamente collegata alla durata e all'intensità dell'esposizione agli OP. Le colinesterasi intraeritrocitarie, possedendo gli stessi siti recettoriali di quelle del SNC coinvolte nelle intossicazioni da OP, rappresentano un indicatore più specifico delle plasmacolinesterasi. Alcuni OP (es.malathion), tuttavia inibiscono più precocemente le PchE delle AchE per cui le prime in questo caso hanno maggiore sensibilità delle seconde. Il recupero ossia la rigenerazione delle PchE avviene prima delle AchE. Le PchE possono essere ridotte nelle patologie epatiche croniche, neoplasie, malnutrizione e in gravidanza.

E' possibile stabilire una relazione tra il livello di colinesterasi misurate e i segni clinici dell'intossicazione acuta (tab. 1)

% AchE inibiz. Grado di intossicaz. Segni clinici Prognosi
50-60Lieve Astenia, cefalea, nausea, salivazione, lacrimazione, miosi Convalescenza 1-3 g
60-90Moderato Astenia marcata, disturbi visivi, salivazione abbondante, sudoraz., vomito, diarrea, bradicardia, ipertonia, tremori estremità, miosi, cianosi Convalescenza in 1-2- sett.
90-100 SeveroTremori intensi, convulsioni, cianosi intensa, edema polm., coma Morte

Le manifestazioni cliniche che si determinano variano da un composto ad un altro (le DL50 degli OP variano da pochi mg a qualche g/Kg corporeo) e sono schematizzate nella tabella 2 :

sistema respiratorio broncospasmo, aumento secrezioni, dispnea, dolore toracico, tosse
s. gastrointestinale anoressia, nausea, vomito, crampi addominali, eruttazione, diarrea, tenesmo
gh. sudoripare aumento della sudorazione
gh. lacrimali aumento della lacrimazione
gh. salivari aumento della salivazione
vescica incontinenza urinaria
mm. striati fatica, debolezza, contrazioni muscolari, fascicolazioni, crampi, debolezza generalizzata comprendente i mm. Respiratori
gangli simpatici pallore, transitorio aumento della pressione arteriosa
SNC vertigini, tensione, ansia, irrequietezza, labilità emotiva, insonnia, incubi, cefalea, tremori, apatia, confusione, atassia, confusione, coma
s. cardiocircolatorio bradicardia, riduzione della gittata cardiaca, arresto cardiaco, paralisi del centro vasomotorio
pupille miosi
corpo ciliare visione offuscata

Nel caso clinico qui descritto, a parte la non comune dinamica dell'intossicazione, la severità del quadro è stata accentuata dalle patologie preesistenti del paziente (ipertensione, diabete) e, almeno in parte, da complicazioni di natura iatrogena. Pur non essendo nota all'inizio la natura della sostanza tossica in questione, i segni e sintomi presentati dal paziente (broncorrea, broncostenosi, bradicardia, scialorrea, salivazione profusa, lacrimazione) deposero immediatamente per un tossico ad azione vagomimetica ; la possibile appartenenza ad un fitofarmaco venne sospettata dal tipico odore agliaceo dell'alito del paziente alla presentazione al P.S., dall'attività professionale (contadino) dell'uomo e dal tipo e sede (rurale) della sua abitazione. La diagnosi differenziale tra organofosforici e carbamati ambedue responsabili di sindromi colinergiche depose a favore degli OP per i bassissimi valori della PChE, per la gravità della sintomatologia (i carbamati non superano la barriera emato-encefalica e la loro tossicitaà sul SNC è limitata) e per la persistenza (>2-4 ore) del quadro clinico.

La sindrome tipica da intossicazione da OP, caratterizzata da segni muscarinici, nicotinici e sul SNC, è stata sin dall'inizio costellata da un quadro ipertensivo severo che ha richiesto un atteggiamento terapeutico aggressivo (nitroglicerina, nitroprussiato di sodio). L'insufficienza respiratoria in prima istanza determinata dal tossico ha richiesto un'intubazione endotracheale e una ventilazione meccanica prolungata; se la prima estubazione può anche essere avvenuta precocemente, considerato il tipico atteggiamento alterno di remissioni e recidive di questo tipo d'intossicazione, il quadro di edema polmonare immediatamente successivo alla 2a estubazione ha verosimilmente un'eziologia emodinamica. La severità dell'intossicazione responsabile di una bradicardia persistente, poco responsiva alla terapia antidotica con atropina e di battiti ectopici ventricolari e sopraventricolari ci ha indotto a posizionare un PM temporaneo. Questa manovra invasiva ha causato un pneumotorace che ha inevitabilmente ritardato lo svezzamento del paziente dalla ventilazione meccanica. La terapia antidotica specifica (atropina, pralidossima) iniziata precocemente è stata mantenuta per otto giorni, preferendo l'infusione continua ai boli ripetuti per la maggiore comodità di somministrazione e la migliore farmacocinetica ; è noto, infatti l'effetto rebound del livello plasmatico degli OP per rilascio progressivo dal tessuto adiposo e dal sitema gastrointestinale. Il trattamento evacuatore (gastrolusi, catarsi), ma soprattutto l'uso ripetuto di carbone attivo basato sull'adsorbimento del tossico sfruttando il circolo enteroepatico, è stato attuato precocemente e continuato per circa 48 ore. La terapia sintomatica condotta contemporaneamente a quella antidotica ha fatto fronte a complicazioni metaboliche (iperglicemia) e infettive (contaminazione dei cateteri intravascolari). Durante tutto il ricovero è stato scrupolosamente mantenuto un corretto assetto idroelettrolitico e nutrizionale, impiegando la nutrizione parenterale totale e quella enterale rispettivamente dal primo giorno e dal recupero della canalizzazione del paziente.

Conclusioni

Gli OP sono dei biofarmaci responsabili di intossicazioni severe. Quando l'esposizione è massiva, per qualunque via avvenga, si determinano dei gravi quadri clinici minacciosi per la vita. La rianimazione e la terapia antidotica specifica vanno impiegati congiuntamente, così come la decontaminazione digestiva. Complicazioni legate alla terapia e alle patologie preesistenti dei pazienti possono contribuire ad allungare la degenza di tali intossicazioni gravate, in ogni caso, da elevata morbidità e mortalità.

Bibliografia

M.O. Amdur, J. Doull, C.D. Klaassen. Tossicologia. EMSI, Ed. Italiana 1993. Effetti tossici dei pesticidi.

V. Danel, P. Barriot. Les intoxications aigues. Arnette

M. Bozza Marrubini, R. Ghezzi Laurenzi, P. Uccelli. Intossicazioni acute.OEMF, 2a edizione 1987

P. Viccellio. Handbook of medical toxicology. Little, Brown and Company

JE. Davies, A. Barquet, VH. Freed, R. Haque, C. Morgade, RE Sonneborn, C.Vaclavek. Human pesticide poisoning by a fat-soluble organophosphate insecticide. Arch Environ Health 1975 ; 30 :608-613

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4 MANUALI DI ANESTESIA:Riduzione e fissazione interna di fratture prossimali

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Questa rubrica, curata dal dott. Lelio Guglielmo, presenta i protocolli anestesiologici adottati ,nelle varie specialità chirurgiche , dal Servizio di Anestesia e Rianimazione dell' Ospedale Buccheri La Ferla. Questi manuali che sono il frutto di studi e dell'esperienza di oltre 15 anni di attività anestesiologica non pretendono ovviamente di avere un carattere "universale" . E' evidente altresì che l'applicazione delle procedure descritte va valutata criticamente in relazione al proprio ambiente di lavoro. La parte riguardante le considerazioni chirurgiche è stata realizzata in collaborazione con i chirurghi delle varie specialità, operanti nel nostro ospedale.

Qualsiasi commento o critica è bene accetta e può essere inviata a leliobuc@mbox.vol.it. oppure alla redazione LANZA@mbox.unipa.it


RIDUZIONE E FISSAZIONE INTERNA DI FRATTURE PROSSIMALI DEL FEMORE

Considerazioni chirurgiche

Le fratture prossimali del femore si verificano generalmente nei pazienti molto anziani, per cedimento di un collo femorale osteoporotico, e nei pazienti giovani, per cause traumatiche. Si distinguono fratture intracapsulari (f.i.1-2) fratture extracapsulari (f.e.3-4). Nel caso di f.i. senza spostamento dei due frammenti si utilizzano dei sistemi placca-viti ; se è presente uno spostamento si posiziona una endoprotesi (cementata se pz. >di 75 a.) o una artroprotesi totale in presenza di una degenerazione artrosica del cotile. Nel caso di f.e. si utilizzano: una placca con vite nel caso di fratture stabili (corticale mediale non fratturata) in pz. < di 75 a. ; un chiodo CEB nel caso di fratture non stabili in pazienti >di 70a; un chiodo IMHS nelle fratture instabili più complesse.

SOMMARIO DELLE PROCEDURE

F. intracapsulari F.intracapsulari F.extracapsulari

non scomposte scomposte

Posizione supina lat. supina

Incisione laterale coscia <----- <-------

Strumenti viti endo/artroprotesi chiodi IHMS

CEB-vite placca

Consid.speciali lettino operatorio nessune lettino operatorio

da trazione ed RX da trazione ed RX

Antibiotici Ceftriaxone 2gr. <------ <--------

T.chirurgico 30-90min <------- <------------

Perdite ematiche <200ml 250-500ml 250-500ml

Post-operatorio reparto

Mortalità 10% (++anziani) <------ <---------

(nei success.30 gg.)

Morbidità Disritmie:50%

Infarto :10-20%

Infez.urinaria:50%

Tromboembol.:10%

Infezione ferita:1-5%

Pain score 5-6 7 8

CARATTERISTICHE DELLA POPOLAZIONE DEI PAZIENTI

Età: >60a.:occasionalmente 16-35a.

Maschi/Femmine: 1/4.5

Eziologia: Incidenti e cadute

Fratture patologiche

Fratture multiple

Fratture da stress

Condizioni Numerose patologie mediche associate

associate Demenza senile

Considerazioni anestesiologiche

PREOPERATORIO

Questo tipo di chirurgia riguarda in genere paziento molto anziani che soffrono di patologie che possono influire sull' outcome chirurgico. Occorre quindi porre molto attenzione alla condizioni mediche di base. Il trauma della frattura e le conseguenze ad esso legate (disidratazione, allettamento, denutrizione, etc.) rendono il paziente più esposto a rischi. Sebbene le fratture di femore siano considerate delle urgenze numerosi dati della letteratura suggeriscono di ottimizzare lo stato medico del paziente prima della chirurgia. Un'appropriata valutazione del paziente include una revisione degli apparati del paziente e una indagine sulle cause della frattura: TIA? Sincope? Aritmia?, Ictus? o semplicemente una caduta accidentale?.

App.Respiratorio: L'immobilizzazione del paziente può determinare un'affezione bronchiale o polmonare. Nell'anamnesi possono essere presente una storia di bronchite cronica, asma ed altre affezioni respiratorie croniche. Livelli basali di PO2< a 70mmHg in aria sono consueti in questi pazienti e spesso è il risultato di microembolie di grasso e della deposizione intravascolare di piastrine e fibrina.

App.Cardiovascolare: Occorre eseguire con cura l'esame obbiettivo per individuare segni patologici e ricercare eventuali antecedenti cardiologici. Verrà richiesta la consulenza cardiologica e l'esame ecocardiografico nei casi più a rischio (infarto recente, malattia ischemica, insuffi.cardiaca, valvulopatie etc.). Secondo studi recenti, cinque sono i fattori preoperatori predittivi di ischemia miocardica postoperatoria: ipertrofia ventricolare sn, ipertensione, diabete, insufficienza coronarica, e l'uso di digossina. Il rischio ischemico aumenta con il numero di fattori presenti (dal 22% senza fattori presenti al 77%con quattro fattori predittivi presenti). Frequentemente si riscontra una storia di ipertensione e/o di diabete.

App.neurologico: Valgono le stesse considerazioni già fatte nei pazienti operati per protesi d'anca e cioè l'alta percentuale di pazienti affetti da un qualche grado di alterazione mentale o da M.di Parkinson. Questi ultimi sono più a rischio di sviluppare una insufficienza respiratoria postoperatoria a causa di anormalità della funzione e della coordinazione dei muscoli respiratori.

INTRAOPERATORIO

Premedicazione: standard

Dobutamina : secondo protocollo

Anestesia : AS (Marcaina iperbarica 1% 0.8-1.2 ml ± 0.3 adrenalina). Iniettare

prima dello spostamento in decubito lat. 2-3 ml di Diprivan (paz.

molto sofferenti!!)

Posizionamento: supino su lettino speciale da fratture (arto in trazione)

Monitoraggio : ECG,SaO2, tcPO2-PCO2 , Pa generalmente incruenta

Sedazione : infusione Diprivan 7-15ml/hr

Complicanze : embolia adiposa

POSTOPERATORIO

Complicanze : Ipossiemia

Ossigeno-terapia : Somministrare 1-2 l. di O2 per sondino nasale x 24-48 ore

Analgesia postop.: Diclofenac 75mg.x2 oppure Meperidina 25-50mg. IM x2

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